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Home ›Da rottamare c'è solo il riformismo
Siamo alla vigilia delle primarie del Pd, introdotte da Veltroni ormai da 10 anni per dare al monolitico apparato erede del vecchio PCI una parvenza di democrazia interna a chi lo guarda dal di fuori. Il PD che va ad affrontarle, orfano del suo cavallo di battaglia storico – l’antiberlusconismo – è attraversato da forti contrasti interni, vede con preoccupazione l’avanzata di Grillo e mantiene il suo appoggio a un governo Monti che giorno dopo giorno accresce la sua impopolarità. Questa – dall’Imu ai rincari sui carburanti – non può non impensierire il partito che maggiormente ha voluto la svolta “tecnica” del dopo-Berlusconi.
Innanzitutto i contrasti interni, che ormai durano da tempo. I vecchi e i giovani, Bersani contro Renzi. Quest’ultimo, pare aver fatto un copia incolla dal programma del Movimento 5 Stelle, quando espone il suo. Tanto che lo stesso Grillo lo irride accusandolo di invidia penis e sottolineando come Renzi non sarebbe candidabile se il PD avesse un programma simile. Renzi infatti pone dei limiti all’eleggibilità: chi ha più di “tot” anni di carriera politica alle spalle dovrebbe farsi da parte lasciando spazio ai giovani.
C’è da sottolineare come il leader dei “rottamatori” – secondo questo metro, ormai in età pensionabile – non sia, nonostante la giovane età, un novellino della politica, avendo fatto prima il presidente della provincia di Firenze e poi il sindaco della città stessa. La quale viene proposta di continuo come modello, con esempi quali la crescita delle aree verdi e i musei aperti fino a mezzanotte. Esibizione di verde e cultura a parte, certo è che Renzi sindaco è stato tra i primi a concedere l’apertura dei negozi il 1 maggio, tanto per “rottamare” una data simbolo del movimento operaio: basterebbe questo per mostrare la natura del sedicente innovatore. Certamente, i rottamatori hanno altri punti, e ponendosi in un’ottica di “svecchiamento” del partito non potevano certo attirarsi le simpatie di una cariatide come Bersani, che ha subito tirato le orecchie al monellaccio, dicendogli testualmente di non “scalciare” troppo.
I punti programmatici di Renzi, ricalcano non solo il populismo grillino ma l’intera polemica anti-casta che va tanto di moda ultimamente e che pur sollevando una giusta dose di indignazione non equivale certo all’anticapitalismo. Si torna sempre lì: riduzione degli sprechi, no agli inquisiti in parlamento, lotta all’evasione fiscale. Sì, qualche soldino in più entrerebbe nelle casse statali, ma questo, in una società capitalistica, si traduce automaticamente in vantaggio per il proletariato? Scomparirebbero gli sfruttati? Le compatibilità capitalistiche e gli interessi dei ceti che dici di volere colpire te lo consentirebbero?
La pretesa “ventata di nuovo” sbandierata da Renzi si va a far benedire in più di un’occasione. L’arroganza del soggetto è tale per cui non si è fatto scrupolo di insultare un’oncologa che spiegava le relazioni tra inceneritori (che Renzi difende) e tumori. Relazioni accertate statisticamente, davanti alle quali lui reagisce accusando l’oncologa di fare terrorismo psicologico e la chiama “aspirante alchimista”.
Sono recenti anche le polemiche per il suo “chi se ne frega” sull’articolo 18. Siamo già scesi in campo in passato su questo tema, e non certo difendendo a priori la legislazione borghese del lavoro. I padroni licenziavano a random con la complicità sindacale ben prima dei tentativi di abolire quest’articolo di legge, che però almeno sulla carta rappresentava un argine, mettendo il paletto della giusta causa. Di sicuro, “chi se ne frega dell’articolo 18” detto da un esponente di quella classe politica che vorrebbe svecchiare un partito – il suo partito – ritenendolo tra le altre cose distante dal mondo del lavoro, suona un po’ male, per così dire. Una cosa, pur essendo lontana anni luce da noi la voglia di dare consigli ai dirigenti anti-rottamatori, ci sentiamo di dirla: in un’organizzazione come la nostra, un membro che non perdesse mai occasione per “sputtanare” l’organizzazione medesima, verrebbe messo alla porta. Che cavolo, non ti sta bene niente, allora fonda un partito tuo! E Bersani come risponde? Estromettendo D’alema e con lui tutta la vecchia guardia, dando così ragione a Renzi sulla questione “largo ai giovani”.
Le ultime schermaglie vedono però il segretario del PD arroccato nel non volere accettare consigli da chi ha base alle Cayman, dove secondo il primo avrebbe sede il fondo di Davide Serra con cui Renzi finanzia la sua campagna elettorale.
Insomma, la diatriba interna al PD (così come quella tra PD ed M5S) è tutta interna al riformismo, ed è tra due diverse interpretazioni di questo. Un riformismo che fa acqua da tutte le parti, anche se a capirlo sembrano essere solo sparute minoranze. Gli ultimi schiaffi morali il PD li sta ricevendo da Grillo, che è stato l’unico a trarre finora vantaggio in termini di consensi dalle faide interne ai democratici, e che irride continuamente il “pidimenoelle”, la cui differenza con il centrodestra starebbe solo in una consonante in meno. Bella scoperta, doveva venire Grillo a dircelo!
Che dire, a mo’ di conclusione? Che il riformismo, in generale, lo ripetiamo, è, per forza di cose, in crisi di risposte serie ai drammi che la crisi pone, dunque, solo il riappropriarsi di un progetto di superamento del capitalismo può affrontare in termini concreti. Ognuno, nel rissoso e folcloristico circo riformista (ammesso che si possa ancora chiamare riformista), ha la sua ricetta, che – guarda caso – assomiglia, almeno nella sostanza, a quella dell’altro. Si litiga, si litiga, dicendo in sostanza le stesse, identiche, cazzate.
IBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11-12
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