Resoconto della manifestazione contro il carcere duro

Sabato 25 maggio 2013 a Parma si è tenuto un corteo nazionale contro il carcere, la differenziazione, il 41 bis e l'isolamento, sotto la parola d'ordine di un trattamento umano per i reclusi, organizzato dall'Assemblea Uniti Contro la Repressione. I partecipanti al corteo, realtà anarchiche e che si definiscono – spesso a torto: vedi gli stalinisti - comuniste, erano tra i 300 e 400: ranghi ridotti dato che gli “antagonisti” attesi erano circa un migliaio. Forse dovuto al tempo infelice che ha regnato su tutta la giornata: pioggia e vento freddo. Tutto il mondo parlamentare fino al Popolo Viola hanno biasimato la manifestazione – nonostante anche l'Unione Europea e Amnesty International (refworld.org) abbiano criticato aspramente la legge 41 bis.

L'aspetto rilevante di questa giornata non è stato tanto il contenuto del corteo - sul quale ci esprimeremo in un altro momento - ma bensì il dispiego di forze dell'ordine nel tentativo di arginare e eventualmente sopprimere qualsiasi cosa.

La giunta grillina di Parma, per questa occasione ha istituito uno stato di emergenza surreale, isolando la città dai manifestanti al fine di “prevenire”. Le misure (valide dalle 14 alle 18 prorogabili) sono state: limitazione della circolazione nelle zone limitrofe al percorso della manifestazione, rimozione forzata per le vetture e le biciclette in sosta lungo il percorso, rimozione dei cassonetti lungo il percorso, deviazione delle linee dei trasporti pubblici, chiusura degli esercizi commerciali e degli istituti scolastici.

La stampa locale e, per alcuni casi, nazionale, ha fomentato uno spropositato allarmismo nei confronti di questa manifestazione, “per garantire – a detta del questore – _il loro (nostro) diritto di manifestare le proprie idee e al contempo di preservare l'ordine e le proprietà_”. Gazzetta di Parma e TvParma (di proprietà di Confindustria) hanno dipinto gli attesi manifestanti come se fossero gli Unni. Parmadaily (quotidiano online) ha addirittura titolato “Mafia, manifestazione a Parma contro il 41bis” (parmadaily.it). Altri hanno bollato la manifestazione di essere filobrigatista. Una forte polemica è nata anche dal fatto che il 25 maggio si trova vicino alla ricorrenza della strage di Capaci, usata strumentalmente, va da sé, dai suddetti “media” per buttare fango sulla manifestazione. Inutile sottolineare che, al di là delle differenze, anche profonde, tra i manifestanti, nessuna forze politica presente può essere accusato di collusione, amicizia, simpatia con la mafia, anzi.

Il concentramento sarebbe dovuto essere alle 14 in Barriera Repubblica (p.le Vittorio Emanuele II), una piazza ai margini del centro della città, nella quale attendevano una dozzina di camionette di polizia, carabinieri e guardia di finanza, qualche volante, qualche automobile e un'ambulanza. C'era pure un elicottero della Polizia, che nel corso del tragitto si è dato il cambio con uno dei carabinieri; detto tra parentesi, in un momento in cui le forze dell'ordine lamentano l'impossibilità, a volte, di usare le automobili per il taglio dei fondi e, quindi, alla benzina, per fare muovere le vetture, il carburante i questione potevano anche evitare di buttarlo... Il corteo è partito con due ore di ritardo, alle 16, ha percorso via Emilia Est, poi via Mantova ed è finito sotto le recinzioni del carcere, di fronte alle celle. Il percorso è stato di circa 3,4 km, all'interno di una città fantasma. Il corteo, inutile dirlo, è stato costantemente “recintato” da una presenza massiccia di forze dell'ordine borghese in tenuta antisommossa, tra strade rigorosamente transennate. Il Barilla Center, piccolo centro commerciale con multisala che si affaccia sul percorso del corteo, è stato completamente chiuso da un cordone di uomini in divisa. Un negozio si è barricato dietro una grata con i suoi lavoratori, come perfetta esemplificazione del risultato di questa sceneggiata istituzionale, di come l'allarmismo e la sicurezza portino ad autoincarcerarsi.

A detta della stampa vi è stato un momento di “tensione”, che non è stato tale, quando si è allontanato dei giornalisti che stavano riprendendo e fotografando. Gli unici “danni” sono stati alcune scritte sui muri.

Nel momento in cui il corteo ha raggiunto le finestre delle celle, è stato salutato con forza dai detenuti. Così la manifestazione ha espresso la propria solidarietà battendo sassi contro la recinzione metallica, intonando slogan, fischiando, accendendo fumogeni, botti e fuochi artificiali. Poi, tramite un generatore e un amplificatore, si è cercato di aprire un dialogo con i detenuti, facendo intervenire le voci di alcune organizzazioni.

In un sabato tra cielo grigio e uomini in blu, una manifestazione di solidarietà umana è stata isolata, criminalizzata e biasimata; una giornata, in un certo qual modo, inquietante - indice del clima parmigiano e italiano – ma che non ci stupisce affatto. Se “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (F. Dostoevskij), la situazione delle carceri italiane è per l'appunto indice del grado di “civilità” della formazione sociale borghese in salsa italica.

Per quanto ci riguarda, abbiamo distribuito la nostra stampa e il volantino – già sul sito. Al di là delle ovvie differenze tra le nostre posizioni con quelle degli organizzatori del corteo e al di là dell'altrettanto ovvia criminalizzazione dello stesso da parte di tutte le forze borghesi, bisogna rilevare che una manifestazione su temi così scabrosi e difficili per la stragrande maggioranza della cosiddetta “opinione pubblica” (proletari compresi), non può essere calata “a freddo” su di una città senza un lavoro preventivo, metodico, di preparazione politica; cosa che, per altro, è stata rilevata anche da una parte degli organizzatori stessi. Inoltre il cosiddetto carcere duro andava meglio contestualizzato nell'ambito di un regime classista e antiproletario, che criminalizza gli immigrati irregolari e reprime col carcere l'uso di droghe (per altro funzionali al sistema) e la reiterazione di piccoli reati, in cui spesso sono costretti ad incorrere proletari e sottoproletari. Per essere più incisiva e comprensibile, la protesta andava allargata oltre il “41 bis”, per denunciare le leggi sull'immigrazione e in generale l'apparato repressivo borghese, che è sempre pronto ad abbattersi con violenza sulle lotte proletarie (come poi emerso anche da alcuni interventi dal microfono durante la manifestazione). D'altra parte, è uno degli aspetti – tra i più deleteri – del movimentismo, quello di procedere “per campagne”, senza inserirle in un coerente, organico e continuativo lavoro politico, a contatto stretto con la classe: in breve, in un lavoro di partito.

Il giorno successivo, domenica 26, e i seguenti, le forze di pubblica sicurezza si compiacevano di avere evitato disordini grazie al massiccio impiego di forze. In sostanza, si è colpevoli fino a prova contraria.

EZ
Sabato, June 1, 2013