Le circolari del comitato del congresso

Nel momento cruciale della lotta interna che portò alla spaccatura del Partito, il Comitato del Congresso inviò a tutti i compagni una circolare nella quale era evidente la volontà di chiarire i dissensi e di evitare cosi la scissione.

Circolare n.1

I provvedimenti a tutti noti arbitrariamente presi dall'attuale C.E. affondano le loro radici in dissensi di analisi critica e di natura tattica e strategica delineatisi al vertice del partito e per lungo tempo non resi noti dall'organo direttivo alle organizzazioni periferiche.

Il primo urto fra le tendenze in contrasto si manifestò apertamente al Congresso di Firenze (1948); ma bisogna precisare che i dissensi non caddero improvvisamente dal cielo, essi covavano prima del Congresso anche se non apparivano sufficientemente alla superficie. Il Congresso ebbe il merito di farli apparire in viva luce e sottoporre tutti i militanti del partito a serie meditazioni.

In quella sede i Compagni Vercesi e Danielis avversarono totalmente il corpo di tesi poste in discussione e il secondo dei suddetti compagni affermò categoricamente che, se il Congresso si fosse affermato su quelle tesi il momento era giunto di costituire la frazione. Infatti: l'appello lanciato a Firenze dai pochissimi e occulti oppositori, non tardò a concretarsi, e nella prima e seconda riunione del C.C., successive al Congresso, si ebbero i primi tentativi di eludere il contenuto politico dei dibattiti e risoluzioni di Firenze.

Nel contempo il Comitato Esecutivo viveva vita precaria; il compagno Mani per convinzioni proprie e per sollecitazioni provenienti da alcuni mèmbri del C.C. cavillava sullo spirito delle suddette risoluzioni, e la prima crisi del Comitato Esecutivo si concludeva con le dimissioni del compagno Damen che mirava a determinare una salutare reazione da parte delle forze politicamente sane del Partito.

Il Partito nel suo insieme non avvertì il pericolo e l'esecutivo rimaneggiato, fattosi audace, operò la svolta coll’intento di farla convalidare dal convegno di gennaio 1951.

Da quel momento, il C.E., abbandonato anche dal compagno Bottaioli, rifiuterà sistematicamente la discussione disertando le assemblee della federazione milanese che, constatando che la crisi investiva ormai tutto il Partito, reclamava l'immediata apertura della discussione precongressuale considerandola come sola via di uscita per scampare alla paralisi che stava investendo l'organizzazione.

Essendo le cose giunte a tal punto era indispensabile reagire e la reazione è stata conforme alle norme statutarie e politicamente indilazionabile.

Il nostro primo bollettino di informazione volle essere una messa a punto fotografica della situazione ideologica esistente nel partito indicando la via del superamento.

Sta di fatto che, dopo le dimissioni dei compagni Damen e Bottaioli, che costituivano la maggioranza del C.E., e garantivano con la loro presenza la continuità della politica uscita dal Congresso di Firenze, il non aver consentito che fossero chiarire alla base del partito le ragioni che avevano determinato la crisi del Comitato Esecutivo, che praticamente aveva cessato di esistere, apriva di fatto le strade ad un dibattito di chiarificazione che si concluderà al Congresso. È nella prassi dei partiti proletari che le decisioni di Congresso e gli organi direttivi che le interpretano rimangano validi fino al nuovo Congresso. Ogni altra soluzione sa di avventurismo e prelude sempre a reazioni opportuniste qualunque sia l'etichetta di cui le si voglia ammantare.

Da che cosa è stata determinata la crisi del Partito? Dal dissenso profondo ed inconciliabile sul problema dei rapporti fra partito e massa, partito e sindacato, partito e agitazioni operaie. Dall'apertura della crisi ad oggi l'attuale Comitato esecutivo non ha precisato su questi problemi il proprio pensiero, e rasenta il ridicolo il fatto che abbia creduto d'iniziare il dibattito pubblicando due documenti di Amadeo che fanno a pugni, sia teoricamente sia politicamente, con contenuto dilettantistico e contradittorio pubblicato su «Battaglia Comunista », (sabotaggio dei Sindacati, posizioni antisciopero, sciopero antistalinista, ecc.).

È così evidente che se l'esecutivo del partito avesse aperto tempestivamente la discussione sui succitati problemi sollevati in sede di Comitato Centrale e in sede di Federazioni milanese, romana e torinese e avesse allora fatte proprie le posizioni sindacali chiaramente espresse e unanimemente accettate al Convegno di Roma, la crisi sarebbe stata evitata.

Va ricordato in proposito che ad iniziativa di alcuni compagni di Napoli doveva essere tenuto a Firenze un convegno contemporaneamente alla riunione del C.C. allo scopo di mettere a punto i problemi in dissenso nell'interno del partito e di sanare la crisi.

Il C.E. in data 18-8 inviava all'organizzazione la comunicazione che tale riunione si sarebbe tenuta entro la prima metà di settembre e ai mèmbri del C.C. si trasmetteva con la stessa data la disposizione relativa al convegno a cui si affidava il compito di creare le condizioni perché

«la riunione chiuda definitivamente il recente periodo di vita del partito e crei la premessa di una fase di lavoro fattivo, concreto e unitario.»

Ebbene, era poi lo stesso C.E. a silurare tale convegno con mezzucci di procedura perché sapeva di potersi valere di semplici pretesti per procedere alla espulsione di compagni la cui presenza negli organi centrali avrebbe impedito, e non era la prima volta che la impediva, la messa in esecuzione della svolta che avrebbe dovuto mandare in malora il partito.

Ma la crisi è in atto, e soltanto il dibattito precongressuale, (già aperto e a cui tutti i compagni indistintamente hanno il dovere di partecipare) e il Congresso possono sanarla.

A conclusione dei suoi lavori, il nostro II Convegno Nazionale ha votato una mozione diretta alla Commissione esecutiva nella quale si ribadiva il concetto di una soluzione unitaria della crisi; la risposta che doveva venire dal Comitato Centrale recentemente riunitesi a Firenze è contenuta nell'ultima circolare dell'esecutivo all'organizzazione.

Constatata l'impossibilità di pervenire ad un'intesa per il rifiuto opposto a tutti i tentativi unitari dai tre elementi accampati al centro del nostro partito, il nostro secondo convegno nazionale ha deliberato il tesseramento di tutti i compagni che nel partito credono alla necessità di convocare il II Congresso del Partito, e per conseguenza alla apertura immediata della discussione che si svolgerà su apposito bollettino libero a tutti i compagni, anche se gli scritti non avranno la pretesa di trattazioni di «fondo».

Nell'attesa che la discussione si faccia viva e si precisi su di un corpo di tesi da portare al 11o Congresso, confermiamo che le nostre direttive di marcia rimangono quelle del Congresso di Firenze.

Vanno perciò respinti tutti i tentativi innovatori che ci ricondurrebbero a posizioni teoriche e politiche anteriori al 11o Congresso dell'Internazionale Comunista e alle Tesi di Roma.

Va pure respinta come antimarxista la nuovissima - almeno fra noi - formulazione, per cui non esiste più un solo capitalismo mondiale che soffoca la classe operaia nel mondo e da combattersi in blocco, ma un capitalismo n.1 - Stati Uniti d'America - e un capitalismo n.2 - URSS; per cui si dovrebbero concentrare tutti gli sforzi per demolire il Capitalismo n.1.

Una simile impostazione ci condurrebbe in sede tattica e strategica a considerare come errore tutto il nostro recente passato,e a sostituire il nostro motto: "Né con Stalin né con Truman" con l'altro: "Con Stalin contro Truman", e finire pari pari a fianco dei Trotzkisti; e sarebbe il meno che ci potrebbe capitare.

I criteri che ci hanno servito di guida dal 1943 fino a Firenze rimangono integri, e la nostra parola d'ordine rimane contro il Capitalismo che non è né 1o né 2o, ma soltanto Capitalismo.

Ferme rimanendo queste affermazioni e negazioni, l'organizzazione di partito riceverà dal Centro per la preparazione del Congresso precise direttive sull'atteggiamento da prendere nello svolgimento delle lotte operaie.

Successivamente, altre due circolari furono inviate dal Comitato del Congresso a tutta l’organizzazione.

Circolare n.2

Milano, 12 febbraio 1952

A TUTTA L’ORGANIZZAZIONE

Il C.E. (che non è espressione del Congresso di Firenze) si è servito del solito mezzo interno, unilaterale ed incontrollato, per comunicare ad una parte del partito il fatto della nostra presa di possesso di “Battaglia” presentandolo come avvenuto per essere noi ricorsi, per la parte esecutiva, all’autorità giudiziaria.

Il C.E. (che non è espressione del Congresso di Firenze) sa di essere ricorso ad una menzogna per motivi di bassa bottega di frazione che si vede sfuggire l’unica arma della tanto strombazzata politica di ripiegamento e di liquidazione del partito, e la menzogna non è mai stata l’arma dei rivoluzionari.

Il compagno Bottaioli, come proprietario del giornale e come rivoluzionario non poteva che far sue le posizioni del "Comitato del Congresso", emanazione della maggioranza, non sedentaria, del Partito e delle sue maggiori Federazioni e ha disposto la sostituzione del compagno Maffi dalla gerenza, non il tribunale. In altre parole noi ci siamo decisi a rivendicare il giornale dopo mesi e mesi di vana attesa della soluzione della crisi organizzativa e politica del partito, mentre in realtà il compagno Maffi, avvalendosi di una decisione di tribunale, si è messo da qualche anno in condizione di usare dispoticamente di "Battaglia" infischiandosi apertamente del parere e della decisione contraria della quasi totalità del Partito.

Questa della tutela del tribunale non attacca e le bugie con cui è stata colorita hanno le gambe corte e non arriveranno, ne siamo sicuri, alle assisi del Congresso al quale questi nostri compagni non verranno perché ne temono il giudizio e la condanna. E non continui con atteggiamenti di vittima e di "piagnonismo" presso i compagni sempre in buona fede, chi porta la responsabilità di aver provocato l'espulsione della maggioranza dell'Esecutivo, e di quasi metà del C.C. usciti dal Congresso di Firenze; di aver sciolto le maggiori Federazioni e liquidato il prestigio del Partito senza il coraggio di un dibattito politico chiarificatore davanti all'organizzazione.

In questi giorni il C.E. (che non è il C.E. espressione del Congresso di Firenze) ha dato inizio alla pubblicazione del doppione di "Battaglia" con nuova autorizzazione ottenuta dal Tribunale, il quale si è prestato ad una azione condotta di fatto contro il Partito. Che cosa significa, dopo aver sostenuto in sede di Comitato Centrale e fuori le necessità del cambiamento del nome del giornale, uscire in questa situazione con un doppione di "Battaglia"? Significa procedere sul piano del dispetto puerile e della provocazione, provocazione della specie più abbietta perché pensata e fatta col secondo fine di costringere noi a valerci della legge borghese e del suo tribunale per avere essi un pretesto di più per turlupinare i compagni con un espediente scandalistico.

Ora, delle due l'una: o si ha ancora a che fare con compagni che vogliono presto o tardi procedere insieme nel Partito, ed allora questo è il momento di intenderci con la lealtà di rivoluzionari; o questi compagni non sono più da considerare come tali ed allora tutto il nostro atteggiamento dovrà essere riveduto. Per conto nostro dichiariamo di essere tuttora per l’intesa, e operiamo per risolvere, attraverso questa, la crisi che ha spezzato il Partito; dichiariamo inoltre che ogni decisione presa dal "Comitato del Congresso" sarà portata allo esame e al giudizio della prossima Assise del Partito.

Circolare n.3

A TUTTA L'ORGANIZZAZIONE

In tutta l'esperienza fatta dalla Sinistra Italiana nel seno del Partito Socialista fino al Congresso di Livorno e quindi nel Partito Comunista d'Italia fino al 1927, non c'è stato un esempio (e tanti ne ha avuti di negativi) di condotta politica ed ideologica che mostrasse segni più manifesti di sfrontatezza e di opportunismo quali sono presenti nel comunicato dei C.C. (che non è più il C.C. quale è stato nominato al Congresso di Firenze) resa noto in data 24/2/1952.

Ci riserviamo di fare, in sede di Congresso, la precisazione della natura di questa capitolazione di una parte dell'avanguardia rivoluzionaria di fronte alto stalinismo e alla guerra, e delle responsabilità anche d'ordine personale; intanto denunciamo all'organizzazione in termini di estrema chiarezza gli aspetti più recenti di questa capitolazione e dei motivi che l’hanno preceduta.

È avvenuto che dopo quattro anni di incomprensioni, di dissidi e finalmente di crisi negli organi centrali del partito sui rapporti tra partito e massa, tra partito e sindacati, tra partito e agitazioni operaie; dopo una avversione aperta al convegno di Roma e a quello ultimo di Firenze; dopo aver per questa stessa opposizione eliminata la parte delle zone più vive ed efficienti del Partito, fino al frazionamento dell'organizzazione e all'avvelenamento dello spirito dei compagni, si accettasse improvvisamente nel modo più formale una piattaforma che capovolge tutta una visione teorica e tattica di questi rapporti, senza che una parola di spiegazione e di giustificazione venga detta al Partito.

Questi compagni hanno dimostrato di non aver cambiato nulla da quando il Partito li ha tirati fuori dai più disparati angoli del piccolo borghesismo politico e traditore; soprattutto non hanno cambiato il disprezzo verso gli operai rivoluzionari che continuano a considerare come semplice materiale di manovra alle loro esperienze dilettantistiche.

Questi compagni continuano nella presunzione di sentirsi essi il Partito (non per nulla provengono dal più smaccato idealismo individualista) e i problemi del Partito devono soltanto ed ancora una volta fare da sgabello alla loro ambizione di ducetti in miniatura.

(...) Per questi compagni i sindacati hanno cessato di punto in bianco di essere al servizio dell'imperialismo e della guerra e per lo stesso hanno cessato d'essere controrivoluzionari, per cui accettano di condurre il lavoratore nella loro orbita, non solo, ma di conquistarne la direzione. Non più parole d'ordine di sabotaggio dei sindacati, non più sabotaggio delle agitazioni sindacali, non più teoria dell'antisciopero o dello sciopero antistalinista.

Ma che cosa è avvenuto di cosi improvviso, catastrofico e radicale nell'economia capitalista, nei rapporti di classe e delle forze sociali e politiche e dello stesso schieramento imperialista per "determinare" simile capovolgimento? È avvenuto soltanto che avevamo a che fare con dei manovrieri politici e non con "deterministi" anche se della dodicesima ora.

Tuttavia anche su questo dissenso e relative capriole poteva esistere la possibilità di una intesa, come del resto è avvenuto precedentemente, ma ciò che ha determinato il crollo d'ogni speranza di camminare ancora uniti nella stessa organizzazione è la capitolazione, è il tradimento operati da questi compagni di fronte alla posizioni storiche del Partito di classe impegnato nella lotta contro tutte le forze dell'imperialismo.

È avvenuto di fatto l'allineamento di questi compagni sulle posizioni di sinistra dello stalinismo a fianco dei trotzkisti e di tutti i sottoprodotti dell'opportunismo, nel momento stesso in cui hanno cessato di considerare la economia e lo Stato russo come una delle forze egemoniche imperialiste alla pari con quelle del capitalismo americano, ed hanno accettato di affidare al nostro partito il compito di lottare per portare fino in fondo la rivoluzione borghese facendo rinculare il partito, la sua ideologia e la sua tattica sulle posizioni classiche del "labriolismo" e dei "kautskismo", il pantano ideologico che ha ingoiato le forze dell'opportunismo e del tradimento della II Internazionale.

Ora è chiaro che le espulsioni dei compagni dell'Esecutivo e del Comitato Centrale, gli scioglimenti delle Federazioni, in una parola il tentativo di liquidare l'organizzazione del Partito, costituivano la premessa a questa capitolazione di fronte allo stalinismo.

Ora è chiaro perché questi compagni si sono sottratti ad ogni discussione e ad ogni critica su questi problemi.

Ora è chiaro perché non volevano il partito,e lo hanno a malincuore sopportato; perché non hanno voluto il Congresso e si sono poi sottratti alla sua disciplina ideologica ed organizzativa.

Ora è chiaro perché questi compagni non vogliono il II Congresso ed hanno accettato il ripiego di legare i compagni alta disciplina di un documento col quale nessuno è completamente d'accordo.

Da parte nostra tutto si è tentato per una soluzione fino a proporre l'accettazione di massima della "piattaforma" come base comune di discussione, sulla quale formulare le tesi da presentare al prossimo Congresso del Partito, ma abbiamo dovuto constatare che non c'era nulla da fare contro chi ormai si era posto sul piano della rottura; contro chi non voleva sentire parlare di Congresso, s'infischiava apertamente delle decisioni prese a quello di Firenze ed accettava la recente "piattaforma" come espediente tattico, come una specie di surrogato, del Congresso attraverso cui ingannare ancora una volta i compagni del partito e trascinarli inconsapevoli sulla linea politica del nuovo opportunismo. Sono quegli stessi che dopo aver stampato il doppione del giornale che noi abbiamo salvato al Partito, pur avendo sempre sostenuto la necessità di cambiare il titolo al giornale, osano scrivere "che non si rinuncerà al nome del giornale a meno che non si arrivi alla coercizione per vie legali". Non è forse questo il linguaggio e il metodo di lotta propri degli agenti provocatori?

Ora, se questo è il metro con cui d'ora in avanti dovremo misurare i nostri rapporti con coloro che hanno scelto la strada che non passa più nelle file del nostro Partito, questo Partito noi difenderemo sul piano della lotta politica come l'ultima certezza rimasta al proletariato che garantisca e assicuri la sua rinascita.

Ed in questa difesa non ci faremo prendere né da scrupoli, né da sentimentalismi, né da preoccupazioni di galateo. Le nostre direttive di marcia rimangono quelle che ci siamo date all'inizio della crisi:

  1. Difendere sui piano della rigida disciplina politica deliberata dal Congresso di Firenze.
  2. Salvare il Partito dalla disgregazione ideologica ed organizzativa.
  3. Dibattere fino in fondo i problemi del Partito e della lotta rivoluzionaria.
  4. Andare al Congresso con la coscienza d'aver portato a compimento il proprio dovere di comunisti internazionalisti.