La prossima riforma dell’università

Sempre più all'insegna di tagli ai bilanci, precarietà, profitto aziendale

La riforma “Gelmini” che al momento in cui scriviamo sta per essere presentata al Senato per l’approvazione definitiva prevede alcune sostanziose novità: la riorganizzazione della struttura di comando interna agli atenei, con un forte accentramento dei poteri nelle mani di Rettori, Direttori generali e consigli di amministrazione. Questi ultimi non saranno più, come in passato, organi rappresentativi delle varie componenti della comunità accademica, ma si configureranno a tutti gli effetti come consigli di amministrazione di una normale azienda medio-grande, anzi la legge prevede che nei CdA siedano in larga quota elementi esterni all’università. È verosimile dunque prospettare un domani in cui in questi organismi siedano rappresentanti di imprese, banche, fondazioni, enti locali interessati al buon funzionamento delle università secondo la moderna logica del profitto.

Non che prima le università fossero oasi di libera ricerca e di libero sviluppo della conoscenza; mentre però anni fa l’università aveva un ruolo indiretto di istituzione culturale, che mediava la trasmissione delle idee della classe dominante alle nuove generazioni, ora si presenta, nel suo stesso assetto, come un’azienda economica fatta per generare profitto dove al posto delle merci ci sono i titoli di studio e i loro portatori, gli studenti. Come ogni buona azienda che si rispetti oggigiorno la prima necessità che si presenta è suddividere il personale secondo una gerarchia molto stringente, al cui vertice stanno gli elementi più privilegiati e alla cui base, limitandosi per il momento a considerare la sola componente docente, stanno i “meno meritevoli”: in questo caso quella vasta congerie di figure come ricercatori, assegnisti, postdottorati, cultori della materia ecc. che negli ultimi anni le continue riforme a costo zero hanno fatto crescere in numero e importanza e che vedono in questa ennesima riforma confermata e ampliata la propria condizione di precariato e basso salario.

Inutile dire, date le circostanze, che si fa sempre più difficile per chi provenga da strati sociali non abbienti, accedere a ruoli di docenza se il percorso si fa tanto più lungo e accidentato, anche in presenza di ottime capacità personali e solida preparazione scientifica. Le fasce più basse della docenza e della ricerca (quelle più sotto attacco) sono pagate a volte pochi euro per un intero corso o per mesi di lavoro in complessi progetti internazionali e subiscono una condizione di precarietà e ricattabilità permanente, ma queste fasce sono tanto più deboli quanto più si organizzano e si riconoscono su un piano diverso rispetto al proletariato.

Ad onor del vero la legge dedica del tempo anche alle agevolazioni per i “più meritevoli” ma il modo di presentarle puzza parecchio di già visto: non si parla più di borse di studio a fondo perduto ma di “premi, buoni studio e prestiti d’onore” da restituire in tutto o in parte una volta laureati. Se il modello è quello degli Stati Uniti dove gli studenti degli atenei anche non di primissimo livello, dedicano una buona parte del reddito dei loro primi anni di lavoro a rimborsare i prestiti che hanno dovuto contrarre da studenti non è un bel vivere.

Questa legge in definitiva è figlia della legge 133 che tagliava il fondo di finanziamento ordinario alle università di un miliardo e mezzo di euro in cinque anni, e che ha costretto le università a riorganizzarsi, razionalizzando, tagliando, esternalizzando. La legge 133 a sua volta è figlia della crisi del capitalismo italiano e internazionale: niente di nuovo sotto il sole dunque. Resta il fatto che finché coloro che protestano giustamente contro i singoli provvedimenti che li vedono coinvolti, rifiutano di prendere in considerazione un quadro d’insieme che è invece sempre più evidente, ogni opposizione, ogni reazione a questo stato di cose verrà più facilmente isolata e, quando necessario, bastonata.

MB, 2010-05-23

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.