Il futuro economico-finanziario si fa cupo

Sulle borse internazionali (i titoli hanno perso, dal 2008, quasi due terzi del loro valore) soffiano venti di continua bufera; i settori industriali “razionalizzano” fabbriche e reti di distribuzione, tagliano costi, operai e sedi, ma l’economia reale non decolla e la valorizzazione del capitale perde colpi. Gli alti livelli finanziari sono in “sofferenza” e così i ricavi derivanti dalle operazioni speculative sulle monete (carry trade); le Banche nazionali piangono e reclamano aiuti statali e quelle centrali pompano liquidità nel mercato.

L’Europa è “sotto stress”: anche in Germania il settore delle Landesbank, sottocomponente delle casse di risparmio e un pilastro del sistema bancario, ha problemi di liquidità e di capitale. Con casse piene di asset tossici il settore si è salvato dal rischio di insolvenza grazie a interventi governativi che - fino al 2005 - garantivano emissioni di bond con raccolta di denaro a basso costo. Fra l’altro, la “virtuosa” Berlino, che si presenta come esempio di serietà e rigore economico-finanziario, “non ha mai pagato alla Grecia le riparazioni di guerra per i danni della brutale occupazione tedesca” (la Repubblica, 14/8). Il denaro per le riparazioni sarebbe comunque uscito non dalle tasche borghesi ma, al solito, da quelle proletarie.

La cosiddetta gestione attiva (maggior rischio per un maggior rendimento…) dei mercati finanziari è in crisi; la gestione passiva, tolte le varie commissioni (spesso “occulte”), dà scarsi rendimenti. Certamente, pur di realizzare profitti e non affogare lentamente, qualche occasione sia pure “rischiosa” diventa sempre appetibile. Impossibile imporre regole rigide che metterebbero i redditi delle attività bancarie in stato comatoso: le piazze finanziarie più forti non accettano vincolanti “discipline tecniche” che porterebbero ad una minore remunerazione del capitale gestito.

In verità in giro per il mondo la liquidità ci sarebbe. Il fatto è che (a parte la scusante della “bassa congiuntura”) il denaro resta fermo per la scarsa redditività degli investimenti industriali e la carenza di acquirenti solvibili sul mercato. Se non fosse per le batoste appena subite e per le scarse occasioni che al momento si presentano, sia per le materie prime che per i titoli azionari, gli speculatori finanziari si leccherebbero i baffi per l’abbondante disponibilità di denaro a basso costo. Ma c’è qualche timore per altre bolle esplosive o nuovi crash dei mercati; più convenienti e sicuri sono i rendimenti, seppure minimi, di Titoli di Stato come quelli americani, verso i quali ancora si rivolgono le riserve valutarie di molti Paesi.

Intanto, inizio del 2011, dai fondi comuni azionari specializzati sul mercato domestico americano sono stati ritirati oltre 33 miliardi di dollari. Una “fuga” dei piccoli risparmiatori che ricorda il 1929 e la Grande Depressione. Nello stesso periodo, sono stati investiti 185 miliardi in Bot il cui rendimento decennale è sceso al 2,6%; il biennale non arriva allo 0,5%. Scenari deflazionistici in una economia ufficialmente “depressa e stagnante”. Ai banchieri, in Usa e fuori, non resta che lucrare sulla forbice tra i rendimenti pagati ai depositari e gli interessi che incassano sui fidi. Un meccanismo con conseguenze micidiali come la deflazione: riduce i redditi e aumenta il reale valore dei debiti, mentre le Banche finiscono col registrare una costante diminuzione del valore di mercato del loro capitale.

Sono le banche centrali a generare liquidità stampando pacchi di carta moneta da prestare a bassi tassi di interesse alle banche nazionali, che come garanzia esibiscono obbligazioni da cartolarizzazione, crediti o Titoli di Stato ad alto rischio di insolvenza. La Fed ha tenuto a battesimo queste operazioni come “quantitative easing”, facilitazioni quantitative, cioè monetarie. La Bce ora segue l’esempio (il suo bilancio si è già espanso del 30% in questo giro di rifinanziamenti), allargando il folle giro di pezzi di carta (l’euro non è proprietà di alcuno…) sui quali gli Stati dovranno pagare un interesse che non si sa dove se lo procureranno…

Sempre dalla Fed è partita e si è alimentata quella bolla finanziaria che - con una crisi strutturale nel cuore stesso del processo produttivo di plusvalore - ha concretizzato il rischio di implosione trascinando nel baratro tutti i paesi sottoposti al dominio totale del capitale. E le politiche monetarie espansive non fanno che gettare benzina sul fuoco che la globalizzazione dei mercati propaga ovunque. Lo stesso avviene con gli indebitamenti di famiglie, imprese, banche e pubbliche istituzioni, con la diretta partecipazione di quelle che dovevano essere le “autorità di vigilanza”. La “leva finanziaria” ha sollevato una generale espansione della crisi; quanto agli Stati, hanno speso (lasciamo perdere il “come”!) tutto quello che avevano, e hanno indebitato anche le future entrate.

Per il capitale, sono i ricchi quelli che produrrebbero ricchezza, moltiplicando profitti che poi distribuiranno in parte ai poveri. È così che si diffonde la prosperità! Evviva dunque la circolazione finanziaria: senza di essa non ci sarebbe né produzione né consumo… Così ci raccontano.

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.