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Sull’indirizzo internazionale del Partito Comunista Internazionalista
Innegabilmente stiamo attraversando un periodo di bassa tensione storica che potremmo chiamare d'attesa e di preparazione, purtuttavia ricco di imprevisti e di contraddizioni: c'è nell'aria sospeso un senso diffuso di smarrimento e di ansia insieme. Certi valori tradizionali che un tempo erano motivo di vanto delle borghesie nazionali e che sembravano rendere saldi e indistruttibili i pilastri su cui essi poggiavano, sono decaduti, avviliti, incapaci ormai di rappresentare un serio presupposto "morale" ad un nuovo capitolo della storia della borghesia; hanno cessato di essere validi ormeggi a cui attraccare allorchè un imprevisto e sempre possibile fortunale squassi economie, istituzioni e coscienze. È soltanto un sintomo evidente della crisi che sta logorando in profondità il tessuto connettivo della borghesia, ma non è ancora tutta la crisi nel senso che questa non è pervenuta al limite di rottura dei suoi argini di sicurezza per i quali si rovesceranno violente le forze della rivoluzione.
In quest'ultimo scorcio di tempo due accadimenti hanno assunto per noi importanza fondamentale ai fini di una maggiore precisazione dei problemi della strategia rivoluzionaria: i moti tedeschi del giugno 1953 e gli scioperi dell'agosto in Francia. Essi sono universalmente noti e la loro importanza non è data da una modificazione della situazione obiettiva che non si è di fatto verificata, ma dalla constatazione del perché questi moti non sono pervenuti a incidere più o meno profondamente nei rapporti di classe tra il proletariato dei due paesi e i loro rispettivi dominatori, ad onta dell'ampiezza del movimento e dell'incalcolabile capacità esplosiva e distruttrice della violenza di classe scatenata. Il problema strategico che scaturisce da questi avvenimenti e particolarmente da quelli tedeschi è posto in questi termini: possono le masse operaie spinte all'azione insurrezionale pervenire "da sé" con il proprio impulso e la propria iniziativa, in piena autosufficienza, alla soluzione di tutti gli obiettivi posti dalla stessa azione insurrezionale fino alla conquista del potere? Quale reale portata possono avere gli organismi sorti nel momento dell'azione di classe? Per la loro stessa estemporaneità possono questi organismi avere un peso determinante nello sviluppo di tale azione?
Si tratta, in altre parole, di un problema non nuovo alle avanguardie rivoluzionarie ma reso attuale, più vivo e pressante dagli avvenimenti della Germania Orientale, problema che costituisce la trama e la preoccupazione maggiore dell'«Indirizzo Internazionale» rivolto dal Partito Comunista Internazionalista ai raggruppamenti della sinistra rivoluzionaria internazionale.
Non a caso perciò questa prima nota di commento pone l'accento sul problema del partito di classe e dei suoi rapporti colle masse che costituisce tuttora il banco di prova per quel processo di decantazione teorica e di selezione di forze da cui dipende la possibilità obiettiva di un primo allacciamento delle forze d'avanguardia in vista della costruzione del partito internazionale della rivoluzione socialista.
Ha scarsissima importanza che le risposte all'«Indirizzo» pervenuteci finora siano poche e non sempre positive; è importante invece che ci si sia messi in questa direzione e si sia finalmente aperto il dialogo con coloro che sentono, quale imprescindibile dovere della milizia rivoluzionaria, di discutere apertamente e senza la presunzione di considerarli risolti, tutti i problemi della lotta operaia.
L'«Indirizzo Internazionale», non vuole essere la piattaforma organica e compiuta per nessuna intesa teorica e organizzativa con chicchessia; esprime soltanto il punto di vista del Partito Comunista Internazionalista intorno ai maggiori problemi posti sul tappeto dalle recenti esperienze della lotta operaia, esprime cioè premesse dottrinarie, definizioni teoriche e visioni tattiche che costituiscono una base serie di discussioni teoriche e visioni tattiche che costituiscono una base seria di discussioni e di confronto, certo con l'obiettivo di pervenire presto o tardi ad una piattaforma comune di pensiero, di organizzazione e di lotta.
In questo senso il contributo portato dal documento dei GAAP è certamente notevole anche là dove precisa noti dissensi che soltanto una milizia comune condotta spalla a spalla ed una esperienza fatta sul campo vivo della lotta rivoluzionaria potranno considerevolmente attenuare se non eliminare del tutto.
Va da sé che questi dissensi vertono su problemi marginali anche se investono questioni che in determinate situazioni possono assumere importanza fondamentale: sono in genere quelli che rimbalzano dalla nota problematica anarchica e che una generica, intellettualistica accettazione del materialismo storico non riesce sempre a sanare.
D'altronde perché tanta cura a evitare l'etichetta "marxista" a questa dottrina? Forse per la preoccupata constatazione che il termine "marxismo" è servito e serve egregiamente anche a contrabbandare le merci più svariate dell'opportunismo? È ovvio che questo nessuno lo contesta; ma si sono chiesti i nostri compagni del GAAP se lo stesso materialismo storico non sia servito e non serva come strumento di lavoro nell'indagine economica sociale e politica a sostegno anche delle tesi più reazionarie del determinismo meccanicistico fatto proprio tanto dai riformisti che dai marxisti cosidetti "integrali" che in nome del... calcolo delle probabilità sanno prevedere lo scoppio della rivoluzione socialista tra settanta anni o giù di lì?
Dovrebbe esserci comune ormai la convinzione che nel marxismo dottrinario si caratterizza la totalità del pensiero internazionale del socialismo rivoluzionario e che sotto tale denominazione va inteso non soltanto il corpo di dottrina della interpretazione materialistica della storia, ma tutta l'esperienza politica del proletariato rivoluzionario dalla Prima Internazionale alla Rivoluzione di Ottobre e giù giù fino a quest'immane deflusso di classe conseguente al processo involutivo e obiettivamente controrivoluzionario del primo stato proletario.
Non si può, né si deve bizantineggiare su questo fondamentale dato di fatto entrato di diritto nella storia anche se è sempre da attribuirsi a malvezzo politico l'averlo caratterizzato col nome del suo primo enunciatore. Né sarebbe auspicabile l'elaborazione di una nuova esegesi della doppia verità, quella di un Marx bakuninista o di un Bakunin marxista che finirebbe per aggiungere confusione a confusione.
Per tutto il resto lasciamo che i motivi di dissenso tutt'ora esistenti su problemi di fondo, del resto facilmente individuabili fra le righe di questo primo tracciato di dibattito, trovino nel dibattito stesso la loro linea di "confluenza" o comunque il modo di precisarsi senza possibilità di equivoca. Per ciò che particolarmente concerne i compagni che si richiamano alla tradizione politico-ideologica dell'anarchismo, si tratterà di vedere fino a che punto l'essere pervenuti a far propria la dottrina del "comunismo critico" e della "filosofia della prassi" significherà adesione a quei principi fondamentali che già misero di fronte Marx e Bakunin (a meno che non si voglia attribuire il loro dissidio.., ad una disfunzione delle rispettive vie biliari); principi a cui si è informata e si informa l'esperienza politica dei partiti a tradizione marxista rivoluzionaria, che ha avuto la sua più significativa e completa manifestazione nelle forze guida della rivoluzione d'ottobre e della prima' dittatura proletaria, per il periodo di tempo in cui tale dittatura è stata di fatto "proletaria".
È quanto scaturirà dalla libera espressione di questo dialogo, aperto internazionalmente ai gruppi rimasti fedeli alle esigenze della lotta rivoluzionaria.
C'è poi la dichiarazione "notarile" dei compagni del gruppo "Socialisme ou Barbarie". Questi compagni hanno ritenuto di considerare questa iniziativa del Partito Comunista Internazionalista da un punto di vista strettamente procedurale, evitando con intenzione di entrare in merito ai problemi trattati nell'«Indirizzo». Abbiamo detto a questi compagni che gli impegni reciprocamente assunti con la nota mozione approvata al Congresso di Milano (maggio-giugno 1952) non soltanto rimangono validi, ma trovano ulteriore applicazione e sviluppo nelle idee e nei propositi che sono alla base di questa nostra iniziativa. Sta di fatto però che il problema di procedura messo così innanzi non elimina la constatazione del diverso modo di sentire, ad esempio, il problema dell'avanguardia rivoluzionaria e dei suoi compiti di fronte alle masse operaie e alla loro azione di classe. Sotto questo aspetto il modo di interpretare gli avvenimenti tedeschi fatto sulla rivista "Socialisme ou Barbarie" è sufficientemente indicativo.
È comune ai due documenti di risposta che pubblichiamo, l'impressione che nell'«Indirizzo» si sia dato troppo peso alle più recenti posizioni di Bordiga. Ma si tratta poi d'una semplice "querelle" interna al Partito Comunista Internazionalista? E non è soltanto polemica l'affermazione che "al di fuori dell'Italia, le posizioni di Bordiga non sono conosciute e il bordighismo non è mai stato una corrente internazionale"?
Bisogna invece obiettivamente riconoscere che i termini di questa polemica vertono su problemi, quali: l'interpretazione del rovesciamento della prassi; capitalismo di stato; capitalismo numero uno; natura e funzione del partito di classe, ecc., che, quando si considerano sulla linea storica della elaborazione della teoria rivoluzionaria, quale che sia in questo senso il loro peso specifico e il loro effettivo contributo, hanno cessato di essere l'espressione propria di questo o quel compagno, di questo o quel paese per divenire parte integrante di quella complessa problematica di classe nella quale anche il contraddittorio, il marginale e persino il deteriore assumono dialetticamente la loro ragion d'essere.
Del resto senza la pretesa ridicola di internazionalizzare il bordighismo come corrente, quanta parte di questa nostra polemica "interna" non è oggi presente nei dibattiti dei raggruppamenti usciti dalla lacerazione politica e organizzativa della Internazionale comunista?
Abbiamo così messo in evidenza i due problemi che assumono per noi importanza pregiudiziale: la legittimità in sede di dottrina e di prassi politica del marxismo in quanto teoria della rivoluzione proletaria, e il riconoscimento della necessità storica del partito di classe che nessun surrogato, di nessun genere, sia pure germogliato dal seno stesso della lotta operaia può in alcun modo sostituire.
L'assunto posto a fondamento della nostra iniziativa comporta il più vasto e formativo confronto di idee e di esperienze, unite nella preoccupazione dì pervenire all'unità ideologica delle forze dell'avanguardia rivoluzionaria senza la quale nessuna unità organica potrà realizzarsi.
È ora di rispondere allo stato di ansiosa attesa delle masse operaie in questa buia e disperante ora del mondo borghese, ansiosa attesa d'una parola che dica con chiarezza che c'è ancora una via, quella del socialismo, per sfuggire all'inferno capitalista.
Per il Partito Comunista Internazionalista, Onorato DamenPrometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
Prometeo #6
Anno VII - Serie II - Marzo 1954
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