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Home ›America Latina - Verso la "africanizzazione" o verso la rivoluzione?
Nonostante le profezie dei guru dell'economia mondiale che annunciavano il consolidamento dei miracoli della politica neoliberista per gli anni '90, l'America Latina oggi è travolta da quello che certi analisti borghesi hanno chiamato "il vortice della africanizzazione". Per africanizzazione intendiamo un processo nel quale alla impossibilità, in termini capitalistici, di dar vita a un'economia capace di sostenere un mercato interno sufficientemente forte per soddisfare le necessità primarie della popolazione e l'impiego, si unisce la regressione a forme colonialiste di sfruttamento (formazione di empori coloniali in alcuni settori chiave dell'industria e del commercio), la creazione di stati fantoccio controllati dalle compagnie e dagli stati metropolitani, il saccheggio dell'ambiente naturale e la disintegrazione della società senza che appaia alcuna alternativa storica rivoluzionaria. Questo processo si inscrive nelle nuove modalità di mondializzazione - finanziarizzazione dell'economia --, nella grande frammentazione e instabilità industriale legata all'attuale volatilità dei mercati e nell'emersione dei mega stati multinazionali in grado di controllare i principali parametri macroeconomici delle singole unità locali. Preso da queste forze, tutto il subcontinente latino-americano, invece di toccare la porta del paradiso, marcia a passo accelerato sul tragico sentiero tracciato dall'Africa ed esibisce le sue terribili e rovinose cadute in Argentina, Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù.
Le cifre raccolte in uno studio recentemente pubblicato dalla CEPAL sono solo un pallido riflesso di quello che succede e, sebbene non mostrino le condizioni in cui si producono le tendenze verso il deterioramento della situazione complessiva, sono utili dal punto di vista descrittivo: la regione intera non riesce a uscire da una recessione di quasi cinque anni.
In Perù la disoccupazione e la sottoccupazione raggiungono il 43% e la povertà totale il 48%; in Colombia, secondo cifre ufficiali del DANE (l'istituto di statistica colombiano, n.d.r.),il 76% (33 milioni) della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione e la sottoccupazione interessano il 70% della popolazione in grado di lavorare. Nell'insieme, l'America Latina conta 211 milioni di "poveri assoluti", che corrispondono al 43% della popolazione. Secondo il rapporto citato della CEPAL, nel 2001 il PIL della regione e aumentato di appena uno 0,5%; la maggior parte dei paesi ha ridotto le entrate dovute all'esportazione (3,5% rispetto al 2000), il deficit della bilancia dei pagamenti si è elevato approssimativamente a 53 miliardi di dollari, equivalenti al 2,8% del PIL regionale; le entrate nette di capitali sono state integralmente destinate, per il terzo anno consecutivo, al pagamento del debito estero e i prezzi dei principali articoli di esportazione della regione (in maggioranza di origine mineraria e agro-pastorale) sono crollati. Le previsioni di crescita per la regione nel 2002 sono nulle e per alcuni paesi, come l'Argentina, si prevede una caduta del 10% nel PIL. In poche parole: l'economia dell'America Latina non è nemmeno in grado di raggiungere un tasso di crescita che le consenta di soddisfare i bisogni derivanti dal normale incremento demografico.
Nelle epoche di crisi l'irrazionalità del capitalismo si esaspera. Tenuti in pugno dalle forze cieche dell'economia, i governi della regione sfornano "riforme fiscali" che finiscono per aggravare i loro deficit, effettuano tagli al sistema sanitario e di sicurezza sociale che contribuiscono a contrarre la domanda interna e a deteriorare la competitività economica, cercano di frenare l'inflazione applicando politiche monetarie restrittive che fanno rincarare il prezzo del denaro e pongono una camicia di forza al consumo e all'investimento: insomma, a dispetto delle grandi speranze e illusioni che suscitano tra le borghesie locali, tutti gli sforzi diretti alla ripresa risultano controproducenti. D'altro lato, di fronte all'irruzione del proletariato e del sottoproletariato, quegli stessi governi si sono impegnati in una grande campagna repressiva che ha finito per aumentare la povertà, indebolendo organizzativamente e finanziariamente lo stato e rinforzando la disperazione e la combattività delle masse. La stessa logica del capitale che costringe i suoi gestori a distruggere tutto quanto resiste al profitto, minaccia di coinvolgere i gruppi tradizionali del potere in una lotta che esasperando i conflitti sociali e politici già accumulati, renderà ogni volta più difficile al sistema borghese - e particolarmente ai funzionari del consenso sociale - contenere l'opposizione emergente nel quadro istituzionale, aprendo le porte a una nuova tappa della radicalizzazione e della rivoluzione sociale.
Di fronte a questa prospettiva, tutte le certezze della borghesia di esercitare un dominio sicuro e incontrastato, associate alla vittoria statunitense nella "guerra fredda", cominciano a vacillare. Intravedendo i pericoli presenti in una evoluzione "antagonista" del conflitto sociale, i partiti e le correnti borghesi più avvertite parlano della necessità di evitare il salto nel vuoto neoliberista e propongono una svolta verso un capitalismo sociale mantenendo, però, la prospettiva "globalizzatrice". Questo capitalismo, che vorrebbe collocarsi a metà strada tra il capitalismo e il comunismo, sarebbe intenzionato ad assegnare nuovamente allo stato un ruolo interventista, applicherebbe misure ridistributive della ricchezza, incentiverebbe l'industrializzazione mediante il rafforzamento del mercato e della domanda interni, ecc. Il campo per il confronto tra l'ortodossia del capitalismo e le vecchie ricette socialdemocratiche sotto nuove vesti, è già pronto e acquisisce carattere d'urgenza di fronte alla generalizzazione dell'attitudine alla insubordinazione sociale e alla mobilitazione dei lavoratori. Infatti, il capitalismo ha la sua ortodossia, ha i suoi Bernardo Gui, i suoi san Domenico di Guzman (famoso inquisitore, il primo, fondatore dell'Inquisizione cattolica, il secondo, n.d.r.) e ha anche i suoi eretici, i socialdemocratici. I tentativi di recupero politico e ideologico borghese dei movimenti sociali che sono venuti irrompendo negli ultimi anni con un'ampiezza e una potenza inusitate, saltano agli occhi. Certamente, il margine di manovra borghese è ogni volta più stretto e, di conseguenza, le posizioni si estremizzano. Allo stesso modo che l'Inquisizione medioevale, nella guerra totale, nella violenza intra ed extra-istituzionale che già si consuma in paesi come la Colombia, la Bolivia e il Brasile, l'ortodossia del capitalismo vorrebbe bruciare migliaia di eretici per la maggior gloria di dio. Sebbene sia normale che gli ortodossi diano la colpa dei loro propri fallimenti nell'amministrazione del sistema alla mancanza di fede degli eretici nelle possibilità del capitalismo, di fronte alle debolezze mostrare dai regimi tradizionali nell'affrontare la crisi, la strumentalizzazione politica dell'eresia socialdemocratica potrebbe essere nuovamente conveniente per minare il campo della ribellione in bozzolo. D'altra parte, nonostante il loro stato di indocilità permanente e belligerante, le masse latino-americane ancora non hanno prodotto una profonda chiarificazione delle loro proprie prospettive politiche nel senso del comunismo né hanno costituito le loro avanguardie di classe. Così, dunque, grazie al continuo stato di incertezza nel quale si trovano sottomessi grandi settori di sfruttati appena arrivati alla lotta, la manipolazione politica socialdemocratica è ancora operante sebbene, questa volta, più a livello di una illusione politica che non di una possibilità concreta di progettare un'economia mista con un solido patto sociale tra lavoratori e capitalisti.
Visto il quadro attuale, la questione politica che si pone al proletariato latino-americano si riassume nel modo seguente: o cooperare alla sopravvivenza di un sistema in crisi, rassegnandosi all'africanizzazione con tutte le sue conseguenze o agire come suo becchino. Sappiamo che senza una netta delimitazione comunista di ciò, le masse potrebbero nuovamente trovarsi di fronte a una falsa alternativa, quella di scegliere tra due boia che oggi vendono loro l'illusione di un futuro pieno di promesse in cambio di un presente colmo di sacrifici e miseria; però può avere luogo, e si può anche sperare, che le tendenze rivoluzionarie nelle quali oggi si dibatte il proletariato argentino indichino nel prossimo futuro al proletariato latino-americano e del mondo intero non solo il cammino della rigenerazione politica e dell'autonomia di classe, ma anche quello di uscita dall'odiato capitalismo.
KBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2002
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