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O si cambia passo o ad un certo punto andiamo a votare.
Squinzi, presidente confindustria, 2 febbraio 2014
Da Letta a Renzi. Il significato politico di questo governo
É Lupi, ministro confermato alle infrastrutture e trasporti, che sintetizza il senso del nuovo governo: «Continuità, [ma con una] forte accelerazione».
Il terzo governo non eletto dal 2008 è un governo fortemente contraddittorio sia per come è nato – “congiura di palazzo” nelle stanze del PD –, sia per la compagine che lo sostiene dentro e fuori il parlamento, sia per l'ambizione del suo programma in rapporto alle forze reali di cui, al momento, sembra disporre.
Renzi appare come l'uomo nuovo che, appoggiato da una larga parte della borghesia nazionale, a colpi di “una riforma al mese” dovrà portare a compimento, o quantomeno accelerare, quella “rivoluzione librale” che da anni la classe dirigente italiana invoca a che gran voce ma che, invischiata in conflitti di interessi tra le sue varie componenti e giochi di potere di vecchia data, non è mai riuscita a portare a casa. Che ci riesca o meno dipende da un'infinità di fattori e il progetto, come altri precedenti, potrebbe benissimo non andare in porto. Sta di fatto che, per mezzo delle sue dichiarazioni programmatiche, è possibile oggi delineare con chiarezza il macro progetto che settori predominanti della classe dominante intendono perseguire per fare fronte alla crisi.
Via il vetero-democristiano Letta, troppo impantanato nel mantenimento degli equilibri di potere per riuscire a guardare in avanti, e avanti con il Giovane che promette, a suon di alleanze variabili e trasversali, di portare a casa un programma tanto ambizioso quanto totalmente anti-proletario. Ma non poteva essere diversamente.
La compagine di governo
Prendiamo i tre ministeri più importanti per la definizione dei rapporti tra capitale e lavoro.
Economia: Padoan è l'elemento che garantisce la sintonia tra gli interessi del capitale italiano e quanto disposto dal grande capitale internazionale. È stato l'uomo che ha gestito per conto del Fondo Monetario Internazionale la crisi argentina del 2001, per lo stesso FMI è stato quattro anni direttore generale per la Grecia proprio mentre questa colava a picco e per il Portogallo. Successivamente capo-economista e vice segretario generale dell’OCSE di Parigi, è rientrato in Italia dal vertice G20 di Sidney per assumere la carica di Ministro dell'Economia dopo aver redatto (1) il documento OCSE “going for growth 2014”: trattasi di una ricetta volta favorire la crescita (??) a partire dalla ristrutturazione del mercato del lavoro.
Questo documento prevede che fino al 2050 la crescita economica sarà bassa e lenta, senza incremento dell'occupazione fissa (Jobless recovery), molte delle direttive sono già presenti nel Jobs act presentato da Renzi l'8 gennaio: rimodulazione della contrattazione collettiva per legare la dinamica salariale alla produttività; formazione professionale post-secondaria e programmi di apprendistato come forma prevalente di accesso al mondo del lavoro, riduzione dell'accesso al sistema di formazione universitario attraverso l'aumento delle tasse accompagnato al “prestito d'onore” concesso ai giovani meritevoli, costituzione di un'agenzia unica delle politiche attive del lavoro – finanziata attraverso il taglio della tassazione sul lavoro (cuneo fiscale) e l'aumento della tassazione indiretta -, in stretto legame con l'affermazione di un sussidio universale di disoccupazione sganciato dal posto di lavoro, disincentivazione del lavoro autonomo, maggiore flessibilità in entrata; superamento dell'articolo 18 attraverso una maggiore flessibilità in uscita; allungamento dell'età pensionabile; incremento della privatizzazione del patrimonio pubblico; riduzione delle barriere alla concorrenza.
Sviluppo economico: Guidi, ex presidente dei giovani di confindustria rappresenta nel governo gli interessi della borghesia industriale italiana, è il legame diretto con la Confindustria.
Lavoro: Poletti, presidente della Lega delle Cooperative, anche grazie alle aperture di Landini al contratto unico, sarà l'uomo incaricato di attuare le strategie di riforma del mercato del lavoro previste dal Job act renziano. Proprio mentre le cooperative saltano agli onori per la cronaca per le condizioni caporalesche alle quali obbligano i facchini della logistica, il loro presidente diventa Ministro del Lavoro. Più esplicito di così!
Il programma di Renzi, priorità e progetti
Riforma elettorale: solido premio di maggioranza a chi supera il 35% dei consensi, oppure ballottaggio al fine di determinare il vincitore della contesa elettorale. Soglia di sbarramento all'8% per i partiti che corrono da soli, 5% se coalizzati.
Riforma dello Stato: superamento del bicameralismo, il Senato diventa una camera esclusivamente consultiva, senza potere legislativo. Riduzione del numero dei parlamentari da 945 a 630. Ridefinizione delle competenze delle regioni rivedendo la devoluzione della potestà legislativa ad esse accordata con la Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 (sussidiarietà verticale).
Queste due riforme insieme disegnano uno Stato fortemente accentrato ed autoritario. Attraverso il superando il bicameralismo, l'attenuazione dei poteri delle Regioni, la riduzione del numero dei parlamentari, si afferma uno Stato presidenziale capace di sottrarre ogni potere (per quanto marginale ed illusorio questo sia oggi) al Parlamento attraverso l’accentramento del potere esecutivo e legislativo nelle mani di una sola carica, e cioè l’esponente politico vincitore delle elezioni. Si supererebbe così l'impasse che, storicamente, impedisce alla frammentata classe borghese italiana di accordarsi su obiettivi legislativi comuni. Con la soglia di sbarramento si impedisce ai partiti che rappresentano gli interessi dei settori di piccola e media borghesia di entrare in parlamento cosicché il governo possa affondare le sue politiche anti-proletarie senza incontrare, a livello istituzionale, i soliti ostacoli che hanno caratterizzato la vita repubblicana da sempre.
Mentre la partecipazione alle elezioni continua a precipitare, la falsa foglia di fico della democrazia stenta sempre di più a nascondere la vera essenza dello Stato: il suo essere dittatura della classe dominante, la borghesia.
Riduzione dei costi della politica: riduzione dello stipendio dei consiglieri regionali e azzeramento dei contributi ai loro gruppi; superamento delle Provincie; riduzione del 75% in tre anni dei rimborsi elettorali per favorire i contributi ai partiti da parte dei privati e tenerli così ancora più legati agli interessi della grande borghesia e, soprattutto, meno a quelli degli apparati burocratici.
Dietro la riduzione dei costi della politica, di fatto spesa irrisoria se confrontata, per esempio, alla somma degli stipendi dei grandi manager, alle speculazioni, al plus-valore estorto quotidianamente ai lavoratori per mezzo dello sfruttamento (rapporto sul quale si fonda la società borghese), sta il tentativo della borghesia italiana di sgomberare un po' il campo dai tanti piccoli e medi parassiti dell'apparato burocratico-partitico per renderlo più leggero e funzionale agli interessi di un unico grande parassita: quello capitalista.
Riforma della scuola: c'è la proposta di una costituente della scuola da concludere entro giugno, per ridurre di un anno i corsi secondari superiori (da 5 a 4 anni), legandoli maggiormente alla formazione professionale, il che – assieme all'aumento dell'orario di lavoro a 24 ore nella scuola superiore di primo grado - significherebbe un nuovo, ingente, taglio di posti di lavoro. Favorire la frammentazione del corpo docente attraverso la distribuzione di quattro spicci da rubricare sotto la voce “riconoscimento del merito”. Riformare gli organi collegiali per concedere maggiori poteri ai Dirigenti Scolastici. Eliminare definitivamente gli scatti di anzianità.
Jobs act: flessibilità in entrata e uscita attraverso un contratto unico per tutte le categorie pubbliche e private che garantisca, almeno per i primi tre anni, notevoli esenzioni contributive e la massima libertà di licenziamento (previo il pagamento di un minimo indennizzo in denaro). Tale contratto unico sarebbe molto “leggero” stabilendo unicamente i termini generali del rapporto di lavoro, mentre acquisirebbe un peso sempre maggiore il contratto aziendale che strettamente vincolato alla produttività, in determinate situazioni, potrà anche essere peggiorativo rispetto a quello nazionale.
- Possibilità di conservare alcuni contratti atipici precari, ma aumentandone il costo.
- Superamento della cassa integrazione a vantaggio di un assegno universale di disoccupazione, sganciato dalla possibilità di mantenere il posto di lavoro, ma vincolato all'obbligo di non poter rifiutare più di tre proposte lavorative e all'obbligo di frequentare corsi di formazione professionale. In Germania lo stesso modello obbliga ad accettare anche lavori a 2-4 euro l'ora (mini jobs).
- Creazione dell'Ufficio Unico per l'Impiego incaricato di erogare l'Assegno e di gestire il business della formazione professionale.
- Nuova legge sulla rappresentanza che recepisca gli accordi del 10 gennaio (2) e avviamento di un modello neo-corporativo attraverso la presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende.
- Incentivazione del potere d'acquisto dei salari attraverso il taglio del cuneo fiscale; sconti sul costo dell'energia e incentivi fiscali alle attività produttive (con ulteriore riduzione del gettito fiscale per lo Stato).
Al termine di questo percorso dovrà essere varato un nuovo codice semplificato del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole esistenti.
Tutte queste proposte si commentano da sole, aggiungiamo solo un paio di dati:
- dal momento che l'IRPEF garantisce circa 1/3 del gettito fiscale per lo Stato e che tale imposta viene versata per l'82% da pensionati e lavoratori dipendenti, è evidente che un suo taglio andrà a pesare significativamente in termini negativi riguardo i servizi erogati dallo Stato agli stessi proletari che, in compenso, si vedranno, forse, una manciata di euro in più in busta paga;
- già con l'ascesa del nazismo in Germania, la Confindustria tedesca - spalleggiata dal regime - tese a generalizzare il contratto "d'area" e/o aziendale, come strumento più adeguato per affrontare la crisi.
Il nostro partito e il nuovo governo
La situazione che la classe dominante deve fronteggiare è durissima. Dal 2008 a oggi la produzione industriale ha subito una contrazione del 25%, il PIL si è ridotto del 6%, la disoccupazione giovanile è oltre il 40% mentre quella totale sfiora il 13%, senza considerare i cassintegrati e gli scoraggiati che non cercano più lavoro. Il 50% dei disoccupati ufficiali lo è da più di un anno.
Borghesia e proletariato hanno entrambe i loro problemi:
- la piccola borghesia è da tempo in sofferenza, scende anche in piazza, ma di fatto non è un soggetto sociale capace di portare avanti una sua prospettiva, l'unica cosa che può fare è cercare di galleggiare indignandosi per i grandi squali che le lasciano sempre meno briciole, cercando al contempo di ostacolarne i disegni;
- la grande borghesia, pur continuando ad arricchirsi fagocitando le imprese minori, ottenendo crescenti sgravi fiscali e regalie di vario genere, ha bisogno di tutta questa serie di riforme per soddisfare la sua crescente fame di profitti;
- il proletariato invece si sta impoverendo a velocità vertiginosa e sebbene la rassegnazione continui a farla da padrona non si può escludere che, dopo i facchini della logistica e gli autoferrotranvieri, nuovi settori di classe non provino ad alzare, seppur timidamente, la testa. Questo per lo Stato borghese sarebbe un notevole problema che, se non può essere evitato, va quantomeno prevenuto. È lezione degli ultimi anni il fatto che ogni qualvolta micro-settori di classe abbiano tentato di alzare la testa non si siano trovati davanti il loro singolo padrone, ma il rappresentante degli interessi di tutti i padroni: lo Stato, nella sua veste cattiva, la celere, o nella sua veste “buona”, sindacato e politicanti, ma ugualmente pronti a tutto pur di disinnescare il conflitto.
Così, dalla firma dell'Accordo sulla Rappresentanza del 10 gennaio, attraverso il Jobs Act, per arrivare alla legge elettorale e alla riforma dello Stato, si delinea con chiarezza il tentativo della borghesia nostrana di giocare d'anticipo rispetto alla possibilità di una ripresa della lotta di classe che rischierebbe di ostacolare il grande disegno riformatore che abbiamo testé tratteggiato più di quanto non facciano già le beghe interne alla stessa classe dominante.
In ogni caso mettere i bastoni tra le ruote ai disegni della grande borghesia, come fa il piccolo-borghese, non basta. È necessario che si allarghi l'orizzonte all'interno del quale i settori più determinati della nostra classe si muovono e si muoveranno. Se le linee di riforma del governo suonano come una, ulteriore, dichiarazione di guerra contro il proletariato, è tempo che anche il proletariato prenda coscienza del fatto che la sua lotta contro la classe dominante non può esaurirsi nell'ambito dello Stato borghese e delle sue logiche. Dalla crisi si può uscire in due modi o come vittime sacrificate sull'altare del profitto prima e della guerra poi, o come soggetto rivoluzionario capace di dare vita ad una nuova società fondata sul soddisfacimento dei bisogni di ognuno.
Una tale soluzione richiede organizzazione, determinazione e chiarezza di vedute. Bisogna opporsi ad ogni singola articolazione del piano borghese, ma non in nome della democrazia violata o della necessità che i sacrifici debbano essere distribuiti in maniera differente, bensì in nome del fatto che i lavoratori non possono e non devono accettare nessun peggioramento della loro condizione e che, nell'organizzarsi e nel lottare, devono chiarire a sé stessi ed agli altri proletari che la loro lotta non avrà mai fine fino a che non sarà superata la divisione in classi della società. Lo strumento politico di tale lotta è il partito internazionale di classe. Il Partito Comunista Internazionalista si presenta come nucleo italiano di aggregazione dei militanti di tale futuro Partito. Con le altre sezioni della Tendenza Comunista Internazionalista lavoriamo affinché si formi un solido aggregato politico a livello internazionale, verso il partito mondiale del proletariato, centralizzato ed internazionale.
Lotus(2) Vedi “Il Testo Unico sulla Rappresentanza” sull'ultimo numero di Battaglia e sul sito.
Battaglia Comunista #03
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