Destra o Sinistra pari sono

In margine alle elezioni francesi e alle prospettive europee

L’illusione che la vittoria del partito socialista in Francia potesse segnare una svolta destinata a modificare profondamente il processo di costruzione della moneta unica europea è durata lo spazio di un mattino. Da quando cioè il neo ministro dell’economia francese D.S. Khan ha dichiarato che la Francia non avrebbe approvato il documento di stabilità, che fissa le norme che regoleranno i rapporti fra i paesi aderenti alla moneta unica, se in esso non si fossero indicate le politiche economiche che la comunità intende perseguire per fra fronte alla disoccupazione crescente, al vertice di Amsterdam, tenutosi la settimana successiva, in cui il documento è stato approvato dedicando al problema della disoccupazione niente di più di una semplice menzione.

Ad Amsterdam, è bastato che il cancelliere Khol minacciasse di mandare tutto all’aria se non si fossero rispettati gli accordi e i parametri di Maastricht perché anche i socialisti francesi facessero marcia indietro.

L’idea che il processo di costruzione della moneta unica possa avere un percorso alternativo a quello tracciato a Maastricht e come approdo un’Europa del lavoro contrapposta a quella cosiddetta dei banchieri è, infatti, pura fantasia, un’esercitazione intellettuale degli ancora numerosi keynesiani e degli ultimi neo-riformisti in circolazione che si ostinano a ritenere compatibili le logiche del capitalismo con le esigenze e gli interessi del mondo del lavoro.

La moneta unica europea, invece, nasce solo, e in quanto, promette di risolvere i problemi di settori importanti del capitalismo, in particolar modo europeo, e non come strumento di realizzazione di chissà quali ideali.

La Germania infatti intanto è interessata a costruire un’area monetaria di dimensioni continentali e a sostenere per essa anche costi rilevanti, in quanto si attende uno strumento capace di contrastare con efficacia e forza adeguata lo strapotere del dollaro e in subordine dello ien.

Gli Stati Uniti, grazie al fatto di essere i gestori incontrollati dell’unica moneta universalmente accettata come mezzo di pagamento internazionale, come un tempo era l’oro, occupano sul mercato finanziario una posizione di preminenza che consente loro di fare la parte del leone nella lotta per la spartizione della rendita finanziaria. E poiché l’appropriazione di quote crescenti di rendita finanziaria costituisce ormai il tratto saliente del moderno capitalismo, è evidente che la lotta per la sopravvivenza sul mercato mondiale non può prescindere da essa.

Facendo leva oltre che sulla propria potenza imperialistica, sulla drastica riduzione del salario diretto e indiretto, gli Stati Uniti, negli ultimi 15 anni, hanno riconquistato ampi margini di produttività e guidato un processo di ristrutturazione a livello planetario che ha visto le loro imprese, già multinazionali, protagoniste di uno spettacolare processo di concentrazione che le ha portate alla conquista di posizioni monopolistiche in settori quali l’aeronautica militare e quella civile e si accingono a conquistare il primato in alcuni segmenti dell’elettronica, della ricerca scientifica e industriale e in quello delle telecomunicazioni. Sul piano finanziario i Fondi-pensione, le banche e le potenti società finanziarie statunitensi controllano già buona parte della massa monetaria mondiale.

Poiché questo processo se incontrastato porterebbe inevitabilmente al ridimensionamento delle aspirazioni imperialistiche dei maggiori paesi industrializzati del vecchio continente, la costruzione della moneta unica europea ha assunto per questi ultimi un’ importanza enorme e per alcuni di loro addirittura vitale.

In considerazione di ciò, la logica che informa il processo di costruzione della moneta unica non può dunque non tener conto delle condizioni di operatività del capitalismo statunitense e a queste uniformarsi.

Pertanto, che alla guida dei governi europei vi sia la destra o la sinistra costituzionali, dato che l’obbiettivo della moneta unica è comune a entrambi gli schieramenti, la politica economica e monetaria non può che essere quella in atto e cioè quella che ha come riferimento il raggiungimento delle medesime condizioni di operatività del capitalismo a stelle e strisce.

La Germania mirando da un lato a conservare la leadership europea e, dall’altro, a espandere la propria potenza imperialistica, non può consentire, e consentirsi, la nascita di una moneta unica debole che potrebbe crollare al primo stormir di fronda trascinando con sé tutto e tutti. Essa potrà anche concedere un’interpretazione elastica di qualcuna delle clausole previste dall’accordo di Maastricht; potrebbe, per esempio, accettare, perché essa stessa non è in regola, che non sia qualche decimo di punto percentuale del debito rispetto al Pil la discriminante per l’accettazione di un paese nella moneta unica, ma non transigerà sulla sostanza del quadro macro economico di ciascuno che vorrà coerente con le ragioni stesse per cui la moneta unica è stata progettata e che in questa fase escludono nella maniera più assoluta interventi dello Stato a sostegno della domanda dovendosi lo Stato occuparsi unicamente di sostenere l’offerta ovvero il grande capitale.

Per la Germania imbarcare sulla nave della moneta unica un paese che manovra il finanziamento in deficit dello Stato secondo gli schemi keynesiani significa correre il rischio di farsi carico di una quota aggiuntiva di debito assolutamente insostenibile e quindi da temere come la peste. D’altra parte, sfuggire alla logica tedesca significa accettare di essere prima o poi inglobati nell’area del dollaro che questa condizione capestro ha già metabolizzato causando milioni di disoccupati, il crollo dei salari reali, l’allargamento della povertà e una concentrazione della ricchezza in poche mani senza precedenti nella storia recente del capitalismo. Al di fuori delle grandi aree monetarie costituite o in costituzione non vi è che l’emarginazione totale, la cancellazione pura e semplice dalla mappa economica del mondo.

È evidente quindi che se è falsa la propaganda neo-liberista che giustifica i sacrifici imposti ai lavoratori promettendo loro un futuro in cui il trionfo della libera concorrenza li renderà ricchi, liberi e felici è altrettanto falsa quella neo-riformista e neo-keynesiana che lascia intravedere la possibilità di creare, oltre che un’area monetaria alternativa a quella del dollaro anche un modello economico capitalistico alternativo a quello oggi dominante in cui la mediazione dello Stato potrebbe garantire una qualche forma di protezione sociale anche nella fase ascendente del ciclo di accumulazione capitalistica come è quella attuale. Il capitalismo ormai ha disceso fino in fondo la sua china e non ammette al suo interno opzioni alternative. L’alternativa è storica ed è il superamento degli attuali rapporti di produzione.

G.P.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.