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Home ›Ripresa Usa ma il corso della crisi non cambia
Malgrado la crescita del prodotto interno lordo del 5,8% nei primi tre mesi di quest'anno, la locomotiva americana non ispira più tanta fiducia, il deficit commerciale oltre a restare enorme si acuisce giacché sempre in questi primi mesi le esportazioni statunitensi sono salite del 6,8% contro il lievitare delle importazioni al 15,5%.
Wall Street e le borse europee non hanno dato segnali di entusiasmo per la "ripresina" che indicassero una decisa inversione di tendenza dell'economia internazionale. Anzi gli analisti borghesi, sempre pronti a cogliere i minimi cenni positivi per decantare l'insuperabilità di un modo di produzione che malgrado le difficoltà è sempre capace di rigenerarsi, in questa circostanza hanno assunto un atteggiamento prudente se non addirittura scettico.
Dopo 18 mesi di vacche magre inclusa una fase recessiva, forse anche i più incalliti apologeti del capitalismo, oggi in salsa ultra liberista dopo il lungo primeggiare dei loro speculari keynesiani fautori dell'intervento regolatore dello Stato in economia, hanno capito che qualcosa a livello strutturale non funziona più. Il Pil può anche risalire, ma né i profitti né l'occupazione e tutti gli altri indici sono di entità tali da ingenerare ottimismo per il futuro.
Ciò conferma che le dottrine economiche borghesi messe in campo di volta in volta non sono in grado di spiegare, e tanto meno di arginare, le contraddizioni interne di un capitalismo malato per il quale non esiste nessuna medicina in grado di guarirlo. Dunque la crescita in atto a cosa è dovuta? Un elemento è dato dal fatto congiunturale che, dopo un lungo calo dei consumi, una certa ripresa rientra nelle possibilità delle cose, infatti, la spesa dei consumatori è salita del 3,5%, trainata soprattutto dal mercato immobiliare.
La politica di basso costo del denaro portata avanti dalla Federal Reserve per incentivare un'economia asfittica, ha permesso la riduzione degli interessi ipotecari e reso accessibile a un maggior numero di famiglie l'acquisto della casa. Proprio nel settore si sono riversati consistenti investimenti che non trovavano una conveniente collocazione in borsa. Però è altrettanto probabile che la speculazione potrebbe fare risalire i prezzi e nel caso in cui anche i tassi riprendessero quota tante famiglie potrebbero trovarsi pesantemente indebitate. Un altro aspetto contingente è il calo delle riserve strategiche di materie prime statunitensi. Per esempio le scorte petrolifere sono diminuite di sette milioni di barili, a fronte di un ammasso pari a 318,9 milioni di barili.
Ma ciò che contribuisce in maniera più sensibile a dare una boccata di ossigeno all'economia americana è l'enorme spesa militare in costante aumento. Nel 1998 sotto l'amministrazione Clinton la spesa militare era stata di 259 miliardi di dollari per passare a 279 miliardi nel 1999. Nel 2000 arriviamo a 290 e a 301 miliardi di dollari nel 2001, per accelerare con l'amministrazione Bush fino a raggiungere i 328 miliardi di dollari nel 2002 che diventeranno 379 miliardi il prossimo anno. Le previsioni dicono che la spesa bellica degli Stati Uniti potrebbe raggiungere quota 450 miliardi di dollari nel 2007.
Nel complesso la situazione non prospetta niente di buono perché malgrado i continui provvedimenti a favore del capitale, la crisi di ciclo restringe sempre di più gli spazi di manovra. Le difficoltà nascono non per mancanza di investimenti, ma al contrario per un eccesso di mezzi di produzione che non trovano adeguata remunerazione, causando la costante diminuzione del saggio di profitto.
Ovviamente ciò non significa che la società non avrebbe necessità di beni per soddisfare i propri bisogni, basti guardare le condizioni miserevoli in cui si trovano larghe stratificazioni della popolazione negli stessi Usa, e ancora di più ciò vale per la maggior parte del pianeta costituito principalmente da paesi del terzo e quarto mondo. Invece, i meccanismi oggettivi del modo di produzione capitalista favoriscono l'accumulo di capitale a danno dei consumi. L'innovazione tecnologica, la concorrenza e la guerra dei prezzi, la disoccupazione e i bassi salari, sono i termini della contraddizione capitalistica riassunta da Marx nella formula che vede da una parte il potenziale illimitato della produzione in contrapposizione alla limitatezza dei consumi. La caduta del saggio del profitto estremizza questa dinamica nel tempo, palesando una mostruosità unica nella storia dell'umanità, che povertà e miseria sono direttamente proporzionali alla capacità smisurata di produrre ricchezza del capitalismo.
La debole ripresa attuale non smentisce il corso degli eventi, in quanto le ricette proposte sono inevitabilmente sempre le stesse: tagli ai servizi e ai salari per ridurre i costi e sostenere i profitti. Un confronto basta a confermare quanto abbiamo detto, l'occupazione nel primo trimestre del 2002 ha un saldo attivo di 7.000 posti di lavoro prevalentemente nei servizi, mentre l'occupazione precaria fatta di lavoratori temporanei è aumentata di 80 mila unità, incrementi minimi se si pensa che nel 2001 sono stati perduti un milione e mezzo di posti!
Intanto l'emorragia nell'industria manifatturiera americana continua, e il meschino pensiero borghese si consola nel seguente modo: "Anche se l'industria manifatturiera ha perduto 37 mila posti di lavoro in marzo, la durata della settimana lavorativa in fabbrica si è allungata di 0,4 ore, ciò significa che il totale delle ore lavorate è salito il mese scorso di un robusto 0,8 per cento. E più ore lavorate con meno lavoratori sono anche un segnale importante sul fronte della produttività: poiché il costo del lavoro per unità di prodotto continuerà a scendere, - dice Bruce Steinberg, capo economista di Merrill Lynch - i margini di profitto delle imprese si apriranno proporzionalmente, il risultato è che per gli utili aziendali si aprono buone prospettive di ripresa" (Il sole 24 ore,06-04-02).
Dunque l'unica condizione affinché il capitale possa tirare avanti è più sfruttamento e sacrifici in permanenza per i proletari.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2002
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