Il futuro del lavoro salariato è nero

Sempre di più il capitalismo in crisi ricorre a forme di sfruttamento selvagge

Economia sommersa da dopoguerra o da sopravvivenza, da boom economico o da abbondanza, da recessione e da globalizzazione. Come lo giri lo giri il lavoro nero ha accompagnato le vicende economiche italiane dal secondo dopoguerra ad oggi, fissandosi plasticamente ad esse, e con esse modificandosi. Ci soffermeremo brevemente sul lavoro nero attuale quello da globalizzazione, da concorrenza (cinese) perduta o se si preferisce, come 60 anni fa, da sopravvivenza. Quella era però una sopravvivenza in crescita, perché si poneva all’inizio del ciclo di accumulazione del capitale, questa odierna si pone invece nella fase decadente del ciclo. Cioè, da un lato la sempre più estesa capacità di produrre ricchezza, che si trasforma, dall’altro, nella generalizzazione della miseria. Proprio questo punto vogliamo sottolineare, seppur nella complessità e nelle diversità del manifestarsi del lavoro nero. Sappiamo bene, ad esempio, che per la Sicilia, la regione con più sommerso d’Italia, la componente politico-mafiosa influisce decisamente sul fatto che a fronte di 1 milione e 450 mila occupati regolari ve ne siano 675 mila irregolari. Ma ci interessa indicare la linea mediana, inquadrare l’odierno lavoro nero all’interno della tendenza generale prima individuata. Secondo una stima, per difetto, in Italia nel 2003 i lavoratori in nero erano più di 6 milioni (1). La loro distribuzione territoriale vede le seguenti percentuali: nord Italia 39%, centro Italia 24,3% e sud Italia 36,7%. Il settore di attività maggiormente interessato e quello del terziario/servizi, attenuato al sud da una maggiore quota impiegata in agricoltura. Subito due osservazioni: la percentuale di lavoro nero è maggiore al nord dove è maggior la produzione e la concentrazione industriale. È maggiore nel settore terziario che, invece dell’avanzata delle classi medie, si è caratterizzato in attività dequalificate ed in una pletora di piccolissime imprese che nella sostanza forniscono servizi alla media/grande impresa, accollandosi e assorbendo la riduzione dei costi necessari a quest’ultima. Il lavoro nero rappresentava nel 1999 il 15-17% del PIL, pari a circa 166/188 miliardi di euro; mentre nel 2003 il 18-20% del PIL, pari a circa 188/210 miliardi di euro. Rappresentando almeno il 30% del valore aggiunto nel settore agricolo, il 19% nel settore terziario e il 13% in quello industriale. Sulle cifre dell’economia sommersa prima esposti vanno poi considerate le mancate entrate fiscali e previdenziali. Anche in Europa il lavoro nero è in crescita. Dal 1998 al 2002 l’economia sommersa ha subito le seguenti variazioni in relazione al PIL: Gran Bretagna dal 9,9% al 11,6%; Francia dal 7,8% al 9,1%; Germania dal 7,1% al 8,4%; Belgio dal 9,7% al 13,5%; Olanda 6,1% al 8%; Svezia dal 3,5% al 4,1%; Danimarca dal 5,6% al 4,9%; Irlanda dal 11,6% al 10,1%; Spagna dal 23,7% al 24,8% e Grecia dal 24,9% al 26,9%. Tornando all’Italia, oltre alle imprese già operanti in nero, vi è il rischio dell’immersione, nell’economia sommersa, di altre imprese in difficoltà economica. Queste sono prevalentemente le piccole imprese fino a 20 addetti, il cui numero è in crescita, o meglio il numero di quelle con meno di 100 addetti che sono passate dal 55% delle imprese totali negli anni ‘80 del secolo scorso, al 69% nel 2000. Ma l’indicazione di quel rischio immersione, e con esso della crescita del lavoro nero, c’è già ed è stimato in un 6-8% del PIL. Valore che sommato all’altro lo porta al 24-28%, pari a circa 260/300 miliardi di euro. Le uniche soluzioni per queste imprese, che sono divenute il tessuto connettivo del sistema produttivo italiano, sono:

  1. riduzione dei costi, principalmente del costo del lavoro che ha valenza centrale;
  2. ricerca di economie evadendo fisco e normative.

Pensate per un attimo a cosa ricordate del governo Berlusconi: condoni fiscali a ripetizione con cui regolarizzare le grandi e le piccole evasioni e completa rinuncia alla loro persecuzione. Attacco ai diritti dei lavoratori e flessibilizzazione del lavoro al fine di predisporre tutta una serie di contratti atipici per abbassare tendenzialmente il costo della prestazione lavorativa al livello del lavoro nero. Il tutto preceduto dalla burla della legge 383/2001 più nota come legge ‘Per i primi cento giorni del governo’ che, tra le altre cose, intendeva incentivare l’emersione del lavoro nero dando una svolta definitiva al problema. Risultato: poco più di mille imprese coinvolte nella normativa per un totale di 3.850 lavoratori. Effettivamente la svolta definiva c’è stata, tanto che lo stesso CENSIS, nel suo Rapporto del 2003, sottolineò che negli ultimi tre anni l’economia sommersa era cresciuta più dell’economia regolare. Vai dove ti portano le necessità del capitale, tanto a pagare è sempre pantalone.

mr

(1) Tutti i dati proposti sono tratti da A. Genovesi, “Lavoro nero e qualità dello sviluppo” Ed. Ediesse 2004. Secondo i dati Eurispes questa cifra oscillerebbe tra i 6 e gli 11 milioni.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.