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Home ›La “coalizione sociale” di landini e la prospettiva rivoluzionaria
Da qualche giorno su web e giornali trova molto spazio il nuovo progetto politico di Maurizio Landini, attuale segretario della Fiom (il ramo metalmeccanico della Cgil). In qualità di comunisti, di rivoluzionari, non possiamo che porre l'attenzione su tutto ciò che si muove sul palcoscenico politico, tanto più a sinistra tra quelli che si vogliono qualificare quali rappresentanti del quel popolo lavoratore, da troppi anni maltrattato e frustrato.
Non ci resta, quindi, che analizzare brevemente di che si tratti, per verificare se la proposta politica in questione coincida, o meno, con quella che per noi è l'unica strada percorribile per una riscossa concreta della classe lavoratrice, e la sua definitiva emancipazione dallo sfruttamento salariale: rivoluzione proletaria, autogoverno dei lavoratori, superamento del sistema del profitto e, di conseguenza, delle crisi e delle guerre da esso derivanti.
La "coalizione sociale" di Landini: cos'è? dove vuole andare? cosa vuole? Queste sono le domande a cui cercheremo di rispondere.
Cos'è la "coalizione sociale" (da qui in avanti C.S.)? Da chi è composta? CHI è LANDINI?
il 21 marzo si è tenuta la prima riunione a porte chiuse di questa fantomatica C.S., al'interno della sede romana della Fiom, indetta dallo stesso padrone di casa, Landini.
Hanno partecipato diverse associazioni, tra cui Libera (associazione contro la mafia), Arci, Giustizia e libertà, Articolo 21 e ong come Emergency, nonché appartenenti al sindacato, ex grillini, studenti e diverse personalità di spicco del panorama culturale nostrano o che, pur non partecipando fisicamente, hanno sostenuto e condiviso l'iniziativa, vedi Rodotà. L'iniziativa ha ricevuto la solidarietà anche di politici come Nichi Vendola (Sel), per il quale tale iniziativa serve "a ricordare cosa significa veramente alternativa".
Certo è che, se a portare l'alternativa è un personaggio come Landini possiamo ben immaginare di quale alternativa si stia parlando. Basta scorrere il suo curriculum per capire i suoi trascorsi e le sue intenzioni. Segretario dell'ala metalmeccanica (Fiom) della Cgil, ovvero di quel sindacato che ormai non fa che ratificare, firmando, ogni tipo di contratto con la scusa sempre buona di tutelare l'occupazione. Meglio avere un lavoro di merda che non averlo, meglio lavorare il doppio alla metà del salario che non fare niente, e via dicendo... Di questo passo presto ci sentiremo dire "meglio tagliare un arto che morire!". Ma questo "meglio" sembra tanto più a vantaggio dei padroni che dei lavoratori... La Cgil ha accettato e continua ad accettare qualsiasi soluzione contrattuale pur di sedersi al tavolo delle trattative, meglio dire delle ratifiche, per poter continuare a mantenere il suo ruolo di "rappresentanza". A guardare bene, sembrerebbe (si fa per dire) che la Cgil non rappresenti i lavoratori, ma sia passata nel campo nemico, rappresenti gli interessi dei padroni e le necessità dell'economia nazionale, facendo passare il tutto tra gli stessi lavoratori.
La sostanza politica del progetto si può comprendere, oltre da chi l'ha promosso, anche da chi è stato invitato: sindacalisti, volontari umanitari, legalitaristi ecc... in una parola riformisti, magari con le migliori intenzioni, ma pur sempre riformisti (organizzazioni e individualità che voglio migliorare il sintema senza metterne i discussioni le basi economiche politiche e sociali). Ma su questo punto torneremo più avanti.
Su che terreno si pone?
Il terreno scelto da Landini è alquanto ambiguo, ma allo stesso tempo chiaro. Si tratta di una riunione politica fatta in una sede sindacale, due cose apparentemente in contraddizione tra loro. In bilico tra politica e sindacalismo? O con l'intenzione di tornare a fare politica con il sindacato? Forse, più precisamente, denota la volontà di Landini di riportare il sindacato a fare un certo tipo di politica. Non che il sindacato non faccia politica - chi lo nega o è un ingenuo o in mala fede - ma ne fa una totalmente subalterna al governo e confindustria, mentre Landini vuole tornare alla politica di un tempo che fu. Parliamo ovviamente della Cgil, che a braccetto col Pci, dettava legge tra i lavoratori facendosene rappresentante nelle stanze del potere, con l'intento di coogestire il sistema dello sfruttamento (vedasi ricostruzione post bellica e anni '40 e '50). Purtroppo per Landini, quei tempi di crescita dei profitti con le relative briciole per noi lavoratori sono finiti, oggi è il tempo delle lacrime e del sangue, come al solito il nostro. Ci sarebbe da chiedersi se Landini desidera un capitalismo in perenne crescita per poter far star bene un po' tutti, tingendo d'oro le catene del nostro sfruttamento, elargendoci le briciole che avanzano dai loro (dei padroni) mega profitti sempre frutto del nostro sudore. Se immagina, insomma, un capitalismo dal volto umano, generoso, che sappia ridistribuire la ricchezza e non distruggere ogni cosa solo per il profitto. Chissà? in ogni caso, vivrebbe sulla Luna, poiché il capitalismo non può esistere senza crisi né disuguaglianze, proprio perché di esse si nutre e si serve. Sono connaturate al capitalismo stesso, solo superandolo potremo eliminarle. Sfortunatamente tale problema non viene minimamente posto da Ladini come vedremo più in là.
Il terreno scelto da Landini è allo stesso tempo sindacale e politico, si diceva. Non a caso, qualcuno che ci ha preceduto diceva che "la politica sindacale è la politica conservatrice (borghese) della classe lavoratrice", e da che il capitalismo è tale, il sindacato è sempre stato il serbatoio dei partiti della sinistra riformista e conservatrice, alla faccia di chi credeva nel sindacato rivoluzionario.
Rispondendo alla prima domanda abbiamo, in una certa misura, risposto anche alla seconda (dove va Landini?) e in parte alla terza (cosa vuole?). Ma cerchiamo di approfondire il discorso.
Tornando alla riunione del 21 marzo i punti programmatici fuorusciti sarebbero questi: riformare il sindacato, unificare il mondo del lavoro (dipendenti e autonomi), costruire una rappresentanza per i non rappresentati, presentare un ddl di iniziativa popolare per un nuovo statuto di lavoratori, referendum anti Jobs act , fermare Renzi e Confindustria.
Sulla volontà e il perché di riformare il sindacato abbiamo detto sopra. Ovviamente, quando parla di unificare il modo del lavoro, ne parla sottintendendo che ciò debba verificarsi sotto il cappello protettivo e moderatore del suo sindacato. Landini va nella direzione di costruire un polo di aggregazione per tutti gli insoddisfatti e i non rappresentati, con l'intenzione di colmare quel vuoto politico creatosi alla sinistra del Pd, per spingere il sindacato a riqualificarsi agli occhi dei lavoratori quale unico argine organizzativo all'attacco di governo e Confindustria, col doppio risultato di, da un lato, far tornare il sindacato ad essere catalizzatore della rabbia operaia e proletaria sul binario morto della concertazione, dall'altro, quello di creare un serbatoio di voti per il vecchio riformismo che avanza, con lui come leader.
Sembrerebbe dunque che Landini voglia risospingere i lavoratori a fare politica. Di quale politica l'abbiamo detto poco sopra: quella sindacale ovviamente! Assolutamente conservatrice (che intende conservare l'esistente) in nessun modo rivoluzionaria (che vuole cambiare da cima a fondo il sistema di oggi).
Dai punti programmatici di cui sopra si parla di leggi e referendum. La questione ci costringe a tornare sul tema del terreno scelto dalla C.S. Stiamo parlando di un terreno politico specifico: quello della legalità, più correttamente della legalità borghese, ovvero l'insieme di norme e regolamenti che regolano la vita politica e sociale nella società attuale - il capitalismo - espressione dei rapporti di sociali di questa società e a loro totale difesa. Quello stesso terreno attraverso cui hanno negli anni peggiorato le nostre condizioni di vita e di lavoro.
È perciò evidente come la prospettiva politica della C.S. non sia rivoluzionaria-anticapitalista, ma, ponendosi sul terreno della legalità, si ponga sul terreno della conservazione. La rivoluzione non si fa con le leggi né tantomeno con i referendum, non siamo noi a dirlo, ma la storia. E così sarà finché il potere politico, e con esso quello giudiziario e legislativo, sarà in mani borghesi.
Il terreno della C.S. è riformista e conservatore.
Istituzionale: le istituzioni dello Stato, tra le quali il sindacato (oramai pienamente integrato all'ingranaggio statale), sono considerate unico referente e unico luogo dove ricondurre e ricomporre ogni conflitto. I lavoratori, al contrario, vengono considerati come mera massa di manovra per esercitare pressioni su tale apparato.
Legalitario: abbiamo già detto ma aggiungiamo le cristalline parole dello stesso Landini, espresse in un altro contesto ma assai significative:
Le leggi, la loro applicazione, la difesa di un lavoro con diritti e quindi con una sua dignità sono l'obiettivo su cui tutte le forze dovrebbero convergere e lavorare.
Peccato che le leggi e la loro applicazione vadano proprio a svantaggio dei lavoratori e che un lavoro dignitoso non possa coincidere con il lavoro sfruttato. La dignità del lavoro e della vita sarà garantita solo superando il capitalismo. Solo liberando il lavoro dalla sua forma alienata tipica di questo sistema - dove il lavoro, risultando bestiale, ci spinge ad un consumo/possesso irragionevole quale unico mezzo di realizzazione personale - saremo liberi di realizzarci in ogni direzione, rendendo il lavoro veicolo di emancipazione e realizzazione personale e collettiva, non più di oppressione e abbrutimento.
Rappresentativo/elettorale: il binario scelto per diventare nuova forza egemone a sinistra, nella prospettiva di tornare a gestire il sistema e le sue contraddizioni, quale ultimo baluardo sinistro della conservazione capitalista.
Costituzionale:
la politica non è proprietà privata. Questo convincimento deriva dalla nostra Costituzione che promuove esplicitamente la partecipazione alla vita pubblica e sostanzia la democrazia con la centralità della cittadinanza.
Di quale cittadinanza parla Landini? Ci dispiace fare lezioni di storia, ma i “diritti del cittadino” nacquero in concomitanza con quelli dell'uomo, considerato in astratto: i capisaldi delle rivoluzioni borghesi. Da un lato si affermava formalmente che tutti gli uomini dovevano essere considerati uguali, dall'altra si sanciva la loro differenza sociale. La cittadinanza non è che un modo ingannevole per far apparire tutti sullo stesso piano con i medesimi diritti, mentre nella realtà ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, membri della classe sfruttatrice e membri della classe sfruttata, diritti per i primi e pene per i secondi. Allora, se la società è divisa in classi, perché parlare di cittadinanza? Perchè a Landini non interessa evidenziare la contrapposizione e l'antagonismo di classe né eliminare tale contraddizione, ma gli interessa mediare la contraddizione stessa all'interno del quadro dato.
Per non parlare, poi, delle teorie economiche che qui trovano "cittadinanza": il neokeynesismo che, nelle versione originaria, non trasse gli Stati Uniti fuori dalla crisi del 1929, la quale fu superata solamente dalla II guerra mondiale.
Il "compagno" Landini vorrebbe fermare la marcia dello schicciasassi Renzi - al servizio non solo della Confindustria, ma del capitalismo europeo - con le sue stesse armi, sostenendo per di più che
per la prima volta nella storia d'Italia si attaccano i diritti dei lavoratori con delle leggi che cambiano i rapporti di forza a vantaggio degli imprenditori.
Caro Landini, ma che ti sei fumato?
Non sarà il contrario? Ovvero che tali leggi passano col silenzio e senza colpo ferire da parte proletaria proprio perché i rapporti di forza oggi sono a totale vantaggio borghese? Non sono le leggi a mutare i rapporti di forza, ma al contrario i rapporti di forza a produrre leggi che tali rapporti ratificano. Anche da un punto di vista riformista la teoria di Landini fa acqua. Solo dispiegando un potenziale di lotta, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei territori si può pensare ad una ripresa della lotta di classe, ma proprio questo Landini non vuole.
Il buon Landini nega tale prospettiva, ben conscio di quale sia il rischio. Invitare alla lotta può condurre ad evocare forze che un domani non saranno più gestibili e magari non si accontenteranno di due righe su un pezzo di carta (i "diritti"), né tanto meno di un salario meno infame. Ma chiederanno il conto per tutta la sozzeria che questo sistema ogni giorno ci costringe ad ingoiare.
Ciò di cui ha più paura Landini, e con lui la borghesia, è proprio ciò a cui noi aspiriamo: la ripresa della lotta di classe per il rovesciamento del capitalismo, l'avvento della rivoluzione comunista.
Solo costruendo un fronte unito, dal basso, dei i lavoratori di ogni categoria, colore, lingua e nazionalità potremo, come primo passo, arginare l'attacco di oggi. Ma questo è possibile solo se ogni lotta saprà collegarsi alle altre, dalla casa al salario, dalla scuola all'ambiente, nell'ottica di una battaglia più generale per il superamento di questo sistema che sta alimentando oggi la nostra miseria economica, politica e sociale per trasformarci domani in carne da cannone.
Solo unificando le varie lotte nella prospettiva anticapitalista possiamo costruire le basi di un futuro diverso: una società senza classi né frontiere, senza crisi né guerre. Una società dove il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti. Dove la produzione sociale sarà basata sul soddisfacimento dei bisogni collettivi in armonia con la natura e non per il profitto di pochi. Ma per fare questo dobbiamo impegnarci ogni giorno. Ogni giorno dobbiamo dare il nostro contributo per rafforzare il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. Non con la via del referendum o quella elettorale, ma attraverso la rivoluzione degli sfruttati contro gli sfruttatori, che, superando il potere statale, prendono nelle loro mani, attraverso i loro organismi assembleari, le redini della società per gestirla su basi nuove. Affinché questa rivoluzione possa essere vincente abbiamo bisogno di organizzare quelle forze e individualità che già oggi si pongono su tale terreno. Abbiamo bisogno di costruire l'avanguardia politica rivoluzionaria che promuove il programma del comunismo e si organizza per attuarlo. È evidente come la mancanza di un partito rivoluzionario determini il più profondo disorientamento tra le nostre fila, dimostrando al contempo la necessità di tale partito per una chiara prospettiva rivoluzionaria. Per difendere i nostri interessi di classe e costruire la sola alternativa possibile al capitalismo, il comunismo, non abbiamo che da mettere in gioco noi stessi, andando a rafforzare le fila della nostra organizzazione: il Partito Comunista Internazionalista.
È il tempo della responsabilità proletaria.
È tempo di organizzare la nostra riscossa.
Solo da noi dipende il futuro.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #04
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