Pomigliano: o schiavi, o alla fame

Immagine - Operai coreani sul tetto della Ssangyong occupata

Queste le alternative offerte dal capitalismo in crisi

Le condizioni minime per poter essere competitivi in Europa sono il massimo utilizzo degli impianti e la flessibilità, indispensabile per rispondere tempestivamente alle esigenze del mercato. Il tutto accompagnato da un rigoroso contenimento dei costi di struttura e del lavoro (1).

Marchionne, “Il Mattino”, 9 aprile 2010

Il discorso non fa una grinza, se teniamo conto che viviamo in una società divisa in classi e che a parlare è un alto esponente della classe borghese. C’è la crisi, i padroni l’affrontano nel solo modo che conoscono: sacrifici per la classe lavoratrice. (2)

Il Piano prevede lo spostamento della produzione della Panda dallo stabilimento polacco di Tychy al G.B. Vico di Pomigliano, con un investimento di 700 milioni di euro. In cambio di questo “favore” i padroni hanno chiesto (anzi imposto): passaggio dai 15 ai 18 turni, sabato lavorativo obbligatorio (si lavorerà quindi su 6 giorni anziché 5, turno notturno obbligatorio, fabbrica attiva 24 ore su 24); aumento delle ore di straordinario obbligatorie annuali (da 40 a 120!); spostamento della pausa mensa a fine turno; riduzione della pausa sulle linee meccanizzate da 40 a 30 minuti; recupero delle fermate tecniche; introduzione del sistema Ergo-Uas che punta a tagliare i tempi morti e ad aumentare la “saturazione” della forza-lavoro; incremento dei ritmi produttivi per ogni lavoratore del 30%; taglio di 500 operai (attraverso la mobilità) che si aggiungono ai precari ai quali non è stato rinnovato il contratto; stretta sui permessi, non pagamento dell’integrazione all’indennità di malattia Inps per assenze giudicate “anomale” (per esempio giornate di malattia al disopra della media, in coincidenza con scioperi o manifestazioni); divieto di sciopero in casi “particolari” (per esempio nei casi di recuperi produttivi o picchi di mercato); sanzioni per i lavoratori che violano i punti dell’accordo. Dopo questa carrellata ci sarebbe veramente molto poco da commentare. Le condizioni imposte dal piano sono veramente al limite dell’umana sopportazione, basti pensare che condizioni di questo tipo non sono applicate, oggi, nemmeno nello stesso stabilimento polacco di Tychy. (3)

Ma non solo, questo piano porta con se una novità di non poco conto: molti di questi provvedimenti sono in deroga allo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro e persino in deroga ad alcune norme legislative (per esempio sulla gestione dei turni, delle pause, del lavoro notturno, degli straordinari, sulle sanzioni disciplinari). Un aspetto, questo ultimo, che mostra drammaticamente le difficoltà da parte dei padroni a gestire questa crisi economica. Anche con l’applicazione del piano Marchionne restano comunque grosse incertezze dal punto di vista occupazionale, sia in Fiat che nell'indotto. Ed inoltre c’è la questione dello stabilimento polacco. Sono lavoratori anche quelli o no? Quale sarà il destino di quegli operai, dei quali nessuno si interessa (sindacati per primi)? (4)

In ogni caso il piano Marchionne è un boccone pesantissimo da far digerire ai lavoratori, anche perché era chiaro fin dall’inizio che l’azienda non avrebbe fatto nessun passo indietro. Prendere o lasciare, accettate o niente Panda a Pomigliano, un vero e proprio ricatto padronale. (5) Si è arrivati quindi all’ok da parte di Fim, Uilm, Fismic e Ugl: è il massimo che si poteva ottenere, a rischio c’era la chiusura dell’impianto. Insomma il solito ragionamento dei sindacati, che vedono la cosa dal punto di vista dei padroni, quindi quel massimo ottenibile significa sempre… compatibilmente alle necessità di profitto dei padroni. Contrarietà invece ha mostrato la Fiom. Un no apparentemente netto che col tempo però è apparso più cauto. Il direttivo riunitosi lunedì 14 giugno, dichiarando il proprio no allo sconvolgimento del contratto nazionale, si è dichiarato però disposto ad accettare l’impostazione generale del piano e i 18 turni. (6) Ci piacerebbe chiedere alla Fiom: perché accettare - in ogni caso - un peggioramento delle condizioni degli operai? Senza nemmeno provare ad opporsi! Perché non pensare anche alle condizioni dei precari licenziati, dei lavoratori dell’indotto e del futuro degli operai polacchi? Ma già possiamo immaginare la risposta che ci verrebbe data: “era il massimo ottenibile in questa situazione”, e ritorniamo quindi al discorso di prima. Ma l’azienda non era disposta a cedere nemmeno su questo, si è arrivati quindi all’accordo separato, senza la Fiom. (7)

Insomma, i soliti sacrifici per noi lavoratori, i soliti servili e inutili sindacati. La Fiom-CGIL continua quel ruolo che abbiamo avuto modo già di commentare in passato. Formalmente si presenta come un sindacato combattivo, ma questo suo comportamento è semplicemente un inganno che serve a raccogliere l’incazzatura dei lavoratori e a renderla sterile. Per esempio, il sindacato “rosso”, la CGIL nazionale, non ha accettato il nuovo modello di contrattazione (accordi gennaio 2009) ma intanto continua a firmare rinnovi contrattuali che si muovono proprio su quel modello.

È proprio oltre quelle compatibilità, tanto care ai sindacati, che i lavoratori devono dirigersi. Lottare significa difendere i propri interessi, senza tener conto delle esigenze di profitto dei padroni. Ma una lotta vera non verrà dai sindacati, organismi di mediazione. Oggi non ci sono margini per mediare, non ci sono spazi per il sindacato. Le vere lotte possono emergere solo attraverso il protagonismo reale dei lavoratori. Su questo, gli operai di Pomigliano sono stati da esempio quando, nel 2008, lottarono contro l’esternalizzazione degli operai più combattivi al reparto confino di Nola. Il punto di forza di quella lotta fu proprio il reale protagonismo dei lavoratori, che misero da parte le bandiere sindacali, dando vita ad un comitato di lotta e ad uno sciopero ad oltranza gestito dalle assemblee fuori dalla fabbrica. È da quella esperienza che bisogna ripartire.

NZ

(1)

La crisi che ha colpito il mondo dell’automobile a partire dalla fine del 2008 ha evidenziato in modo drammatico le debolezze dell’industria europea e, di conseguenza, anche quella della nostra struttura produttiva in Italia. Da quel momento è diventato indispensabile trovare risposte alla necessità di razionalizzazione e aumento della competitività per allinearci alla migliore concorrenza […].

(2) Le leggi del mercato capitalistico impongono scelte “obbligate” ai padroni e allo staff dirigenziale della Fiat: tagli, flessibilità, aumento dei ritmi di lavoro. I soliti sacrifici per noi lavoratori (come se non ne avessimo già fatti abbastanza…), la solita difesa incondizionata dei profitti padronali. Anche il piano Fiat per Pomigliano ovviamente si muove su questa linea. Come in tutti gli stabilimenti Fiat - e in generale come in tutte le fabbriche e le realtà di lavoro - anche gli operai di Pomigliano certamente non se la spassavano… ma la crisi ha imposto l’ennesimo cambio di marcia, ed ecco quindi due anni di cassa integrazioni, quasi continua, e il nuovo piano industriale.

(3) Questo “modello Pomigliano” si avvicina di molto all’isola felice (per i padroni) che la Fiat cercò di costruire (in buona parte riuscendoci, in parte no grazie alla reazione operaia) nello stabilimento di Melfi.

(4) Insomma un precedente che va ben oltre la fresca riforma della contrattazione (che prevede meno peso al contratto collettivo nazionale, più peso alla contrattazione locale). Nonostante, infatti, gli ultimi “interventi” di reale ripresa produttiva nemmeno l’ombra e i padroni sono “costretti” a scavalcare anche le ultime “novità” legislative (in questo caso il contratto collettivo e la riforma della contrattazione stessa). Vista la cosa dal nostro punto di vista - ovvero del proletariato - nonostante i continui “sacrifici” l’attacco dei padroni alle nostre condizioni di lavoro e di vita sembra proprio che non sia “destinato” ad arrestarsi, anzi... Ritornando al caso Pomigliano. Vista la crisi - la propria natura strutturale e le conseguenti difficoltà ad affrontarla - siamo certi che la produzione della Panda a Pomigliano garantirà lavoro ai circa 5.000 lavoratori? E soprattutto, c’è il problema indotto. Sono infatti più di diecimila i lavoratori campani impiegati in aziende che producono per Fiat. Per molti di questi il futuro non promette nulla di buono. Alla FMA di Pratola Serra si parla già di 600 esuberi, alla ASM di Pianodardinei, ma giusto per continuare a fare qualche altro esempio, i vertici aziendali hanno già dichiarato che con il nuovo piano molti cassaintegrati diventerebbero esuberi strutturali.

(5)

Con questa flessibilità è già possibile garantire una produzione annua superiore alle 280 mila Panda […] se la Fiat sceglie di applicare in tal modo il Contratto nazionale e le leggi, la Fiom ne prende atto senza alcuna opposizione, disponibili ovviamente a una applicazione anche delle parti più severe.

(6) Non a caso infatti sono passati più di due mesi tra presentazione del piano e accordo finale, con continui incontri tra sindacati confederali-azienda e consultazioni sindacali per testare l’umore dei lavoratori. L’azienda non era intenzionata a cedere su nulla, si trattava solo di capire come imporre la cosa ai lavoratori. Innanzitutto il terrorismo: se non si accettano le condizioni si rischia il posto di lavoro (la chiusura dell’impianto, così come a Termini Imprese), una paura appesantita dai due anni di cassa-integrazione.

(7) Ritornando a Pomigliano, adesso si è detta contraria a quel accordo ma cosa farà - o almeno tenterà di fare - per opporsi all’applicazione dell’accordo? La Fiom dovrebbe dirigere i lavoratori verso una reale scontro con il padronato, con scioperi veri, estesi anche agli altri settori lavorativi, per lo meno in tutti gli stabilimenti Fiat e dell’indotto, con picchetti per bloccare la produzione e danneggiare realmente il padrone. Insomma una lotta vera, puntando a vincere (almeno provarci!). Ma siamo certi che così non sarà, la Fiom continuerà il suo gioco, un gioco fatto di finte lotte e continuo inganno.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.