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I dilemmi della borghesia sulle ricette antiproletarie
Difficile seguire la raffica di provvedimenti, sventagliati da un governo agonizzante sul “Paese”, per fronteggiare, si dice, una situazione economico-finanziaria sempre più difficile. Prima le manovre estive, poi la lettera all'Unione Europea, dopo che Bruxelles aveva sollecitato la banda B&B a passare dalle parole ai fatti. I fatti, però, significano, una volta di più, un nuovo devastante attacco alle condizioni di esistenza del proletariato e degli strati ad esso vicini.
Nella “letterina” del 25 ottobre, com'era ampiamente scontato, non si fa altro che ribadire quanto era contenuto nelle precedenti manovre, indipendentemente dal tono “decisionista” assunto, giusto per far vedere che non si sta con le mani in mano. Che cosa c'è infatti, nel compitino consegnato dal Berlusca alle “maestre” di Bruxelles? I soliti provvedimenti contro gli statali, fannulloni per eccellenza (blocco del turnover, possibilità di licenziare, spostamento forzato da un comparto all'altro, ecc.), per altro già varati anni fa, ma, finora e per fortuna, poco applicati. Si sottolinea, inoltre, la determinazione di procedere alla predazione dei cosiddetti beni comuni ossia la privatizzazione - o liberalizzazione, come dice Bersani - dei servizi pubblici, già finanziati dal prelievo sulle tasche proletarie operato da una fiscalità rapace, sì, ma solo col lavoro dipendente, alla faccia di chi si illudeva sull'efficacia dell'arma democratica per eccellenza: i referendum.
Ma il piatto forte della lettera è costituito da un nuovo intervento sul sistema pensionistico e sul mercato del lavoro. “Nuovo” è forse una parola grossa, visto che anche su questo fronte di nuovo non c'è niente, ma solo uno sviluppo lineare di quanto è già stato attuato da questo governo, anzi, nella sostanza, da qualunque governo e, se vogliamo essere ancora più precisi, dai governi di ogni parte del mondo. C'è addirittura chi sostiene che, relativamente alle pensioni, ci sarebbe un leggero passo indietro di qualche mese, rispetto alle manovre dell'estate scorsa per i soliti pasticci cialtroneschi della compagine governativa (R. Petrini, la Repubblica on-line, 27-10-11). Ci dovremmo dunque rallegrare? Niente affatto. Dal 2026 ci vorranno almeno 67 anni per andare in pensione, ma, secondo calcoli della CGIL, a causa del meccanismo legato all'innalzamento dell'aspettativa di vita, col 2031 ce ne vorranno 70, di anni. La criminalità sociale di questo provvedimento è evidente, dato che il logoramento psico-fisico del lavoratore ha una progressione geometrica, cioè va più veloce del trascorrere degli anni, dunque anche il raggiungimento di quel limite oltre il quale c'è solo il crollo. Il sospetto che i maggiordomi del capitale ci vogliano far crepare prima di percepire la pensione è ben più che un sospetto.
Volendo aprire una parentesi, giusto per ricordare quanto sia moderna la borghesia targata XXI secolo, il cancelliere tedesco Bismarck, uno dei primi a istituire gli elementi base dello “stato sociale” alla fine del XIX secolo, aveva fissato la soglia della pensione a un'età in cui la maggioranza degli operai era già morta. Se le idee degli ideologi borghesi avessero una scadenza come i farmaci, dovrebbe essere retrodatata di due secoli abbondanti. In ogni caso, è certo che sulla pelle dei lavoratori - e non solo in senso metaforico - i politicanti giocano la loro lercia partita, a cominciare dalla Lega, creatrice di una leggenda vera e propria, che gode di un certo credito solo perché i mass media le danno ampiamente corda. La leggenda o balla integrale - a piacere - è che Bossi avrebbe impedito una nuova manomissione del sistema pensionistico, salvando in tal modo i lavoratori del nord, maggiori percettori delle pensioni da lavoro. Ebbene, il governo Lega-PdL ha già accelerato l'aumento dell'età pensionabile per le donne, a cominciare dal pubblico impiego, e, col meccanismo della “finestra unica”, di fatto, gli anni di contribuzione non sono più 40, ma 41 e rotti. Come se non bastasse l'ordinario veleno nazistoide che la Lega inietta nella classe operaia, il 31ottobre Bossi ha proposto, dopo le gabbie salariali, le gabbie pensionistiche, altro fumo per annebbiare le coscienze proletarie. A parte ogni altra considerazione, è fin troppo facile rispondere che, volendo ragionare nei termini idioti di Nord-Sud, i più colpiti, dal punto di vista numerico, dall'aumento dell'età pensionabile sono proprio i lavoratori (maschi e femmine, va da sé) residenti nell'immaginaria Padania allargata, secondo la definizione di quel genio del Trota, dove si concentra il lavoro dipendente “regolare”.
E veniamo al secondo provvedimento cardine della famigerata lettera d'intenti, quello che rende più facile il licenziamento. La norma ha suscitato un vespaio di polemiche da parte dell'opposizione parlamentare, non perché dissenta dalla filosofia di fondo del provvedimento medesimo - ridurre la forza lavoro non a merce, perché la è già (anzi, è la merce base del capitalismo) ma a merce usa e getta - bensì perché accumula altro materiale esplodente in una situazione economico-sociale potenzialmente esplosiva. Se l'ineffabile Sacconi ha nostalgia della “lotta armata” - quante avanguardie di fabbrica venivano intimidite con l'etichetta di terrorista! - se, strumentalmente, ne vede spuntare i segnali dappertutto, altri, meno animati dal fanatismo antiproletario del ministro, si inquietano per come vanno le cose. L'ultrariformista ILO (Organizzazione Internazionale per il Lavoro), nel rapporto preparato in vista del G20 di Cannes, diceva che
"il mondo è sull'orlo di una nuova e più profonda recessione dell'occupazione che potrebbe risvegliare tensioni sociali in molti paese” con riferimento particolare “alle economie avanzate [...] all'Unione Europea, al mondo arabo e, in misura minore, all'Asia." ( ilo.org , sez. Italia, 31-10-11)
Per fare un esempio di come la corda sociale potrebbe tendersi ancora di più, la CGIA di Mestre ha calcolato che con la norma-Sacconi dal 2009 ci sarebbero stati 738.000 disoccupati in più, calcolando, cioè, quelli messi in cassa integrazione. Ecco perché le opposizioni “responsabili”, a parte gli interessi di bottega elettorali, si affannano a disegnare progetti di ingegneria sociale che hanno, però, come unico denominatore, l'obiettivo di rendere la forza lavoro quanto più sottomessa possibile alle necessità inderogabili dell'impresa. A ragione, alcuni (di quelle opposizioni) invocano l'accordo (infame) del 28 giugno-21 settembre, in quanto permette di manipolare il lavoro salariato come creta; altri vi aggiungono, altrettanto a ragione, l'articolo 8 della manovra d'agosto; altri ancora, capitanati dal giuslavorista Ichino (parlamentare del PD), vogliono riscrivere da zero le norme del mercato del lavoro con il cosiddetto contratto unico: tutti assunti a tempo indeterminato (sic!), ma tutti licenziabili a discrezione del padrone. Il bello è, si fa per dire, che, secondo questa alta forma di pensiero, col licenziamento facile cadrebbe l'ostacolo primario che impedisce ai padroni di assumere. Verrebbe da chiedersi se i moderni astrologi del capitale credano davvero a ciò che dicono o se siano in preda a una sbronza colossale. Per restare all'Italia, gli ultimi dati dell'ISTAT rilevano che il 29,3% dei giovani è disoccupato - in un contesto di aumento generale della disoccupazione - eppure non mancano le leggi che permettono al padronato di usare la forza lavoro giovanile come, quando e più gli piace. Il punto è che la crisi picchia, i margini per poter rialzare i saggi del profitto sono ridotti da anni e si stanno riducendo, e anche l'elemento del capitale su cui è più facile intervenire - la forza lavoro, appunto - sta toccando il limite oltre il quale c'è lo schiavismo puro e semplice.
Anche se al Berlusca viene dato il benservito dai suoi compari borghesi, al proletariato verrà imposta la stessa medicina, appena un po' zuccherata dall'ideologia del “sinistrismo” parlamentare: un eventuale nuovo governo con le sinistre farebbe fino in fondo le riforme strutturali, cosiddette neoliberiste, che il cavaliere di Arcore, per calcolo elettoralistico, ha fatto, da un certo punto di vista, solo parzialmente.
Nessuna illusione, dunque, la lotta di classe continua o, meglio, deve cominciare (da parte nostra).
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
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