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Home ›Negri acrobata: dalla “comunità operaia” alla “comune impren-ditorialità”
Già altre volte ci siamo occupati del prof. Negri in quanto rappresentante di una corrente politica che una ventina d’anni or sono aspirava al ruolo di supremo nemico dello stato borghese. La lettera che il suddetto signore ha inviato, dal carcere, alla manifestazione antileghista del 13 settembre, ci offre l’occasione per ritornare sul personaggio e anche su quell’area (o almeno gran parte) che, sviluppando fino in fondo le premesse logiche del Negri-pensiero, ha rigettato completamente ogni riferimento al comunismo (vedi Bc n. 7/97). Come abbiamo sempre detto, le farneticazioni negriane, anche quando alludevano a molotov e passamontagna (ma lui, se l’è mai messo?) rimanevano sempre, secondo la “migliore” tradizione riformista, sul terreno della società borghese, rivendicando, alla fin fine, non la distruzione del modo di produzione capitalistico, ma una più o meno ampia redistribuzione di ricchezza a lavoratori e piccola borghesia studentesca spacciatasi per proletaria. Ora, anche il linguaggio è stato depurato di qualsiasi riferimento classista, e usa apertamente concetti ed espressioni che qualunque borghese “di sinistra” userebbe: insomma, l’interclassismo più trito e banale domina tutta la lettera-documento, assieme al tentativo di riscrivere la storia del “nostro paese veneto” degli ultimi cinquant’anni. Se prima per Negri esisteva solo l’operaio - massa, oggi si interessa d’altro e scopre che a fare la fortuna di quella regione sarebbe stata “una imprenditorialità comune” formata da “forza-lavoro” e “forza-invenzione”, cioè operai e padronato creativo, i quali, tutti assieme appassionatamente (e lo sfruttamento capitalistico dov’è finito? boh), nonostante spiacevoli malintesi, avrebbero, per l’appunto, creato quella meravigliosa realtà che è il Nord - Est economico. Senza il benché minimo senso del ridicolo, Negri reinterpreta il significato della parola lotta, affermando che la
moltitudine [veneta] ha sempre lottato [...] prima contro la schiavitù contadina attraverso l’emigrazione, poi contro lo sfruttamento capitalistico costituendosi in classe operaia, infine contro il lavoro salariato [non è la stessa cosa che dire sfruttamento capitalistico? mah, ‘sti professori... - ndr] costituendosi come imprenditorialità comune.
Le scemenze, come si può notare, non sono poche, perché l’emigrazione di contadini poveri e/o già proletarizzati non è mai stata una lotta cosciente contro la società responsabile della loro condizione, ma un tentativo di fuga individuale e nello stesso tempo di massa dalla miseria opprimente; anche nel discorso sulla classe operaia e lo sfruttamento, Negri, al solito, confonde la classe in sé - la classe così com’è, puro dato sociologico - e la classe per sé, cioè la classe che, se mai, si “costituisce” in partito ossia che guidata dal partito proletario rivoluzionario marcia contro l’ordine del capitale per distruggerlo e sostituirlo col comunismo. Infine, per quanto riguarda il rapporto tra lavoro salariato e “imprenditorialità comune”, non si tratta d’ altro che di un giochetto per giustificare chi, con la scusa dell’autovalorizzazione anticapitalistica, si mette a fare il bottegaio, magari in settori prima poco battuti, come certi Centri Sociali, i quali di tutto fanno meno che antagonismo.
La ciarlatanesca e borghesissima ricostruzione storica è la premessa da cui il “nostro” illustre accademico parte per individuare i nemici che minacciano il “modello di sviluppo” e la “forma di cittadinanza” veneti, che sono ad un tempo lo stato nazionale, “con le sue [udite udite] inesattezze fiscali” e tutti coloro che
abbracciati ai privilegi delle corporazioni fordiste del capitalismo tradizionale, non vogliono riconoscere la singolarità dello sviluppo produttivo del Veneto.
Qui il discorso assume bellamente un linguaggio (e un contenuto) confidustrial - pidiessino, che non è altro che lo schifosamente falso linguaggio dell’ideologia borghese sulla libertà. Dato che
flessibilità e mobilità della forza - lavoro [...] sono irreversibili [...] il problema non è quello di opporsi alla nuova organizzazione del lavoro ma quello di garantire il salario e la libertà del lavoratore postfordista [ma non aveva parlato di lotta al lavoro salariato? - ndr].
E che c..., non lo dicono anche i sindacalisti e i padroni che un salario “garantito” d’emersione a ottocentomila lire è meglio di nessun salario e che la forza - lavoro deve essere libera da lacci e laccioli, come quelli che limita(va)no la possibilità di licenziare? È finita l’epoca dei grandi contratti nazionali, dicono in coro Negri, Polo, Ulivo, Sindacati e compagnia cantante, occorrono meno vincoli, più attenzione alle particolarità locali, et voilà i contratti d’area o, come afferma il professore,
“contratti sociali” a base federalista che tocchino le grandi dimensioni della ripartizione della fiscalità e del reddito.
Appunto, nelle zone dei contratti d’area ai padroni va tantissimo “reddito”, anche sotto forma di robusti sconti fiscali, ai lavoratori invece ne va pochissimo, per via dei salari da fame e dello sfruttamento ultra carognesco. Di sfuggita, ci permettiamo di ricordare al sig. Negri e seguaci, che nei “Grundrisse”, sui quali il prof. ha pure un scritto... un sacco di scemenze, Marx ha sottolineato come
i rapporti e i modi di distribuzione sono semplicemente il risvolto dei rapporti di produzione. La struttura della distribuzione è completamente determinata dalla struttura della produzione.
Ma ritorniamo a noi, anzi, a lui.
Se lo stato nazionale e l’ottusità di certi lavoratori, veneti e non, che pretendono ancora di godere dei “privilegi” del cosiddetto fordismo (tutto da ridere...) sono i mostri che minacciano la “comune imprenditorialità” veneta, quali le soluzioni “per consolidare la base del nostro modo di produrre”? Chi si sente, anche solo un po’, comunista, si tenga stretto:
Federalismo e quindi autogoverno locale, riappropriazione dell’amministrazione da parte dei cittadini [...] democrazia della fiscalità. Nuovo welfare, e quindi nuove modalità di assistenza e di previdenza [...] reddito universale di cittadinanza.
Toni, non fare il presuntuoso e mettiti in fila: non ti sei accorto che governi, padroni e sindacati ci stanno lavorando già da un po’ sullo smantellamento dell’assistenza e della previdenza? E poi, tu e tutta la genìa dei riformisti tuoi simili, volete smetterla di farneticare di reddito e salario garantiti dentro questa società, di cui accettate e rispettate le regole? Chi accetterebbe un lavoro noioso, faticoso, pericoloso e che arricchisce solo il padrone, avendo la possibilità di campare più o meno decentemente senza alzare una paglia? È una storiella vecchia quanto il capitalismo, ma che non ha mai attaccato da nessuna parte.
Federalismo, dunque, ma non secessione, perché quest’ultima
sequestra nell’egoismo più arcaico la passione produttiva dell’imprenditorialità comune e ne castra alla base la potenza espansiva, [dato che le frontiere] ostacolano i commerci.
A forza di scoprire (si fa per dire) sempre nuovi soggetti e nuove tematiche sociali, il fu antagonista si ritrova a sventolare le bandiere borghesi di due secoli fa, magari con una spruzzata di PCI old style, quando invoca una specie di santa alleanza contro “il potere delle corporazioni finanziarie mondiali” che schiacciano la nuova imprenditorialità: né più né meno che la famigerata teoria togliattiana sulla convergenza fra operai e piccola/media industria contro la rendita finanziaria e i monopoli. Ma chi dovrebbe gestire questa nuova alleanza? Naturalmente la “sinistra” del 13 settembre, però solo dopo aver chiesto pubblicamente perdono per aver da vent’anni almeno “intralciato lo sviluppo delle autonomie produttive”, per aver avuto “sui problemi della fiscalità posizioni moralistiche e punitive” - poveri borghesi, così evasori e così incompresi - per essere stati ostili alla “costruzione del comune produttivo [...] invece [...] di poterne così rappresentare le articolazioni e i bisogni”. Bene, se le cose stanno in questo modo, una volta tanto scantoniamo dai nostri princìpi e rivolgiamo un appello allo stato perché liberi l’esimio professore e finalmente possa rappresentare in parlamento o in qualche altra sede della putrida democrazia borghese gli interessi di piccoli e medi padroni, di emergenti bottegai “antagonisti” e di tutti coloro che sgomitano impazienti per ingozzarsi con la ricchezza spremuta da milioni e milioni di vite proletarie, del Veneto e del mondo intero.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 1997
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