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Home ›Il capitale allunga il tempo di lavoro
Dalla richiesta riformista delle 35 ore settimanali si è passati all'allungamento della giornata lavorativa
Dieci anni fa, luglio 1995, a Milano si svolse il convegno internazionale “Il giusto lavoro per un mondo giusto. Dalle 35 ore alla qualità della vita” (1). Le 35 ore erano lo strumento strategico della sinistra per riportare la giustizia nel mondo:
Per riappropriarci del nostro tempo, rubato dal capitale, per contrastare radicalmente la logica del lavoro salariato... Lottare quindi, oggi, per le 35 ore settimanali a parità di salario, non è soltanto rivendicare un giusto obiettivo sindacale, ma affermare un nuovo bisogno di civiltà e di dignità umana.
Di rincalzo Bertinotti che, attaccando le politiche neoliberiste, così argomentò:
Si apre per un lungo periodo una situazione che è caratterizzata o dall’accettazione della logica di questa ristrutturazione capitalistica, o dal tentativo di fuoriuscirne, di metterla in discussione attraverso una grande riforma che non sta dentro il quadro [perché vi è] il rischio che questa ristrutturazione capitalistica non produca soltanto un arretramento nelle condizioni di classe, ma un arretramento e una regressione complessiva di civiltà.
Compiuto un salto mortale le 35 ore sono passate da questione di giustizia a questione di civiltà. E, come si sa, la lotta per la civiltà è la tomba della lotta di classe. Molto più semplicemente le 35 ore a parità di salario avrebbero potuto essere un mezzo per creare quella domanda aggiuntiva che avrebbe tamponato le contraddizioni dell’accumulazione capitalistica. Insomma, di fronte alla crisi dello Stato sociale ed al fallimento delle politiche keynesiane, le 35 ore come politica economica che, aumentando il reddito a disposizione per il consumo, avrebbe sostenuto la domanda. Come Keynes si rimane ben aderenti al capitalismo, rintracciando il problema nel ‘sottoconsumo’, nell’assenza di equilibrio tra offerta e domanda. Per questa via si voleva anche porre mano alla disoccupazione quale strutturale manifestazione di questo disequilibrio. Il fatto non era tanto ridistribuire parte del plusvalore tra i lavoratori, ma quello di permettere al capitale di realizzare tutto il plusvalore. Rimanendo nella sfera della circolazione delle merci, come fa l’economia borghese seppur nella versione keynesiana, si possono trovare rimedi per equilibrare domanda ed offerta, ma si è scelto di non comprendere il modo di produzione capitalistico. Per quanto radicali o etiche possano apparire tali proposte, il loro presunto tentativo d’uscita dal capitalismo è... capitalistico. Si dimentica che il fine del capitalismo è il profitto e non la soddisfazione dei bisogni della collettività. E questo dato non è nemmeno il prodotto dell’egemonia culturale borghese. Intanto, mentre la sinistra riformista o alternativa attua una grande riforma che esce dal quadro per accedere al governo, il capitalismo italiano ha già da tempo messo in moto i suoi meccanismi a sostegno del profitto. Legge n. 863 del 1984 che introdusse i contratti di solidarietà e di formazione lavoro; decreto 14 febbraio 1984 del governo Craxi che ridusse l’incidenza della scala mobile e sua definitiva abolizione con l’accordo del luglio 1992. Cioè flessibilità del lavoro e riduzione del salario. Sulla flessibilità si è ora arrivati alla legge Biagi, mentre i salari, una volta abolita la scala mobile e con gli accordi successivi, hanno perso in un decennio 10 punti del PIL, circa 150 miliardi di euro all’anno. Anche l’orario di lavoro, già allungato, deve subire moderni aggiornamenti. Ecco allora, maggio 2005, l’approvazione al Parlamento Europeo delle modifiche alla direttiva 2003/88 “concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”. All’insaputa dei lavoratori, i politici, i padroni e i sindacati hanno definito quanto segue:
- annualizzazione dell’orario di lavoro: il lavoratore deve all’azienda 2304 ore di lavoro annuali da farsi quando c’è bisogno, la media settimanale di lavoro di 48 ore per 4 mesi viene estesa a 12 mesi, permettendo così di alternare settimane di 70 ore a settimane di 26 ore;
- si introduce la possibilità di concordare liberamente tra lavoratore ed azienda settimane di 65 ore;
- il lavoro in regime di reperibilità non entra nel computo delle ore di lavoro.
CGIL, CISL e UIL hanno solo chiesto, per non delegittimarsi, che l’estensione delle 48 ore medie a 12 mesi rientri nella contrattazione collettiva nazionale, mentre per il punto 2 hanno proposto una sperimentazione di 3 anni. Oggi Federmeccanica chiede libertà sui sabati lavorativi volendoli inserire nel contratto nazionale; mentre Fiom e Rsu si fingono irremovibili la Fim e pronta a barattare la flessibilità d’orario con la riduzione dei contratti precari. Si aprono spazi per nuove lotte non più di civiltà, ma per il tempo. Come 10 anni fa i lavoratori non devono farsi rubare il tempo dal capitale perché i padroni...
vogliono possedere il tempo di lavoro a priori, a loro totale imperio, senza dover interloquire ad alcun titolo, con alcun delegato nelle fabbriche vecchie e nuove. (2)
Ohibò, ecco il punto, si vuole interloquire sullo sfruttamento dei lavoratori. Lavoratori che vivono una sorta di schizofrenia dove più le loro condizioni di vita peggiorano più la loro lotta si sostanzia nelle parole, magari altisonanti, ma parole. Rimane pur sempre il capitale, la borghesia classe che lo incarna, a dettare, in funzione delle esigenze dell’accumulazione, i tempi e i modi di vita del proletariato e con essi i tempi ed i modi di lavoro. Non è quindi questione di potere sul tempo, ma di potere sui mezzi di produzione. È questione di smascherare la disor-ganizzazione pratica ed ideologica operata dalla sedicente sinistra ufficiale, di organizzare il proletariato in classe, e qui la lotta per il tempo di lavoro è solo un momento tattico della sua lotta unificatrice, di operare per la sua rivoluzione quale unica fuoriuscita dal capitalismo.
(1) “Il giusto lavoro per un mondo giusto”, Ed. Punto Rosso 1995, e G. Mazzetti “Economia e orario” Ed. Datanews 1994
(2) “Tempo da lupi”, Il manifesto 10.12.2005
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2006
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