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Home ›Medioriente: esplosioni rivoluzionarie in vista?
In "difesa del marxismo" i dirigenti del gruppo Falce e Martello, tra le quinte di Rifondazione, affrontano la questione della "rivoluzione araba". Si pongono (anzi si ripropongono, in compagnia di quasi tutti gli altri litigiosi gruppi più o meno rivoluzionari che aspirano al ruolo di guida delle masse popolari) il problema storico dell'unità della nazione araba, da risolvere con la creazione di una "federazione socialista dei paesi arabi", che farebbe da cornice alla soluzione della questione nazionale dei vari popoli e minoranze nazionali, etniche e religiose (berberi, curdi, ecc.). Prioritaria in questo quadro è la lotta all'imperialismo, affinché sfoci spontaneamente in una rivoluzione sociale sia contro l'oppressione Usa sia contro i regimi marci e corrotti dei vari Stati arabi. Il risultato dovrebbe consistere nel porre in mano alla classe operaia, ai contadini, ai disoccupati, ecc., risorse come il petrolio, la terra e l'acqua, le quali garantirebbero uno sviluppo economico e sociale della regione medio orientale. Già, a parte terra e acqua, eccoci al petrolio, da vendersi come merce all'odiato imperia-lismo, in dollari e - perché no - in sonanti euro. Solo così si avrebbe quel "_libero sviluppo economic_o", col quale si rivernicia il sogno del nazionalismo borghese, con l'aggiunta della "certezza" - avanti o popolo! - che "le masse arabe sapranno sollevarsi dall'abisso in cui sono state cacciate". Ci si dovrebbe chiedere a questo punto: da chi, come e quando? Si risponde: purtroppo vi è stata l'assenza di "forti partiti comunisti". In realtà i nostri lenin-trotskisti continuano a parlare di partiti comunisti presenti nel Medio Oriente ancora nel secondo dopoguerra (vedi Egitto, Iraq, Algeria, Siria, Yemen), seppur portati ad errare dalle politiche loro imposte dallo stalinismo. La prospettiva rimane comunque e sempre quella di una rivoluzione democratico borghese che dovrebbe poi assumere un "carattere socialista" e continuare a livello internazionale dopo aver dato vita alla "federazione socialista del Medio Oriente" (su quali basi economiche? con quali rapporti di produzione?). A questa rivoluzione democratico borghese si arriverebbe attraverso il lancio di "un appello ai lavoratori di tutti i paese arabi". Prendendo ad esempio il comportamento... esaltante, mostrato dalle masse operaie a suo tempo "inneggianti a Nasser e al sostegno di una nazione araba unita", i nostri si chiedono: perché dunque anche i rivoluzionari-progressisti non dovrebbero cavalcare il destriero nazionalista? Evidentemente siamo fermi, a distanza di un secolo - e quale secolo! - alla sostanza del programma di uno Stalin e di una Terza internazionale asservita a Mosca, col proposito di svolgere il ruolo progressista che le borghesie non avevano saputo svolgere (borghesie arabe, in questo caso, ma da noi Togliatti alzò le bandiere di un secondo Risorgimento che andava a completare il primo ed a seguirlo non fummo certamente noi internazionalisti bensì la stragrande maggioranza dei suoi...oppositori). Il "carattere socialista", a questo punto, scacciato dalla porta veniva - e oggi viene - fatto entrare dalla finestra sotto forma di nazionalizzazioni dell'economia (lo Stato in primis) e del piano centralizzato di produzione (la programmazione economica, ecc,). Basterebbe l'esproprio economico della borghesia, il passaggio dei mezzi di produzione allo Stato ed ecco che i rapporti di produzione capitalistici diventano... socialisti. Il progetto rimane del tutto vincolato ad una struttura capitalistica, ma questo, anche per un leone come fu Trotski, non venne mai chiarito.
Lasciamo il Medio Oriente e veniamo al nostro dolce e bel Paese e alle linee politiche abbozzate nel 5° documento precongressuale di Falce e Martello. Nota introduttiva: mancano in Italia quegli investimenti produttivi che sarebbero "l'unica base di una crescita sana". Avanti perciò con la "elaborazione di elementi di un programma di alternativa". I "programmi minimi" assillano il gradualismo democratico di certi rivoluzionari i quali, conseguentemente al presupposto di cui sopra, pretendono di inserirli in "una politica che proponga il necessario terreno unitario alle altre forze della sinistra". La sinistra è quella, a scanso di equivoci, democratica e parlamentare, costituzionale e forcaiola che da mezzo secolo appesta l'aria che respiriamo. A tal fine - quanto mai rivoluzionario e portatore di una chiarezza politica senza precedenti! - si respinge con vigore "una opposizione pregiudiziale e assoluta ad entrare in qualsiasi governo". Insomma, fin che si scherza, bene, ma quando si tratta di fare sul serio, non ci si può tirare indietro! Che si fa, nel frattempo? Ci si agita con innata... furbizia politica, per una "strategia di medio periodo e attraverso una corretta tattica", la quale sia capace di rompere la gabbia della collaborazione di classe e della concertazione ed aprire - ci risiamo - "la strada a un governo operaio". Purché questo, a parte gli equivoci della formula (a suo tempo lanciata dall'Internazionale sulla china del proprio processo degenerativo), sia eletto e approvato dalla maggioranza del popolo sovrano, a sua volta convinta - dall'astuta tattica democratico parlamentare dei neo trotskisti (ma Trotsky, in realtà, come la penserebbe ai giorni nostri?) - che un tale governo sia in grado di "gettare le basi della trasformazione della società in senso socialista".
Il senso predominante, ci sia concesso, è purtroppo quello di un certo disgusto politico.
dcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2005
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