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Home ›La vicenda Renault e il primo sciopero senza frontiere
La classe operaia non ha nazione...
Per gli industriali di tutto il mondo e per il codazzo di economisti, intellettuali e giornalisti al loro seguito, le cause principali della disoccupazione sono il troppo elevato costo della manodopera e la rigidità del mercato del lavoro.
Forti di questa certezza indiscutibile e inattaccabile, con l’aiuto dei vari governi e sindacati locali, sono state radicalmente modificate, peggiorandole, tutte le leggi e norme che regolano il mercato del lavoro, sia in entrata (assunzioni) che in uscita (licenziamenti).
Da un lato, il lavoro a tempo indeterminato e il salario pieno sono divenuti quasi una eccezione sostituiti da una miriade di contratti, accordi, deroghe e clausole per rendere più flessibile l’utilizzo della forza lavoro e ridurre fortemente i salari, mentre dall’altro è divenuto sempre più facile licenziare, sospendere o ricorrere a varie forme di mobilità che si traducono poi puntualmente in forme di licenziamento più o meno camuffato.
In generale, la classe operaia isolata e assediata ha dovuto piegarsi allo strapotere padronale, ma periodicamente, in vari paesi puntualmente riesplode la rabbia operaia dando vita a lunghi e intensi episodi di lotta in difesa del salario e del posto di lavoro.
Esemplare è il caso della Renault. La casa automobilistica francese ha goduto per oltre un anno delle sovvenzioni concesse dal governo per combattere la crisi di settore e in più ha imposto nei suoi stabilimenti un forte aumento dei ritmi e delle cadenze, ma esaurito l’effetto degli incentivi, le vendite di auto sono precipitate toccando punte negative del 24-25%. Così, la Renault ha chiesto ancora una volta al governo di intervenire finanziando il prepensionamento di 40.000 lavoratori in cambio dell’assunzione di 14.000 giovani con contratti di lavoro flessibile, in modo da scaricare sullo stato i lavoratori eccedenti guadagnando in un solo colpo un risparmio netto sul monte salari, una consistente fetta di nuovi lavoratori da utilizzare in piena libertà a salari ridotti e infine lo smaltimento delle eccedenze produttive mantenendo elevata la produttività. Dopo il parere negativo del governo è scattato il piano di licenziamenti: 3.000 in Francia e 3.100 in Belgio, dove sarà chiusa la fabbrica di Vilvoorde nonostante la recente ristrutturazione degli impianti con i soldi statali. Immediatamente però, sono partiti gli scioperi in tutte le fabbriche del gruppo, in Francia, Belgio e Spagna che si sono poi rapidamente allargati ad altri settori colpiti da provvedimenti analoghi come la siderurgia, le assicurazioni e la meccanica pesante.
Certo, la direzione delle lotte saldamente controllata dalle organizzazioni sindacali che stanno cercando di impostare con la direzione della Renault e il governo belga una trattativa attorno a una ipotesi di riduzione di orario e di salario comunque penalizzante per tutti i lavoratori, ma, nonostante i limiti oggettivi, lo sciopero europeo assume un importante significato perché è riuscito a spezzare l’isolamento sconfiggendo il disegno dell’azienda di mettere gli operai del gruppo gli uni contro gli altri.
La mondializzazione dell’economia dimostra che i padroni adottano ovunque le stesse strategie, aumentano lo sfruttamento, riducono i salari e quando si riducono le vendite non esitano a licenziare i lavoratori in eccesso per poi ricominciare, appena il mercato riprende, a chiedere ritmi sempre maggiori, nuovi turni e lavoro straordinario per chi è rimasto in fabbrica.
Se l’attacco e gli obiettivi dei padroni sono dovunque gli stessi la stessa deve essere la risposta, la lotta, perché sia efficace deve allargarsi coinvolgendo tutti i settori economici minacciati dalla ristrutturazione e dai licenziamenti travalicando i confini nazionali.
L’unità della lotta per in obiettivo immediato comune è il primo passo, e alla Renault è stato compiuto, il passo successivo è individuare i sindacati come corresponsabili delle politiche dei governi e dei padroni di sacrifici e di attacco alle condizioni di vita di tutti i lavoratori e organizzarsi autonomamente per la difesa reale dei propri interessi.
Mai come oggi è dunque divenuta di grande attualità la parola d’ordine: La classe operaia non ha nazione...
LPBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 1997
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