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Home ›Per l’unità del proletariato contro il capitale
Quando si dice il capitalismo è in crisi, va aggiunto che dalla crisi il capitalismo non potrà mai definitivamente uscire. A parte qualche momentanea e breve ripresa, più apparente che reale, e sempre con due presupposti:
- peggioramento delle condizioni di vita e di sfruttamento dei lavoratori;
- intensificazione dei conflitti commerciali e bellici fra le diverse aree imperialistiche.
È il contrario di ciò che sostengono sindacati e partiti, siano essi di governo o di opposizione, di destra o di “sinistra” compresi quelli espulsi dal Parlamento. Tutti ammettono l’esistenza e la gravità della crisi sostenendo però che essa non solo si può superare ma - gestita con qualche momentaneo sacrificio - porterà addirittura a futuri miglioramenti economici e sociali. Perciò si chiedono nuovi aumenti della qualità e della quantità delle merci da produrre e da offrire ad un mercato saturo, che manca di consumatori paganti indipendentemente da quella che sarebbe invece una necessaria soddisfazione dei reali bisogni dell’umanità.
In questa realtà, occorre chiamare all’unità e solidarietà concreta tutti i proletari, occupati o disoccupati. Ciò significa una partecipazione attiva alle proteste e alle lotte, quanto più allargate e incisive. Il rifiuto dei licenziamenti, innanzitutto, per non piegarsi alle esigenze di sopravvivenza dei capitalisti, peggiorando condizioni di vita già misere. Le caritatevoli mediazioni della Cassa Integrazione o dei sussidi (da fame) ai disoccupati, oltre alle sofferenze individuali e famigliari portano all’indebolimento e alla sottomissione di tutto il proletariato al dominio del capitale. Lottare per difenderci dagli attacchi del capitale è il primo passo; ma nel contempo occorre essere che la sola difesa non è sufficiente per spezzare le catene di questo dominio. Occorre quindi respingere le illusioni che sia possibile la mediazione fra gli interessi del capitale e quelli dei lavoratori perché ciò ci trascinerebbe in un vicolo cieco.
Il pericolo che vanificherebbe i nostri impegni, sforzi e sacrifici, è quello di una interpretazione demagogica e ingannatrice che legasse le nostre rivendicazioni ad un’opera di risanamento, di rilancio e ulteriore “sviluppo” della economia capitalistica. Secondo la logica borghese, i lavoratori avrebbero lavoro e salario solo con la messa in atto di interventi e programmi (statali o privati, ma sempre capitalistici) di rilancio della, competitività e degli investimenti per la conquista dei mercati. È questa la musica che ogni banda politica e sindacale suona: bisogna salvare l’industria nazionale, produrre meglio e più degli altri; solo garantendo al capitale investito un “giusto” profitto si possono impiegare più operai e aumentare i salari... Produrre di più e in minor tempo, questo è l’imperativo del capitale che trascina i proletari nelle sabbie mobili di condizionamenti che mirano a deviare le lotte e a incanalare il malessere sociale sul terreno della mediazione del conflitto sociale, finendo col diffondere rassegnazione e frustrazione, sia individuale e sia di classe.
A questi nodi cruciali va data una risposta politicamente incisiva, seguendo il percorso di una rivendicazione classista che, in quanto tale, vada a colpire il cuore stesso del capitalismo prendendo atto che esso non dispone più di spazi e di briciole con cui addomesticare sotto il suo comando e sfruttamento la classe operaia. Di fronte all’approfondirsi della crisi economica e all’aggravarsi dei suoi effetti a spese del proletariato, in ogni parte del mondo, più che una illusione diventerebbe un suicidio politico l’inseguire semplicemente le rivendicazioni sindacali senza mettere in discussione gli attuali rapporti di produzione. Ed è solo entro questi stessi rapporti, non contro di essi, che si muove il sindacato per la sua stessa natura di organismo di mediazione e non di rottura col capitale.
La speranza di un “condizionamento” dell’azione sindacale ai nostri reali interessi fa il paio con l’illusione di una possibilità di sbocchi positivi a qualche rivendicazione operaia che in realtà il capitale ritorce contro gli operai stessi. La logica di una ideologia obiettivamente conservatrice e mistificatrice ancora limita e ingabbia l’azione, spesso spontanea, degli operai; ancora impedisce di sbloccare l’addomesticamento sociale e politico esercitato fin qui dal potere del capitale. Tocca a noi incidere in questa situazione, con il nostro lavoro di critica e di riproposizione del programma per il comunismo.
cdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2008
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