Ungheria: il rischio bancarotta fa tremare le borse mondiali

Il 4 giugno scorso Lajos Kòsa, vicepresidente di Fidesz (il partito da poco alla guida del governo), se n’è uscito con dichiarazioni molto pesanti sulla condizione economica del suo paese. Ha iniziato parlando di conti pubblici falsati dal precedente governo ed è arrivato fino a paventare il rischio fallimento per l’Ungheria; non male per un politico di primo piano di un paese sempre più inserito nell’economia dell’Unione Europea. L’intento era chiaro: trovare una giustificazione forte per rinunciare alle promesse fatte in campagna elettorale e per inasprire le politiche di austerità che già da due anni stanno colpendo il proletariato magiaro.

Già nell’autunno del 2008 l’Ungheria, allora davvero sull’orlo del collasso, era stata costretta a ricorrere all’aiuto dell’Unione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Da allora i lavoratori ungheresi hanno iniziato a pagare: congelamento dei salari dei dipendenti pubblici, abolizione della tredicesima per impiegati e pensionati, tagli allo stato sociale. Il bilancio pubblico è stato da allora in parte risanato, ma l’importanza della crisi economica mondiale impone oggi un ulteriore inasprimento delle misure di austerità. Ecco quindi spiegate le parole del vicepresidente Kòsa.

Quello che però non è così immediato da capire è come queste abbiano fatto precipitare tutte le principali borse a livello mondiale; non solo quelle europee hanno subito un tracollo, ma la stessa Wall Street ha toccato il punto più basso dal febbraio scorso. Due cose stanno cominciando ad apparirci sempre più chiare, da un lato i legami finanziari sempre più forti che intercorrono tra le economie dei diversi paesi e dall’altro la delicatezza di questa crisi che molti - politici ed imprenditori in prima fila - vorrebbero considerare ormai chiusa, ma che in realtà potrebbe ancora precipitar da un momento all’altro.

Il caso della Grecia prima e dell’Ungheria ora sono esemplari per quanto riguarda l’esposizione dei principali gruppi bancari e finanziari internazionali rispetto ai paesi europei; senza arrivare ai livelli delle banche austriache, anche i più importanti gruppi bancari italiani hanno raggiunto esposizioni di oltre 8 miliardi di euro rispetto allo stato magiaro. La delicatezza di questa fase della crisi è stata accentuata dal pregresso indebitamento pubblico dei principali paesi industrializzati. Indebitamento che è il frutto di quasi quaranta anni di gestione della fase discendente di questo ciclo di accumulazione e che non ha fatto che posticipare il momento acuto della crisi fino ad oggi. Non sono state minimamente rimosse le cause della crisi, e del resto non sono neppure rimovibili all’interno del sistema capitalista perché sono connaturate allo stesso modo di produzione e non a semplici bolle speculative che ne sono solo una manifestazione.

È proprio a causa di questa debolezza finanziaria che grava su tutti i principali paesi del centro del sistema, che una dichiarazione eccessiva di un politicante ungherese riesce a far crollare le borse in tutto il mondo. È come se, malgrado le ripetute dichiarazioni di ottimismo, la borghesia internazionale temesse seriamente un vero e proprio collasso economico, difficilmente arginabile a meno di ulteriori sacrifici da pare della classe lavoratrice. Ma anche questi, come hanno dimostrato le manifestazioni in Grecia e nella stessa Ungheria, spesso non sono sostenibili e generano una reazione difficilmente controllabile.

Tom

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.