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Home ›Il crollo della socialdemocrazia tedesca - La sconfitta della SPD in Sassonia
Sui governi "di sinistra" europei pare stiano calando minacciose le ombre del tramonto. Contemporaneamente alle elezioni francesi (vedi il commento in questo stesso numero), domenica 21 aprile si è votato anche in Sassonia-Anhalt, Land (regione) della vecchia Repubblica Democratica Tedesca (DDR), governata da una coalizione rosso-rosso, formata cioè dai socialdemocratici della SPD e dagli ex (?) stalinisti della PDS. Per certi aspetti, i risultati usciti dalle urne sembrano la fotocopia di quelli francesi: la SPD è crollata al 20%, perdendo il 15% dei voti - facendosi in tal modo sorpassare di quattro punti persino dalla PDS - la CDU (democrazia cristiana) in percentuale ne ha guadagnato altrettanti, arrivando al 37 per cento, così che assieme ai liberali, anch'essi in crescita, potrà nuovamente governare il Land. Ma il dato sicuramente più significativo da molti punti di vista è che l'astensionismo, il quale nelle precedenti tornate elettorali toccava poco meno del 30%, oggi ha coinvolto quasi il 50% dell'elettorato. Poiché è probabile che la CDU e i liberali abbiano assorbito almeno parte dei voti del partito nazista (DVU,13% nel 1998) nemmeno presentatosi, è ragionevole supporre che la crescita enorme delle astensioni sia dovuta essenzialmente alla "disaffezione" di un settore tutt'altro che marginale dell'elettorato di sinistra.
Ma perché il "popolo di sinistra" ha ritirato il suo consenso ai socialdemocratici, dopo che questi ultimi avevano vinto le precedenti elezioni con la promessa di creare nuovi posti di lavoro, più equità fiscale, insomma meno ingiustizia e maggiore sicurezza sociali? Perché la SPD, ovviamente, non ha fatto niente di tutto questo e, anzi, dal governo centrale ha seguito un indirizzo complessivo di politica economico-sociale esattamente opposto, nel tentativo di rilanciare un'economia che da alcuni anni a questa parte cammina a passo ridotto. A farne le spese, naturalmente, è il proletariato, in particolare quello della ex DDR, dov'è più stridente il contrasto tra le ruffiane promesse che accompagnarono l'unificazione e la misera realtà quotidiana in cui è stato precipitato.
Le massicce ristrutturazioni industriali degli anni novanta hanno fatto piazza pulita di gran parte dell'apparato produttivo, distribuendo a piene mani disoccupazione e disperazione sociale. Oggi, la Sassonia-Anhalt, un tempo uno dei centri dell'industria metalmeccanica e chimica della Germania staliniana, con il suo 20% abbondante di disoccupati può tristemente contendere a certe nostre regioni meridionali il primo posto nella classifica europea dei senza lavoro. Non solo, oltre dieci anni dopo il crollo del muro di Berlino i salariati tedesco-orientali lavorano ancora tre ore in più alla settimana dei loro compagni occidentali (per lo stesso salario, se va bene); ma, come se non bastasse, la Confindustria tedesca ha recentemente avanzato la proposta di introdurre - sarebbe però meglio dire rafforzare - le gabbie salariali nei Lander orientali, vale a dire, appunto, un salario più basso per il medesimo tipo di lavoro. È la stessa proposta avanzata dal padronato italiano e fatta propria dal governo Berlusconi (e, per certi versi, anche da quelli di centro-sinistra). Non c'è niente di strano in questo. Nella sostanza, padroni e governi si assomigliano tutti e ciò che fa o farà un governo di destra non si differenzia molto da quello che fa o farà un governo "di sinistra", tanto più se è parte dell'Unione Europea, la quale impone limiti economico-finanziari ben precisi oltre i quali nessuno può andare. Tanto più se la famigerata "globalizzazione" impone ovunque di intaccare in profondità i livelli di esistenza della classe operaia e del proletariato in generale. Quando la coalizione rosso-verde (socialdemocratici e verdi) vinse le elezioni nazionali nel '98 i salari erano in calo da parecchi anni, mentre la disoccupazione stava aumentando in maniera costante sia all'Ovest che, a maggior ragione, all'Est. Era il frutto del "senso di responsabilità" che sindacati, padroni e governo avevano fatto ingoiare alla classe operaia (e a chi, se no?) per agevolare il ricongiungimento con i fratelli dell'Est (si diceva). Oggi, dopo l'esperienza del governo di "sinistra", i salari, ben che vada, sono rimasti fermi, la disoccupazione continua a crescere e anche nella patria dello "stato sociale", del futuro tranquillo e sereno, stanno dilagando la flessibilità e la precarietà con il loro immancabile seguito di bassi salari, aumento dello sfruttamento e dell'incertezza del domani.
L'aumento della disoccupazione crea però grossi problemi alle casse dello stato, ed ecco allora che anche i socialdemocratici tedeschi stanno studiando il modo di risolvere il problema. Come? Riformando il sistema del collocamento, tagliando i sussidi e, per questa via, cancellando con un semplice tratto di penna il numero dei disoccupati. Il piano, messo a punto da ex sindacalisti diventati ministri, sottosegretari o capi di grandi aziende a partecipazione pubblica (tanto è solo un cambiamento di poltrona, non di ruolo, comunque anti operaio) ricalca i progetti dell'Ulivo, le misure di Jospin, di Blair e... della Tatcher. Si tratta di costringere i disoccupati - che per i borghesi sono solo lavativi scansafatiche - ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche se molto distante dal luogo di residenza, anche se il nuovo stipendio e la mansione lavorativa sono al di sotto della specifica qualificazione posseduta dal lavoratore, con tanti saluti alla "formazione permanente" di cui si riempiono la bocca i politicanti di ogni colore: "Bisogna poter pretendere da un chimico laureato che accetti di lavorare come tecnico di laboratorio. Se un padre di famiglia [...] non può lavorare a cento chilometri da casa, uno scapolo può farlo benissimo" (il Manifesto,19-3-02). Insomma, o ci si piega a farsi usare dal padrone come fazzolettini di carta o si perde il sussidio con tutto quel che ne segue.
Nel frattempo, il governo socialdemocratico ha varato una riforma fiscale che, abbassando determinate imposte gravanti sulle aziende, regala a quest'ultime centinaia di milioni di euro, contribuendo ad accrescere la distanza tra borghesia e proletaria. Può essere che i socialdemocratici tedeschi siano stati colpiti da un attacco di "berlusconite"? Macché, Schroeder ha eseguito fedelmente ciò che il padronato chiede ad ogni governo: da Jospin a D'Alema, da Clinton a Blair, dall'Argentina all'Australia, da una ventina d'anni in qua aumentano le imposte per i lavoratori, mentre calano (e non di poco) per i padroni.]
Evidentemente, allora, di fronte a tutto questo il "sogno" socialdemocratico comincia a mostrare grosse crepe attraverso le quali iniziano a svaporare le illusioni e il consenso verso un progetto politico spacciato, se non come alternativo al capitalismo, almeno capace di smussarne le asperità e di conciliare gli inconciliabili interessi delle opposte classi sociali. L'astensionismo può essere l'inizio di una rottura con l'ideologia borghese che finora regna incontrastata; ma senza la presenza di un preciso riferimento rivoluzionario anticapitalista c'è il forte rischio - per non dire di più - che possa disperdersi nel niente della rassegnazione o venga recuperato da un qualche squallido "salvatore della patria" in salsa fascista o democratico-borghese.
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cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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Maggio 2002
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