L’illusione del “boicottaggio”

Riportiamo di seguito delle riflessioni da parte di un compagno sulla pratica del boicottaggio.

La pratica del boicottaggio non è certo nata ieri. Essa può tranquillamente collocarsi in modo trasversale a diversi schieramenti politici, andando dal "Compra italiano" dei neofascisti a "Boicotta Israele" della sinistra radicale filopalestinese.

Spesso quindi questa pratica viene promossa come strumento di lotta da realtà politiche organizzate, mentre a volte è mossa semplicemente da motivazioni di “coscienza” individuale. In ogni caso, tale pratica cade nell'errore fatale di mettere al centro del proprio campo di intervento la distribuzione delle merci pur lasciando inalterati i rapporti di produzione. Inoltre individua il nemico da combattere, o meglio da boicottare, nelle multinazionali e non nel capitalismo nella sua interezza.

Senza voler per forza generalizzare ma da questa impostazione a volte ci si spinge verso la conseguente difesa dei piccoli imprenditori, schiacciati dai grandi colossi dell'economia. Ci si scorda del fatto che non esistono un capitalismo da difendere e un capitalismo da condannare, e che i piccoli imprenditori sanno essere altrettanto sfruttatori, se non di più dei grandi, della manodopera che lavora sotto il loro giogo. Il lavoro minorile, l'assenza di diritti come quello di sciopero, e le devastazioni ambientali non riguardano solo i giganti del capitalismo, ma sono questioni radicate e istituzionalizzati anche a livelli microscopici; per esempio con leggi come la Fornero, che danno carta bianca ai padroni e anche ai padroncini.

Quindi, si versano ipocrite lacrime per il piccolo l'imprenditore che si suicida perché strozzato dalle banche, scordandosi della ricchezza che aveva costruito in precedenza sul sudore dei suoi operai. Si contrappone il capitalismo “etico”, diventato da tempo anche materia di studio universitaria, al capitalismo “selvaggio” e sregolato, anche qui scordandosi che è il sistema stesso a scavalcare – là dove il profitto lo richiede – i propri irrisori limiti e paletti giuridici. Perché le uniche leggi che contano sono quelle del profitto e la concorrenza.

Ma interroghiamoci per un momento sull' efficacia della pratica di non comprare da un padrone piuttosto che da un'altro, magari con la volontà di usarla come arma di pressione nei confronti dello stesso padrone per fargli assicurare migliori condizioni di lavoro ai suoi dipendenti. Questa potrebbe trasformarsi in un'arma a doppio taglio, perché di fronte a un calo dei suoi margini di profitto a fronte di un ipotetico boicottaggio di massa le contromisure sarebbero un ulteriore giro di vite sui salari, o un'intensificazione dello sfruttamento con l'allungamento della giornata lavorativa, o nella peggiore delle ipotesi un taglio drastico del costo del lavoro attraverso il licenziamento. Cosa cambierebbe dunque nel concreto? Alcuni padroni si indebolirebbero (ma non prima di avere trascinato nel baratro i loro salariati), altri si ingigantirebbero, e ci sarebbe comunque ancora chi sfrutta e chi è sfruttato. Questo non vuol dire che per migliorare le condizioni di lavoro di un lavoratore della Nike, per esempio, bisogna comprare in massa le scarpe prodotte – lo sappiamo benissimo – con manodopera infantile a basso costo nei paesi del Sudest asiatico. Questo vuole essere invece uno sprone a non farsi delle illusioni sul boicottaggio come pratica efficace né in senso riformistica, né tantomeno rivoluzionario.

Il discorso vale anche per le pur necessarie lotte contingenti: se non si spezza con la rivoluzione il rapporto di subordinazione del lavoro al capitale, saremo sempre al punto di partenza, a vittorie – parziali e revocabili – seguiranno sconfitte senza che nella sostanza la struttura sociale ne risulti modificata. A differenza di picchetti, scioperi ecc. – reali espressioni della lotta di classe proletaria – momenti di lotta per la sopravvivenza, il boicottaggio rappresenta semplicemente una illusione, una scorciatoia.

Non ci mettiamo nella posizione di giudicare chi compie scelte di “consumo consapevole” mosso da motivazioni di “coscienza” individuale, ma a nostra volta non vorremmo che tutte queste persone, del tutto in buona fede, si illudessero di servirsene come strategia anticapitalista e nemmeno le usassero per sentirsi migliori di chi compie semplicemente scelte differenti per “inclinazioni” o “gusti”, o – in alcuni casi – per necessità dettate dalle situazioni economiche.

Non esistono vie alternative, e il capitalismo non cederà certo il passo a furor di boicottaggi, sempre che nelle intenzioni dei boicottatori ci sia questo come obbiettivo finale. Sarà la ripresa della lotta di classe nelle sue molteplici ramificazioni, dalla scuola alla fabbrica, dal supermercato al cantiere, a fare tremare le fondamenta di questa società. Ma le lotte non potranno mai avere uno sbocco rivoluzionario senza un partito che oltre ad affiancarsi al proletariato, si metta alla sua testa fornendogli le indicazioni politiche che lo guidino verso una società senza padroni.

IB
Giovedì, February 13, 2014