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Home ›Offensive sindacali per la conservazione del capitale
Mentre la disoccupazione in Germania ha raggiunto in maggio quota 4 milioni 255.000 (437.000 senza lavoro in più rispetto al maggio '96)
Da un po’di tempo, e coinvolgendo nell'operazione ideologica persino qualche gruppo della sinistra più estrema, si guarda al pragmatismo che dimostrerebbero i Sindacati di alcuni Paesi europei. Qualcuno sembra compiacersi nello scoprire i "passi avanti" di una lungimiranza sindacale europea, la quale - di fronte al drammatico problema della disoccupazione - non rinuncerebbe a rivendicare più salari e a difendere l'attuale Stato sociale. Al contrario, cioè, di quanto avviene in casa nostra, dove molto chiaramente i Sindacati rotolano lungo la china del più servile consociativismo.
Ma come vanno in realtà le cose? Di fronte alle pericolose e incontrollabili conseguenze sociali (e politiche) di una disoccupazione dagli stessi capitalisti riconosciuta come strutturale, quali sarebbero le soluzioni almeno parziali da adottare?
La borghesia europea - a cominciare dagli industriali e dal Governo tedesco - sogna per il futuro nuovi posti di lavoro al seguito di una sostenuta esportazione delle proprie merci. Gran parte del proletariato è a sua volta trascinato in questa illusione. Rimane però in tutti i Paesi la preoccupazione di una perdurante stasi dei consumi privati interni. È chiaro quindi che se i redditi (salari) restano fermi o peggio ancora diminuiscono (come massa in generale) calano i possibili acquisti di merci.
Nell'attesa che dal cielo scendano i milioni di posti di lavoro invocati dal cancelliere Kohl, si rende comunque necessaria una "responsabile e disciplinata" politica sindacale. E qui si passa dalle esercitazioni idealistiche - proprie alla economia politica borghese - al vero pragmatismo che le leggi di movimento del capitale impongono. In tema di occupazione il ritornello è identico internazionalmente: precarietà, flessibilità, part-time. La concorrenza sui mercati esige continui aumenti di produttività, riduzioni dei costi del lavoro e dei prelievi fiscali.
La palla a questo punto passa ai Sindacati i quali - ed è il caso tedesco - tentano di esprimere la tendenza del tutto minoritaria avanzata da alcuni economisti: più salari per aiutare la crescita economico-produttiva e in seguito ridurre la disoccupazione.
Sia la prima soluzione difensiva che la seconda che si pretenderebbe offensiva da parte dei lavoratori, non spostano minimamente la questione di fondo. Ovvero - per noi - la conquista di posizioni utili ai fini rivoluzionari del proletariato. Gli effetti del capitalismo sul proletariato restano in ogni caso gli stessi, poiché immutati restano i difetti di funzionamento del capitalismo. Questo non significa, ovviamente, restare indifferenti di fronte alle lotte dei lavoratori per difendere o migliorare le loro condizioni di vita.
La centrale sindacale tedesca, Dgb, ritorna a esplorare progetti di settimane lavorative "cortissime" (quattro giorni, con il sabato lavorativo) e naturalmente con i corrispondenti sacrifici salariali. Una appligazione allargata del modello Volkswagen, che ha ridato ossigeno ai capitalisti dissanguando gli operai. Ancora alla Volkswagen, la presenza di altre migliaia di esuberi ha recentemente spinto sindacati e Direzione aziendale a un'altra "invenzione": il part-time per gli operai oltre i 55 anni di età. Ciò comporta un'altra riduzione dei salari e delle pensioni.
Sempre sull'altare del costo del lavoro, i sindacati tedeschi inoltre sacrificano altre quote di salario per particolari servizi aziendali (manutenzione, sicurezza, eccetera), e un ultimo accordo nel settore chimico ha ridotto del 10 per cento i salari nelle imprese in difficoltà.
Con queste misure si ipotizza la possibilità di nuove assunzioni, mantenendo sempre immutato il rapporto fondamentale (per il capitalismo) tra costo del lavoro e quantità delle merci prodotte. In breve: una "divisione solidaristica del lavoro" presuppone - sempre nella logica delle leggi economiche dominanti - che la attuale somma generale dei salari non aumenti più di tanto. Venga cioè divisa fra un maggior numero di salariati. La divisione della miseria. Altrimenti bisognerebbe aumentare la produzione di merci, che il mercato già saturo respingerebbe, mentre dagli altri Stati arriverebbe una dichiarazione di... guerra!
Le stesse logiche e compatibilità valgono per una proposta di sostituzione delle saltuarie ore di straordinario con nuove assunzioni. I salari aggiuntivi di queste ultime non devono e non possono superare i costi precedenti. E qui le sbandierate controffensive sindacali si concludono. Comprese le proposte di una ulteriore incentivazione degli investimenti per rinnovi tecnologici degli impianti: più produttività, meno operai, mano salari, mercati in crisi.
In questo accavallarsi di contraddizioni (le più elementari) il capitale rimane imprigionato con tutti i suoi reggicoda di destra e di sinistra, liberisti e statalisti. Ed è su queste contraddizioni che noi comunisti dobbiamo spostare l'attenzione delle avanguardie proletarie, avanzando l'esigenza di una vera ripresa della lotta su basi di classe, non di solidarietà nazionale con gli interessi del capitale ma contro di essi.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 1997
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