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Le manovre finanziarie della borghesia
Una belva s'aggira per l'Europa: è in cerca di vite da azzannare, rapporti umani da lacerare, intelligenze da calpestare. Ha devastato la Grecia, ma ormai non c'è regione del vecchio continente che sia risparmiata dalla sua furia. Questo mostro ha un nome, “i mercati”, che esigono dal proletariato e dagli strati sociali più bassi sacrifici su sacrifici, perché il gigantesco apparato speculativo-predatorio da essi gestito possa continuare a funzionare, costi quel che costi. Tanto, appunto, i costi non sono loro a pagarli.
Siamo dunque arrivati a un nuovo, ma prevedibile, capitolo della crisi - a volte negata, spesso minimizzata - che, pur affondando le radici nell'economia reale, è esplosa nel mondo della finanza, scuotendo dalle fondamenta la struttura economica e i bilanci degli stati. Quello che fino a poco tempo prima sembrava essere la ricetta magica per lo sviluppo, vale a dire la crescita basata sul debito e sui truffaldini giochi finanziari, si è dimostrato essere quello che è sempre stato, un tentativo di eludere le contraddizioni insanabili del capitalismo che prima o poi doveva mostrare la corda. E allora, “i mercati”, cioè le grandi istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, fondi d'investimento ecc.) e il grande padronato - che non solo hanno campato alla grande sui titoli del debito pubblico, sulle opache manovre contabili dei governi, ma le hanno sollecitate - adesso chiedono ai loro complici-servi, il personale politico, l'esecuzione di manovre finanziarie che avranno pesantissime ricadute sull'esistenza di milioni e milioni di proletari.
Da Roma a Berlino, da Madrid a Londra, chiunque sia al governo, la musica è sempre quella. Non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini, non alzeremo le tasse, ululano in coro Berlusconi e la Merkel, Zapatero, Sarkozy e Cameron, ma la traduzione del loro lugubre canto è un'altra: non alzeremo le tasse ai ricchi, non toccheremo le loro tasche, mentre metteremo le mani addosso a voi, proletari, a voi lavoratori del privato e, in particolare, per questa tornata, del pubblico impiego, che, da fannulloni quali siete, avete mangiato a sbafo nella greppia dei bilanci statali, determinandone il dissesto. Gli operai che hanno passato un'esistenza intera in fabbrica, i precari che conducono una vita all'insegna dell'ansia e dell'insicurezza, i dipendenti pubblici - tutta gente che non ha mai evaso un centesimo, né ha mai effettuato spericolate operazioni borsistiche - vengono socialmente stuprati perché gli effetti di quelle operazioni non compromettano ulteriormente la traballante baracca del capitalismo. Così, i governi varano “manovre finanziarie aggiuntive” (in Italia, 24 miliardi di euro circa) che, oltre tutto, come temono diversi economisti borghesi, rischiano fortemente di soffocare sul nascere la tanto decantata (da loro), fantomatica ripresa, visto che prevedibilmente diminuirà la possibilità di spesa di milioni di persone. Non c'è bisogno di una laurea a Cambridge per capire che cinquemila euro in meno all'anno su un reddito complessivo di centomila euro (è la “minaccia” che incombe sugli alti redditi...), non cambiano praticamente nulla, mentre ottocento euro che vengono a mancare dallo stipendio di un bidello fanno una grossa differenza, in quanto a capacità di spesa.
A proposito, la scuola, nella manovra italiana, è il settore più colpito: non solo salta il rinnovo del contratto per i prossimi tre anni - come in tutta la pubblica amministrazione - ma saranno cancellati, per lo stesso periodo, anche gli scatti di anzianità, con le ovvie ricadute a valanga sulla pensione; il tutto si somma ai tagli della cosiddetta riforma Gelmini: insomma, piove sul bagnato. Giusto per dare qualche riferimento, è stato calcolato che, supponendo un tasso di inflazione “moderato”, i dipendenti statali perderanno in media (senza conteggiare gli effetti negativi sulla pensione) dal 5 al 10% dello stipendio, ma per i lavoratori della scuola si può arrivare fino al 15%.
Già che si è accennato alle pensioni, verranno ridotte a una sola le “finestre” per andare in pensione, inchiodando anche per un anno in più il lavoratore all'azienda, e, tocco finale, verrà anticipato al 2012 la soglia pensionistica dei 65 anni per le lavoratrici statali. E' noto a tutti il laido balletto di questi giorni (primi di giugno) interpretato da quei poco distinti signori del governo: “è un passo avanti verso la parità dei diritti tra uomini e donne”, dicono, sì, ma verso il peggio; senza contare poi la barzelletta del “ce lo chiede l'Europa”, per scaricare la responsabilità della vigliaccata su Bruxelles. Pur rimanendo nell'ottica del diritto borghese, le Carfagne e i Sacconi, i Brunetta e i Tremonti, se proprio avessero voluto salvaguardare la parità dei diritti, avrebbero dovuto concedere alle donne la possibilità di ritirarsi prima dal lavoro, perché, scoprendo l'acqua calda, la donna ha un carico di lavoro complessivo oggettivamente superiore all'uomo; oppure, bestemmia!, avrebbero potuto abbassare per tutti l'età pensionistica.
Ma non è finita qui: nel micidiale intruglio anti-crisi ci sono anche il blocco del turn-over nella pubblica amministrazione, il licenziamento di metà dei precari, la soppressione di enti di ricerca e istituti culturali, spesso di alto livello, nonché il taglio dei fondi spettanti agli enti locali (si parla di 13 miliardi di euro), con la conseguenza, scontata, che i servizi sociali, a cominciare dalla sanità, verranno significativamente ridotti in quantità e qualità.
C'è altro? Sì. Non poteva mancare il regalo agli evasori fiscali da parte di un governo che ha tra quella genìa un sostegno entusiastico: colpo di spugna, previo pagamento di un modesto obolo, su oltre un milione di case “fantasma”, cioè sconosciute al catasto e quindi al fisco, alla faccia dei “cittadini onesti” e della tutela del territorio.
La sicumera delle gang borghesi è tale che non si fanno scrupoli nel condire la guerra sociale dichiarata al proletariato con la derisione, oltre che col disprezzo. Per esempio, in Germania lo stato eroga un incentivo, che arriva(va) fino al 67% dello stipendio, ai genitori che si prendono un periodo di congedo per la cura dei figli piccoli, della durata di quattordici mesi, e questo vale(va), in misura più ridotta, anche per i disoccupati. Ebbene, dal prossimo anno, al pari di altre indennità di disoccupazione, il sussidio verrà ridotto per gli occupati e cancellato per i disoccupati, con la scusa che questi ultimi non hanno bisogno di incentivi per stare a casa, visto che dispongono di un sacco di tempo libero.
La beffa è un'espressione dell'odio - conscio o inconscio, non importa - che la borghesia prova nei nostri confronti, ma, forse, l'una e l'altra nascondono la paura che prima o poi, così come si è rotta l'illusione di una crescita infinita fondata sulla speculazione, si strappi la cappa di paura, rassegnazione e sfiducia che, finora, pesa sul proletariato. Allora sì che i borghesi riderebbero meno, molto meno, e sarebbero addirittura terrorizzati se il risveglio della classe si saldasse, alimentadolo, col suo partito, con la strategia e la tattica di una coerente prassi anticapitalistica.
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
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