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Home ›Iraq: All'Onu, Usa contro tutti
Il controllo delle fonti di approvvigionamento energetico è una delle cause principali di tensioni tra le centrali imperialistiche. L'oro nero e i contrasti che ruotano intorno a esso sono tra le cause più potenti del coagularsi dei futuri schieramenti, già vediamo che cominciano a prefigurarsi i blocchi contrapposti tra potenze, e con il passare del tempo e il susseguirsi degli eventi la dinamica in atto assumerà una fisionomia sempre più precisa.
Le sollecitazioni prodotte dal ciclo economico capitalistico in crisi, da una parte, e l'arroganza americana di imporre il proprio volere su tutto e su tutti per riaffermare il primato dei propri interessi, dall'altra, stanno creando attriti di intensità che in precedenza non si erano mai visti dalla dissoluzione dell'ex Unione sovietica.
In questo quadro la vicenda Iraq assume una fondamentale importanza, col pretesto di incolpare Baghdad di finanziare i terroristi di al Qaeda e di costruire armi di distruzione di massa, gli Usa pensavano alla spicciolata di attuare i piani di guerra, che prevedono il defenestramento di Saddam Hussein, e la gestione del paese e soprattutto del suo petrolio, attraverso un governo amico o addirittura per conto proprio tramite una specie di protettorato. Sinora ciò non è stato possibile a causa della decisa opposizione di Russia, Francia, Cina, e in modo più defilato della Germania.
L'avvio delle operazioni militari è solamente stato rinviato, perché in un modo o nell'altro gli americani ci andranno comunque, però al momento la decisione è stata rinviata al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove tra polemiche e risoluzioni contrapposte la faccenda per il momento si è arenata. Le divergenze riguardano sostanzialmente i poteri da assegnare agli ispettori che dovranno ispezionare gli arsenali iracheni e se eventuali infrazioni debbano fare scattare automaticamente la macchina bellica statunitense.
Naturalmente a fianco degli Usa sono schierati gli inglesi, mentre quasi tutti gli altri paesi, e lo stesso segretario generale dell'Onu Kofi Annan, sono contrari. Per preparare la messa in scena Washington ha chiamato a rapporto gli ispettori Onu incaricati della missione in Iraq, Blix e ElBaradei. I quali, ne siamo certi, non mancheranno di trovare appigli per giustificare l'intervento bellico.
Poche cifre bastano a farci capire perché la questione petrolio scatena gli appetiti dei briganti imperialisti, a cominciare da quello americano, il più grande e feroce. Riprendiamo i dati da il manifesto del 1 novembre, in cui si dice che l'Iraq possiede attualmente riserve petrolifere valutate in 112 miliardi di barili, le seconde al mondo dopo quelle dell'Arabia saudita che ammontano a 262 miliardi.
Negli ultimi anni sono stati scoperti altri giacimenti e gas naturale nel deserto occidentale, se le previsioni saranno confermate le nuove riserve ammonteranno a 220 miliardi di barili, senza contare che il paese non è stato completamente esplorato a causa della guerra e delle sanzioni. Quindi, come minimo, le riserve complessive potrebbero essere di 332 miliardi di barili, facendo diventare di gran lunga l'Iraq il primo produttore mondiale di petrolio.
Per lo sfruttamento del greggio, il governo iracheno ha favorito le compagnie russe, europee e cinesi, escludendo quelle americane e inglesi. È evidente che in tempi di recessione economica mettere le zampe su una materia prima fondamentale è di vitale importanza. Il petrolio iracheno è di ottima qualità e con bassi costi di estrazione, ideale per contribuire a una qualche ripresa dell'economia, ma soprattutto darebbe un enorme vantaggio a chi lo controlla a danno dei concorrenti. In questo senso la strategia americana di dominio planetario è imprescindibile da quanto stanno facendo. Soprattutto considerando che le riserve interne sono in forte calo, e questo vale anche per la Gran Bretagna.
Sull'altare dei superiori interessi capitalistici non c'è nulla che non possa essere sacrificato, pertanto che la popolazione irakena già stremata possa essere nuovamente colpita non ha alcuna importanza. Il capitale si è sempre nutrito del sangue dei proletari, e non si fa scrupoli per raggiungere i propri scopi, alimentando continuamente torbidi in ogni angolo del mondo. Il terrorismo è uno di questi strumenti utilizzato dalle borghesie grandi e piccole, ma in ultima analisi fa soprattutto gioco alle potenze maggiori.
Non c'è dubbio che l'attentato alle torri gemelle di New York, alla fine sia servito a giustificare una gigantesca campagna propagandistica per l'intervento armato in Iraq, già programmato molto tempo prima; così come molto strana appare la coincidenza di eventi tra la controversia russo-americana sempre inerente l'Iraq e l'attacco dei terroristi ceceni al teatro di Mosca. Guarda caso anche qui viene coinvolto un paese ricco di petrolio come la Cecenia e luogo di passaggio di gasdotti e oleodotti che attraversano il Caucaso, situato nel contesto regionale del Caspio ancor più vasto e ricco di risorse energetiche.
In sostanza gli intrighi tra le varie borghesie riflettono il grado di crisi del capitalismo su scala internazionale. Ne deriva l'acutizzarsi delle tensioni interimperialistiche e la possibilità di un'estensione del teatro di guerra e di coinvolgimento dei vari paesi, nella prospettiva futura di uno scontro diretto tra blocchi attualmente ancora in formazione.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2002
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