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Home ›Da Nola a Melfi, la Fiat licenzia e sfrutta
Il 21 Maggio si terrà la prima udienza della causa legale riguardante il licenziamento di cinque operai della Fiat di Pomigliano, trasferiti dal 2008 nel reparto confino di Nola. Cogliamo l’occasione per far conoscere, per quanto ci è possibile, le vicende che hanno coinvolto questi lavoratori. Invitiamo ovviamente tutti – a partire dai proletari e dai loro figli - a portare solidarietà agli operai la mattina del 21 Maggio fuori il tribunale di Nola con la consapevolezza che, seppur il terreno sul quale andrà combattuta la lotta di classe proletaria non sarà un'aula di tribunale, è comunque importante in queste occasioni far sentire la solidarietà di classe agli operai coinvolti nella causa.
Gli operai vennero licenziati nel giugno dello scorso anno in seguito ad una manifestazione messa in atto fuori il “Polo logistico” di Nola. Durante quella manifestazione i lavoratori avevano posto sulla strada finti cadaveri ed esposto un fantoccio "impiccato" raffigurante Sergio Marchionne: si trattava di una semplice manifestazione, attraverso la quale i lavoratori intendevano denunciare lo stato di sfruttamento degli operai in Fiat, i ritmi incessanti e la condizione di precarietà, stress e disperazione vissuta da chi – come loro – viene lasciato perennemente in cassa integrazione. Disperazione che a volte può essere causa o concausa di gesti estremi. La protesta venne infatti organizzata spontaneamente dagli operai in seguito al suicidio di una loro collega, anche essa confinata al reparto di Nola e posta, negli ultimi anni, continuamente in cassa integrazione.
Cinque licenziamenti contro una manifestazione simbolica e pacifica di un piccolo gruppo di operai. Questa reazione della Fiat potrebbe apparire semplicemente come un atto di dispotismo sproporzionato, dettato magari dalla cattiveria e dalla permalosità dello stesso Marchionne, ma la questione, a nostro modo di vedere, andava ben oltre tali giustificazioni: stiamo infatti parlando di un colosso industriale internazionale, che pianifica per bene ogni sua mossa… non si è trattato di una reazione istintiva dettata da una incazzatura momentanea, bensì di un chirurgico atto politico repressivo, con l’immancabile supporto dello Stato.
Per comprendere meglio questa nostra affermazione va aperta una breve parentesi facendo un piccolo passo indietro. Attraverso la riorganizzazione della produzione la Fiat è riuscita a rilanciare il gruppo producendo profitti per i padroni, guadagnando posizioni nel mercato dell’auto ma, allo stesso tempo, intensificando lo sfruttamento degli operai. Non dimentichiamo che la ristrutturazione industriale condotta attraverso il piano Marchionne partì proprio dallo stabilimento di Pomigliano e per non trovare sulla propria strada alcun ostacolo la Fiat decise, come misura preventiva, di escludere dall’impianto gli operai che, potenzialmente, avrebbero potuto ostacolare la riorganizzazione del lavoro; magari promuovendo azioni di protesta. Venne così aperto il reparto logistico di Nola, nel quale deportare i “cattivi” e i “fannulloni”.
Anche in quel caso si trattò di una azione politica studiata, avvenuta con l’apporto dello Stato e della polizia, che intervenne manganellando gli operai che picchettavano la fabbrica e bloccavano la produzione. Dei lavoratori che nel 2008 si resero protagonisti di quelle giornate di lotta, sono stati purtroppo in pochi a non arrendersi, a continuare – nonostante una situazione certamente non favorevole - il proprio impegno fuori la fabbrica. Si tratta degli operai che, ormai da diversi anni, si sono organizzati nel Comitato di Lotta cassintegrati e licenziati Fiat Pomigliano.
Non abbiamo nessun interesse a fare sviolinate nei confronti di questo o quel gruppo di operai, visto che non abbiamo tessere da vendere o voti da chiedere. Riteniamo che sia dovere dei comunisti favorire e sostenere processi di lotta volti ad unire i lavoratori al di là ed oltre le sigle sindacali. Ma, allo stesso tempo, crediamo rientri sempre tra i doveri dei comunisti esprimere la propria opinione, anche quando questa è in contrasto con l'operato degli stessi lavoratori… senza la pretesa di convincere ma per stimolare la riflessione, per contribuire a far crescere la coscienza politica e l’organizzazione proletaria. Tutto ciò vale ovviamente anche nel confronti degli operai del Comitato.
Premesso questo, crediamo sia doveroso sottolineare che – al di là dei limiti del caso - gli operai che si sono organizzanti in questi ultimi anni sotto la sigla del Comitato di lotta sono stati gli unici che hanno cercato di spronare realmente gli altri operai a contrastare, con forme incisive di protesta e sciopero, i piani aziendali; sono stati gli unici a portare avanti con coraggio un lavoro di organizzazione operaia che andasse oltre gli interessi di “bottega” (ovvero le sigle sindacali) ponendo al centro la salvaguardia della difesa delle loro condizioni; così come sono stati gli unici a porre l’accento sulla necessità di rifiutare ulteriori sacrifici. Per tali motivi abbiamo sempre stimato questi lavoratori.
La situazione in Fiat non è quella idilliaca descritta da Marchionne e dai suoi sostenitori: gli operai estromessi dal ciclo produttivo sono molti e i carichi di lavoro sono diventati disumani. Il malcontento tra gli operai, per quanto soffocato, c'è e in quest'ottica anche un gruppo piccolo di operai, che porta avanti un lavoro agitatorio fuori la fabbrica, può dare fastidio e diventa oggetto della repressione padronale.
Senza contare che il piano della Fiat mira all'intensificazione dei livelli di sfruttamento ed operai agitatori rappresentano certamente un ostacoli per la realizzazione di questo piano. La Fiat vuole avere libertà assoluta per vincolare sempre di più le modalità di sfruttamento degli operai all’andamento del mercato: spremerli quando occorre per massimizzare il profitto, escluderli dal ciclo produttivo quando non servono alla valorizzazione del capitale. Dimostrazione di tutto ciò sono le modalità con le quali sono avvenute le assunzioni fatte di recente a Melfi, da noi già commentate, i sabati straordinari obbligatori imposti a marzo sia a Pomigliano che a Melfi ed il passaggio dello stesso stabilimento di Melfi al ciclo continuo, con i venti turni settimanali.
Sempre in tale direzione va letta anche la proposta di Marchionne circa il nuovo sistema di incentivazione, proposta ben accolta anche da molti esponenti politici “di sinistra” e sindacali. Il nuovo sistema di incentivi prevede un salario “di base” al quale aggiungere una quota salario vincolata all’efficienza dei singoli stabilimenti ed una altra quota di retribuzione legata ai risultati complessivi ottenuti dal gruppo industriale in Europa e in Medio Oriente. Una forma salariale quindi sempre più legata alla produttività, praticamente una nuova forma di lavoro a cottimo. D’altronde lo abbiamo detto già altre volte: in questa fase storica il capitalismo per intensificare lo sfruttamento e massimizzare i profitti sovrappone ai moderni criteri di sfruttamento (uso della tecnologia per aumentare ritmi e produttività della forza-lavoro) le modalità operative del capitalismo ottocentesco come allungamento della giornata/settimana lavorativa (quando occorre) e le moderne forme di lavoro a cottimo.
NZBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #05
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Comments
Ieri, 4 giugno, il giudice del lavoro del tribunale di Nola ha bocciato il ricorso dei 5 operai, restano quindi confermati i licentiamenti!