Le ansietà del capitalismo cinese

Per necessità dichiaratamente capitalistiche, la Cina si presenta più che mai intrappolata in una obbligata difesa del dollaro, costretta a muoversi in campo internazionale con cautela, a causa dei complessi vincoli monetari esterni ed anche di una situazione interna che vede crescere qualche tensione sociale allarmante. Le prudenti offerte di “aiuto”, avanzate recentemente da Pechino all’Europa, sono vincolate sempre a contropartite (commerciali e finanziarie) non facilmente accettabili per i capitali occidentali oltre che a mettere in difficoltà i già complessi rapporti fra Europa e Usa. Vedi i tentativi di fare della valuta cinese un rifugio globale, con la convertibilità dello yuan, e di presentare la Cina come un sicuro approdo per gli affari del capitale internazionale. Ma anche il “modello” di sviluppo cinese (export e investimenti fissi) comincia a perdere qualche colpo: decelerazione della spinta produttiva, aumento dell’inflazione (punte del 6,5% in luglio e del 6,2% in agosto 2011); maggiori costi di produzione, compresi quelli del lavoro a seguito di alcuni aumenti salariali (ottenuti dai lavoratori con forti proteste e scioperi in alcune zone) e una diminuzione dell’export. I prezzi alla produzione hanno toccato un aumento del 7,5%; quelli dei generi alimentari sono addirittura cresciuti in un anno del 14,8%, con punte del 57% per la carne di maiale che costituisce uno dei maggiori consumi nazionali. Fra l’altro, in confronto alle medie occidentali, la popolazione cinese nelle metropoli assumerebbe nella sua alimentazione un terzo in meno di calorie. In generale, i consumi interni calcolati in percentuale sul Pil, sono scesi dal 50% degli anni 1980 al 40% nel 2000, al 36% nel 2007 e al 30% oggi.

La competitività è ora alle prese con un aumento del 20% del costo reale del lavoro, con una rivalutazione, seppure modesta, dello yuan (con un guadagno di circa il 3% all’anno sul dollaro) e con il peso dell’inflazione. Col leggero apprezzamento del renminbi su dollaro ed euro si cerca di abbassare il costo delle importazioni. E a proposito delle temute “tensioni sociali”, che esse siano in aumento è convalidato dal fatto che Pechino sta spendendo più per la sicurezza interna che per le forze armate!

È pure emerso il problema di un debito delle amministrazioni locali, che sarebbe di circa 1240 miliardi di euro e pari al 27% del Pil e con un “rallentamento” dei lavori nelle costruzioni di edilizia popolare e infrastrutture varie, e un blocco nei progetti per la diffusione di previdenza e sanità, del tutto inesistenti nelle zone contadine. Ed è venuta alla luce l’esistenza di un credito privato di circa 4mila miliardi di yuan (465 miliardi di euro) a seguito di prestiti concessi da operatori illegali ad aziende medie e piccole, consorzi, famiglie e singoli. Da qui la difficoltà che si registra nel finanziamento ai governi locali, a cui fanno seguito alcuni fallimenti degli appositi strumenti di finanziamento. Le insolvenze nel settore sono in aumento, con imprese private costrette a chiudere la loro attività mentre la bolla immobiliare minaccia di esplodere dopo le numerose costruzioni (in infrastrutture per gran parte abbandonate e in case senza acquirenti) poggianti su una leva debitoria altissima. La maggior parte dei crediti sarebbe già inesigibile.

Anche per le imprese statali vi sono situazioni poco chiare, e pur presentando conti dello Stato in attivo, la situazione complessiva non è tranquilla; la Cina è già stata costretta, verso la fine del 2008, a varare un “piano di stimolo” per 4mila miliardi di yuan (586 miliardi di dollari). Con qualche preoccupazione, Pechino ha persino richiesto che i “Paesi rilevanti” (?) si adoperino per una assunzione di “concrete e responsabili politiche fiscali e monetarie”. Ed appoggiando - da paese … “socialista” - lo sforzo dei principali partner e delle banche centrali del G20 per sostenere la crescita economica e la stabilità monetaria. Il premier cinese Wen Jiabao è consapevole che una crescita del Pil cinese al di sotto dell’8% (un limite che per il capitalismo occidentale sarebbe prodigioso!) metterebbe tuttavia in pericolo la “stabilità sociale” del Paese, dove il 70% della forza-lavoro e delle industrie produce per il mercato estero.

Studi della World Bank indicano in circa 400 milioni i cinesi con redditi che tendono a diminuire; il 10% dei cinesi più poveri ha visto i suoi “redditi” scendere mediamente del 2,4 % all’anno. Sarebbero solo 24mila le persone con un reddito minimo tassabile di 500 euro mensili; le entrate annue pro capite sono mediamente di 7.100 euro (al di sotto di Angola e Albania e al centesimo posto nel Mondo). Nelle campagne milioni di famiglie sopravvivono con meno di 50 euro al mese. La parte più anziana (in aumento) della popolazione cinese invecchia senza alcuna protezione sociale. E a proposito delle imprese statali, nel 2009 molte avrebbero assorbito il 90% dei fondi creditizi rispetto al 5% finito alle imprese private. In media, le imprese di Stato ricevono il 75% degli investimenti producendo meno di un quarto dell’intero Pil.

Anche nell’impero cinese, la vecchia talpa scava…

DC

Comments

Ho sentito alla radio (radioraitre) di una diminuizione dei prezzi di vendita degli immobili, delle citta costiere cinesi, che va dal 30% al 70% . Mi ricorda qualcosa...

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.