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Home ›Furti pubblici - Lo Stato che redistribuisce le ricchezze
Nel 2001 in Italia il Pil è aumentato dell'1,8% (la previsione era del 2%) con un rapporto tra deficit e Pil risalito da un previsto 1,1% all'1,4%. Qualcosa come 4.233 miliardi di lire.
Poiché in Europa anche i conti degli altri Paesi non...ridono, non c'è da preoccuparsi più di tanto. Così si dice nelle stanze del Palazzo. Tanto più - lo confermano anche gli oppositori di "sinistra", Amato e Visco - che lo scostamento dei conti risalirebbe in buona parte solo a un eccesso di spesa sanitaria nel 2000. Giustificati sarebbero perciò i tagli e le raffiche di prestazioni sanitarie a pagamento, decretate dal Governo in accordo con le Regioni, e sulle spalle di milioni di "cittadini" salariati e pensionati. Si aggiunga l'impoverimento di molte strutture pubbliche a vantaggio di quelle private, e avremo la soddisfazione dei privilegiati "cittadini" borghesi che lanciano maledizioni quotidiane contro la troppo alta spesa pubblica, gli eccessivi stipendi dei pubblici dipendenti, le pensioni e altri "sperperi" di denaro, là dove invece il "privato" potrebbe trarre "giusti profitti"...
Restando in tema di previsioni, il primato delle smentite va sempre alla Banca d'Italia che annunciava per il 2001 un deficit di bilancio pubblico di oltre 31 mila miliardi di euro, con un rapporto del 2,6% rispetto al Pil. Con l'intento di dar man forte ai giri di vite di Berlusconi, che ora si fa bello per il miglior risultato ottenuto, anche se pur sempre magro. Quanto invece alle previsioni governative di una crescita del Pil al 2,3% e di un rapporto deficit-Pil allo 0,5% per l'anno in corso, si sta facendo strada lo spettro di un misero risultato di aumento del Pil all'1% o poco più. In tal caso, il rapporto deficit-Pil potrebbe toccare il 2,1%, e il ministro Tremonti, come promesso, dovrebbe dimettersi...
Le berlusconiane previsioni di un pareggio del bilancio (comunque e sempre pagato amaramente dai "sacrifici" proletari) si sposterebbero così dal 2003 al 2004. La politica di rigore è quindi più che mai di...rigore, visto che anche il debito pubblico è nel frattempo salito e si è attestato al 109,4% del Pil.
La situazione rimane tesa per i gestori e amministratori del capitale, pubblici e privati, che si affannano in tutti i modi a convincere la "fortunata" classe operaia italiana che soltanto con altre rinunce dei propri "privilegi" si potrà rilanciare l'italica economia in Europa, dando l'ormai mitico lavoro ai disoccupati e ai giovani. Le lacrime piovono abbondanti sull'ancora troppo scarsa flessibilità del mercato del lavoro, soprattutto in uscita; sui troppo alti salari ed esagerate pensioni (escluse quelle d'oro di quanti propongono le riduzioni di quelle dei proletari!).
L'esca è questa volta costituita da un amaro boccone: aboliamo l'articolo 18 (come già aveva proposto il governo di "sinistra) e così si...riempiranno le fabbriche di lavoratori. Quella di essere presi letteralmente per i fondelli non è un'impressione ma una certezza, quando qualcuno (S. Romano, Corsera) confessa candidamente che l'Italia - grazie ai progressi del capitalismo - non è più nelle condizioni economiche e sociali in cui fu scritto lo Statuto dei lavoratori. Ora che merci, capitali e imprese circolano liberamente e si confrontano, l'obiettivo patriottico è: promuovere i propri interessi, utilizzare i vantaggi di cui si dispone e conquistare nuovi mercati. Nella concorrenza "vincono le imprese a cui lo Stato assicura fondamentali vantaggi, cioè buona burocrazia, buon sistema fiscale e buon mercato del lavoro". In questa logica, l'unica che il capitale conosce e applica, ecco le visioni positive degli apprendisti stregoni: "se le imposte sulle imprese scenderanno dal 50 al 33%, le imprese faranno più utili e investiranno di più e renderanno più appetibili le loro azioni in Borsa. Si avrà più crescita, più sviluppo economico e quindi più ricchezza: ecco che si compensano le aliquote più basse"... (da Investiment Banking - Gruppo Ubs Warburg per l'Italia). Dove vada la ricchezza lo sanno bene gli operai che nel 2001 hanno visto scendere il potere d'acquisto dei loro stipendi del 3/4 per cento.
Al cospetto di tanto acume economico, sorge però una domanda: ma chi paga se lo Stato incassa meno e taglia servizi e assistenza, e se le tasse scendono per i borghesi ed aumentano per i lavoratori? Non solo, ma oltre ai costi in continuo aumento dei pubblici servizi, continuano a salire anche i balzelli locali e regionali sui "cittadini" che già a fatica arrivano a fine mese.
Lo Stato prosegue nel suo concorso-mediazione alla redistribuzione della ricchezza nazionale, rispondendo alle necessità della crisi di ciclo del capitalismo. Quest'operazione, concretamente, si risolve nel processo di smantellamento del cosiddetto Stato assistenziale, realizzato dalla classe borghese a spese dei lavoratori negli anni dell'espansione post-bellica e sul quale si è costruita la relativa pace sociale che ha caratterizzato quel periodo. Agli attacchi contro i lavoratori (salari e occupazione) si sono accompagnati quelli alle fasce sociali più deboli, con i tagli alle pensioni e ai fondi sanitari. Una costante depauperizzazione del proletariato, portata avanti in modo sfacciato. Oggi ancora più di ieri, la sola e adeguata risposta è la ripresa da parte del proletariato di quella lotta di classe che - negandola - la borghesia conduce a senso unico.
cdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2002
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