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Home ›La beffa del “diritto sociale e pubblico” alle pensioni
Che il quadro pensionistico si stia quanto meno “ingrigendo”, non vi è alcun dubbio. Anzi, sta maturando un disastro sociale che in campo previdenziale potrebbe diventare una vera e propria “bomba”. Il futuro dei giovani, con il regime contributivo, è già nero: chi è entrato nel mercato del lavoro dopo il 1995, con salari bassi e discontinui, avrà pensioni da miseria...
Tuttavia, le informazioni ufficiose (poco note) di circa un anno fa parlavano di un “saldo tra le entrate contributive e le prestazioni pensionistiche previdenziali, al netto delle ritenute fiscali, ancora attivo per un ammontare di 27,6 miliardi di euro, pari all'1,8% del Pil".
Va dunque notato che questo caritatevole sistema, con tanto di timbro costituzionale e giuridico, avrebbe tutto sommato ancora conti in equilibrio, con un saldo - fra entrate e prestazioni pensionistiche - in attivo di quasi tre decine di mld di euro. Le “cure dimagranti”, a base di assegni sempre più ridotti, danno buoni risultati!. Specifichiamo che il conteggio “positivo” era fatto al netto delle ritenute fiscali, calcolando cioè ciò che esce dall’INPS e ciò che entra in tasca ai pensionati. Se, come fa l’Eurostat, si inseriscono nella spesa dell’Inps anche i trattamenti di fine rapporto (che non sono pensioni) e tutto al lordo delle ritenute fiscali, i risultati cambiano e i conti figurano in rosso!
Va anche detto che da tempo le pensioni non sono più agganciate agli aumenti salariali (seppure pochi…) e non hanno più alcuna indicizzazione. Nella mitica Germania (rinfacciataci da mattina a sera e dove comunque per i proletari le condizioni di vita e di lavoro non vanno molto meglio!) le pensioni sono ancora indicizzate sia ai salari sia all’inflazione.
Ora, col nuovo Governo giallo-verde, cosa accadrebbe? La legge Fornero (2012), per gli anticipi di pensione, “offriva” una combinazione tra età (67 anni) e periodo contributivo (per 43 anni). Già prima, con la legge Sacconi, si era cominciato a menar randellate sui futuri pensionati. Ora basterà che la somma (età 62 + 38 anni di contributi) arrivi a 100 perché si possa avere una pensione “anticipata” e, naturalmente, ridotta, alleggerita. Si calcola, da più parti, la riduzione di quasi un terzo del proprio stipendio, sempre ammesso che vi siano 38 annualità complete di contributi. (1)
Quanto all’aggravarsi di uno sbandierato debito pensionistico, i populisti “giiallo-verdi” accendono le luci su una loro previsione di almeno 400mila giovani nuovi assunti (lo proclama Salvini, mentre Di Maio arriva a 500mila!) i quali consumerebbero più merci e quindi ne aumenterebbero la domanda, con quello che tutti chiamano “effetto moltiplicativo virtuoso”. Completamente ignorata la crisi strutturale che sta minando l’economia capitalista in tutto il mondo.
Ad ogni modo, quella che prosegue è una vera e propria macelleria sociale, dove il sistema previdenziale (dobbiamo a quel “filantropo sociale” che fu Mussolini l’unificazione (1935) delle normative pensionistiche) soggiace alle esigenze del capitale. Il quale si vede costretto – in questi tempi, per lui, di vacche magre – ad arrampicarsi sui muri per non perdere acquirenti di merci quando una massa crescente di uomini e donne (già, si campa qualche anno in più!) sono pur costretti, fisicamente sfiniti, ad abbandonare il loro eventuale posto di lavoro. Alcuni di loro dopo (fortunati?) decenni di vere e proprie torture in fabbrica o negli uffici.
I commenti degli “esperti”, al servizio della conservazione di questo marcio sistema economico, piangono lacrime di coccodrillo sulle difficoltà di equilibrare una capacità produttiva che il capitale è costretto a rincorrere per compensare la caduta del saggio medio di profitto dei capitali investiti (ma questo, ben inteso, non lo dicono!), e si tormentano in vani tentativi per movimentare i consumi di merci. Visto che i salari (in diminuzione) non possono incidere più di tanto sulla domanda, anzi…
E ora che i limiti della spesa pubblica sono sotto gli occhi di tutti e le “politiche sociali” diventano una bestemmia; ora che il capitalismo mostra tutte le sue esplosive contraddizioni, c’è sempre qualche “servo sciocco” che si lamenta per le incapacità dimostrate nel non saper “rinnovare” il modello economico-sociale, ricorrendo agli… equilibri politici. Ci vengono a raccontare (mistificando il tutto) che purtroppo la “pacchia” per gli anziani lavoratori è finita. Da oggi in poi saranno restituiti solo i contributi versati a suo tempo: peggio per chi non avrebbe saputo vendere meglio l’uso capitalistico della propria forza-lavoro e vorrebbe ugualmente godere privilegi immeritati! Lavoratori, volete una rendita vitalizia? Qualcosa vi daremo, ma se non avete versato il “dovuto” contributo prima di invecchiare, avrete l’elemosina di un assegno mensile di poche centinaia di euro! Troppi proletari avrebbero fatto, per tutta la loro vita, le cicale e non le formiche – a parte il fatto che il capitale vorrebbe contemporaneamente le une e le altre. Ed ora, tutti i proletari si devono “mettere in riga”, da bravi cittadini!
Seguono – di conseguenza – gli incubi sul crollo del potere d’acquisto poiché tra innalzamento dell’età pensionabile e dei nuovi e riduttivi calcoli, il passaggio al cimitero potrebbe abbreviarsi. Altro che aumento delle “aspettative” di vita!
Ma non finisce qui; siamo letteralmente presi per il fondo dei pantaloni da quei servi del capitale che, pronti ad indossare camicie di qualsiasi colore, hanno sempre a portata di mano il grembiule da macellai e strumenti ben affilati da usare contro il proletariato. Anche quando ipocritamente qualcuno si finge indignato perché l’Italia è diventata un sistema pensionistico pubblico troppo austero, dimenticando lo stillicidio di riforme che sono piovute su una ben definita classe dei “cittadini”. “Tagli” indispensabili, quelli fin qui effettuati, a cominciare dalla prima riforma Dini 1995; ma sapete perché questi veri e propri sepolcri imbiancati si fingono preoccupati? Perché in Italia mancherebbe il “pilastro” che altri Paesi del bel mondo capitalista hanno costruito, ovvero la cosiddetta previdenza complementare, i famosi fondi-pensione.
Non importa se le pensioni pubbliche sono da fame giornaliera: il “modello” del lavoratore salariato (anche se a tempo determinato, usa e getta, ecc.) potrebbe contare su altre fonti: se la base pubblica si fa più invisibile, gli viene fatto intravvedere un “reddito” complementare privato, legato ai contributi versati ai fondi pensione di categoria o ad una polizza vita. Ebbene, in Italia tutto questo non “decolla” e le bande della pubblica e privata speculazione si spazientiscono!
Ma, come dice la borghesia e con lei predicano tutti quelli che frequentano i suoi palazzi, “il lavoro (salariato) è condizione di vita”. Quello della carità pensionistica non è che un optional, per chi ce la farà a concludere il suo cammino in questa valle di lacrime...
DC(1) C’è chi mormora di una perdita al netto dell'11%; altri di più del 20%,al lordo. Da notare che, fra calcoli sempre più confusi e contrastanti, il governo (Dpb - Documento programmatico di bilancio) valuta una spesa dai 6,7 mld ai 7 mld all’anno fino al 2021, la quale potrebbe far barcollare l’Inps, ligio alle indiscutibili leggi del capitale.
Battaglia Comunista #11-12
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