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Home ›Condizioni e lotte operaie nel mondo
Germania
Ottocento dipendenti dello stabilimento automobilistico Daimler, il più grande di tutta la Germania, il 18 giugno scorso sono scesi in sciopero per difendere l’attuale sistema di pre-pensionamento. I lavoratori, in maggioranza impiegati alle presse, sono estremamente preoccupati per la fine, programmata per il 2009, dei sussidi pubblici ai prepensionamenti. Se da un lato si è trattato di un’azione limitata a solo due ore e diretta dal sindacato IG Metall dall’altro questo sciopero ha messo in luce uno dei principali elemento di conflitto dell’attuale fase: la crisi del sistema di Welfare nato dopo la seconda guerra mondiale. Spesso la sinistra italiana ha preso a modello il capitalismo tedesco nella gestione delle crisi industriali, slogan come “lavorare meno ma lavorare tutti” hanno riecheggiato per anni, oggi di fronte all’aggravarsi della crisi strutturale del sistema è sempre più evidente come non vi siano soluzioni poco dolorose alle contraddizioni del capitalismo neppure nei Paesi della socialdemocrazia storica.
Turchia
Gli scioperi che hanno coinvolto nei mesi scorsi i lavoratori del porto di Istanbul si sono estesi ai cantieri navali della vicina Tuzla. Anche in questi stabilimenti la lotta ha come obiettivo l’arresto di quella che è ormai una vera e propria ecatombe causata dai ritmi di lavoro insostenibili in condizioni di totale insicurezza. Il 14 giugno centinaia di scioperanti, con il sostegno di migliaia di lavoratori esterni e di molti militanti politici, hanno manifestato di fronte ai canteri navali. La situazione contro cui lottano è inaccettabile: solo negli ultimi mesi nel distretto di Tuzla sono state uccise in incidenti sul lavoro 25 persone, nel maggio scorso due lavoratori sono morti nello spazi di una sola settimana. La ricerca della competitività in un mercato in forte crisi ha portato i cantieri navali a subappaltare a ditte esterne gran parte del lavoro, queste a loro volta per ottenerlo impongono un livello di sfruttamento e condizioni di lavoro criminali. Se si pensa che oggi 45.000 operai dei cantieri di Tuzla, quasi il 90% del totale, sono dipendenti di queste società è facile capire la gravità della situazione. La situazione del porto si Istanbul è molto più grave di quella italiana però anche nel nostro paese il tentativo di contenere al minimo il costo della forza lavoro sta provocando il preoccupante incremento degli incidenti sul lavoro al quale stiamo assistendo da tempo con conseguenti ipocrite reazioni dei borghesi nostrani.
Marocco
Il 7 giugno la polizia ha attaccato con violenza i manifestanti che bloccavano il porto di Sidi Ifni nel sud del Paese. Gli scontri sono stati molto duri e, anche se la notizia non è certa, dovrebbero aver portato all’arresto dei diversi manifestanti e anche alla morte di alcune persone. Il porto era bloccato dal 30 maggio scorso, quando i manifestanti erano scesi in piazza per protestare contro la povertà crescente e contro la disoccupazione strutturale che sta stritolando la regione totalmente marginalizzata dai programmi di sviluppo economico del governo centrale.
Algeria
Il 25 giugno centinaia di lavoratori dell’azienda petrolifera di stato Sonatrach sono scesi in sciopero ad Hassi R’mel vicino ad Hassi Messaoud, una delle principali aree di estrazione di gas nel sud del paese. Gli scioperanti richiedono un incremento dei salari e sono pronti a paralizzare la produzione di gas della regione. Un’altra dimostrazione di come non “siamo tutti sulla stessa barca”, di come gli interessi di lavoratori e padroni siano in realtà inconciliabili, di come a fronte di un mercato molto favorevole per i produttori energetici non corrisponda un aumento dei salari per i lavoratori se non a fronte di lotte.
Iran
Il 21 giugno più di mille dipendenti della cartiera di Shoosh hanno manifestato sotto l’edificio della direzione dell’azienda indicendo un sit-in di protesta contro il mancato pagamento di tre mesi di salario. Sempre a Shoosh, ma separatamente, i lavoratori della fabbrica di zucchero Haft-Tapeh continuano a scioperare e a dimostrare di fronte alla direzione della holding proprietaria dello stabilimento.
Le unità speciali dell’ IRGC, la guardia della rivoluzione islamica, il principale organo di repressione del regime clericale iraniano, sono intervenute per impedire che le manifestazioni si diffondessero per le vie della città. È infatti proprio nell’abbattimento degli steccati con i quali la borghesia ha artificialmente diviso la classe operaia che sta uno dei principali pericoli che il sistema corre, soprattutto quando si tratta di uno dei regimi che in modo più sanguinario si regge sull’oppressione e la violenza. Salutiamo le lotte dei lavoratori iraniani con la speranza che non vengano incanalate nel solco tracciato dalla borghesia democratica nazionale.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2008
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