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Home ›L'unto del Signore ha fatto flop! E l'economia italiana... anche!
L'economia italiana è in recessione. Nel 2005 il Pil avrà crescita negativa.
Per mesi il governo Berlusconi ha cercato di nascondere i veri numeri di una situazione economica drammatica, accusando i vertici politici dell'Unione Europea di essere troppo rigidi nell'interpretare i famosi parametri di Maastricht e bloccare quindi le asfittiche economie dei paesi del vecchio continente. Lo stesso ministro dell'economia Siniscalco proprio pochi giorni prima che l'Ocse ufficializzasse la recessione italiana, con la stima che nel 2005 il Pil avrà una crescita negativa dello 0,6%, spargeva a piene mani ottimismo circa la capacità dell'Italia di avere per l'anno in corso una crescita economica in linea con gli altri paesi dell'euro. Come tutte le bugie anche quelle governative hanno le gambe corte e tutti i dati finora forniti dal governo sull'economia italiana sono risultati falsi. A dirlo non siamo certamente noi comunisti rivoluzionari, ma addirittura l'Organizzazione che riunisce i maggiori paesi industrializzati al mondo, l'Ocse. Mentre nella finanziaria approvata a dicembre 2004 si prevedeva per il 2005 una crescita dell'economia del 1,2%, sia l'Ocse che lo stesso governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, durante l'ultima annuale relazione sullo stato dell'economia italiana, hanno nettamente smentito le false previsioni del governo prevedendo per il 2005 una crescita sotto zero. La contrazione del prodotto interno lordo avrà degli effetti devastanti sia sul debito che sul deficit pubblico. Il primo supererà alla fine dell'anno il 106% del Pil, ricordiamo che l'obbiettivo era quello di scendere nel corso del 2006 sotto la soglia psicologica del 100%, mentre il rapporto deficit con il Pil, senza interventi finanziari correttivi, supererà abbondantemente la soglia fissata dal patto di stabilità economica europeo del 3% attestandosi intorno al 4,4%. Se questo dato sarà alla fine dell'anno confermato, l'Italia oltre a subire un richiamo ufficiale da parte delle autorità dell'Unione Europea, rischia delle vere e proprie sanzioni economiche.
La crisi economica italiana s'inserisce in quella più generale del capitalismo a livello internazionale. Da oltre 5 anni l'intera economia mondiale sta vivendo la più grave recessione di questo secondo dopoguerra. I dati sulla crescita economica statunitense per molti economisti borghesi sono la più limpida dimostrazione che la palla al piede dell'economia mondiale sarebbe l'Europa, con una crescita di poco superiore all'1%. Ora se andiamo a valutare meglio la composizione del Pil statunitense osserviamo come la crescita sia dovuta in massima parte all'espansione delle attività finanziarie e soprattutto agli investimenti nel settore bellico. Sono stati gli enormi investimenti per finanziare le due guerre in Afghanistan e Iraq a creare quella domanda aggiuntiva che ha permesso all'economia statunitense di espandersi ad un ritmo più sostenuto rispetto all'Europa, ma non di meno nel momento in cui si esaurirà tale effetto le conseguenze per l'economia americana saranno drammatiche. Infatti, tutti i nodi strutturali dell'economia Usa si stanno in questi ultimi anni ulteriormente aggrovigliando, come per esempio i deficit della bilancia commerciale e di quello del bilancio federale.
In questo contesto internazionale la crisi economica italiana ha una sua specificità riconducibile alla particolare struttura dell'apparato economico-produttivo basato su un diffuso apparato industriale costituito da pochi grandi gruppi intorno ai quali ruotano una miriade di piccole e medie imprese. L'Italia è da sempre stato negli ultimi decenni una potenza industriale che ha basato la sua crescita economica soprattutto sulle esportazioni di merci. Le maggiori componenti del miracolo economico italiano sono stati i bassi salari e la svalutazione competitiva della lira rispetto alle monete di paesi come gli Stati Uniti o la stessa Germania. La presenza di un costo della forza lavoro nettamente più basso rispetto ai maggiori paesi industrializzati ha enormemente favorito le esportazioni delle merci e quindi l'espansione dell'intera economia italiana. Se ai bassi salari aggiungiamo le periodiche svalutazioni della vecchia lira, possiamo immaginare i vantaggi competitivi di tale mix per le esportazioni. Infatti la svalutazione della lira rendeva in quel contesto molto competitive le merci italiane sui mercati internazionali, tanto competitive che la bilancia commerciale italiana per decenni è stata attiva.
L'economia italiana dai bassi salari e dalle svalutazioni competitive si è poi strutturata intorno a pochi grandi gruppi industriali, il più importante dei quali è stato sicuramente la Fiat. Intorno a questi grandi gruppi ruotavano una miriade di piccole e medie imprese solo in apparenza autonome, ma in realtà legate mani e piedi, in quanto rappresentavano l'indotto, ai grandi gruppi industriali. Per l'economia italiana tale equilibrio si è drammaticamente rotto in questi ultimi anni a causa di alcuni fattori straordinariamente importanti e che hanno segnato un inevitabile declino dell'apparato industriale. Sotto l'incalzare della crisi si sono accelerati i processi di concentrazione su scala internazionale, tanto da rendere troppo piccoli i pochi grandi gruppi industriali italiani. In pochissimo tempo i colossi dell'economia italiana sono diventati dei nani rispetto ai concorrenti internazionali e non hanno retto la competizione sui mercati mondiali. Non è un caso che la chimica e l'industria automobilistica italiana siano letteralmente crollate in questi ultimi anni. Mentre le altre case automobilistiche mondiali fanno profitti per ogni macchina prodotta, la Fiat per ogni macchina venduta accumula una perdita pari al 10% del prezzo di vendita. Un'impresa che opera in tali condizioni o chiude bottega oppure è destinata ad essere assorbita da qualche concorrente più grande. Ora è evidente che una crisi di tale portata che travolge i grandi gruppi abbia degli effetti drammatici su tutte quelle piccole e medie imprese che vi ruotano intorno.
La nascita dell'euro e l'affermarsi sulla scena della Cina hanno esasperato i motivi della crisi economica italiana. Con la nuova moneta l'Italia ha guadagnato in stabilità finanziaria ma nello stesso tempo ha perso quel vantaggio derivante dalle continue svalutazioni competitive della lira. Le merci italiane per rimanere competitive sui mercati mondiali non possono ovviamente più contare sulla svalutazione, anzi in questi ultimi due anni grazie all'apprezzamento dell'euro rispetto al dollaro sono aumentate le difficoltà di esportare. L'ingresso della Cina nel panorama economico mondiale ha tra le altre cose determinato che per paesi come l'Italia, che avevano in passato sfruttato i bassi salari dei propri operai per esportare le proprie merci, si ritrovano con un costo del lavoro molto alto per reggere la concorrenza cinese. Non si può essere competitivi sul terreno delle esportazioni delle merci a basso e medio contenuto tecnologico con paesi come la Cina dove il costo del lavoro è almeno trenta volte più basso che in Italia; su questo terreno la partita è drammaticamente persa. Se consideriamo inoltre che le ridotte dimensioni delle imprese italiane non permettono loro di investire nella ricerca, recuperando in tal modo competitività sui mercati, possiamo ben capire quali sia lo spessore della crisi italiana. Esso è tale che la borghesia e i suoi governi, pur ammettendo che i salari sono stati già falcidiati dall'inflazione e che il lavoro non può essre precarizzato ulteriormente, non possono fare altro che scaricarne i costi sociali proprio sulla classe lavoratrice chiamata a stringere una cinta già terribilmente stretta.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2005
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