Arabia Saudita e integralismo - Traballa il più fedele alleato Usa in Medio Oriente

La guerra in Afghanistan sta scuotendo duramente anche l'Arabia saudita, tanto da mettere in discussione la stabilità e la fedeltà di un alleato chiave degli Stati uniti in Medio Oriente, cosa assolutamente impensabile sino a poco tempo fa. Alla base di quanto sta accadendo non ci sono le solite fregole religiose o quant'altro, ma la crisi economica e finanziaria del capitalismo a livello internazionale che ormai non risparmia più nessuno.

Mentre l'imperialismo americano cerca di stabilire un proprio ordine mondiale, il risultato che rischia di ottenere può essere esattamente il contrario, di aggiungere disordine a quello già esistente. Da questo punto di vista è molto significativo che la monolitica gerarchia saudita stia perdendo quell'alone di mistero e immutabilità che l'ha sempre contraddistinta sino dalle origini.

Ibn Saud tra il 1902 e il 1904, risultato il vincitore di varie guerre tribali, riunì in un unico stato le principali quattro regioni: Nejd, Al-Hasa, Hejaz e Asir. Poi nel 1932 Abdu-el Aziz Ibn Saud si proclamò monarca assoluto del nuovo regno dell'Arabia Saudita. In seguito alla morte del sovrano nel 1953, salì al trono il quarto figlio e attuale re Fahd Ibn Abdu-el Aziz. Quest'ultimo dopo l'ictus cerebrale che l'ha colpito nel 1995 è stato di fatto sostituito dal principe ereditario Abdullah, uomo forte del regime.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale lo sfruttamento del petrolio trasformò un paese di nomadi Beduini in una nazione la cui borghesia divenne una delle più ricche al mondo, costituita in gran parte dalla famiglia reale e dai settemila principi. Il fiume di petroldollari si gonfiò ulteriormente con la guerra arabo-israeliana del 1973. L'Arabia Saudita nazionalizzò i giacimenti di proprietà straniera e alla testa dell'Opec (con le manovre e la complicità Usa) fece ridurre drasticamente la produzione del greggio, che ebbe come immediata conseguenza l'esplosione verso l'alto del prezzo, quadruplicandolo rapidamente.

L'Arabia saudita, patria di Maometto, la cui città natale La Mecca è il luogo sacro più importante per i musulmani, si ritiene la custode della religione e della tradizione islamica. Da una parte è governata da una monarchia reazionaria di stampo medioevale, dall'altra in qualità di produttrice di un quarto del petrolio mondiale, e si pensa che le sue riserve possano essere quasi la metà di quelle dell'intero pianeta, fa sì che i nobili sceicchi e la pretaglia, che detengono tutto il potere economico e politico, si propongano sul mercato capitalista come una borghesia che utilizza le forme più "moderne" di sfruttamento del proletariato internazionale, in quanto titolare di una enorme rendita parassitaria. Infatti, i circa 50 miliardi di dollari ricavati ogni hanno dalla vendita del petrolio finiscono nel circuito finanziario internazionale, pochi sono serviti ad avviare un processo di industrializzazione, la diversificazione produttiva è stata minima, tutto ha continuato a ruotare intorno all'oro nero.

Ora le cose stanno cambiando in peggio, le entrate diminuiscono a causa della stagnazione dell'economia mondiale che ha ridotto la richiesta di petrolio e di conseguenza il prezzo è diminuito, oscillando intorno ai 20 dollari al barile. Inoltre la crisi delle borse e le pesanti perdite degli investimenti, e le prospettive non sono certamente più rosee, preoccupano non poco la classe dominante. Ciò sta sconquassando la stabilità interna della società saudita, sia per quanto riguarda la popolazione, sia sul fronte delle lotte intestine di una borghesia sempre più divisa.

Mentre in passato i cittadini autoctoni erano sostanzialmente mantenuti dal potere statale, o se lavoravano occupavano i posti migliori dell'amministrazione, che così poteva garantirsi appoggio e stabilità, la manodopera è tuttora in stragrande maggioranza straniera, oggi la situazione sta subendo radicali trasformazioni. Il reddito pro-capite è sceso dai 28.000 mila dollari degli anni '80 a meno di 10.000 lo scorso anno. La disoccupazione, divenuta per forza di cose una nuove voce statistica, è dilagante. L'indebitamento statale è di circa 200 miliardi di dollari e la povertà comincia a diffondersi. Ovviamente come in tutti i paesi, la corrottissima borghesia saudita ha pensato bene di scaricare la crisi sulla popolazione, mentre continua a detenere ingenti risorse all'estero, si calcola tra i 600 e gli 800 miliardi di dollari, due terzi dei quali depositati negli Stati uniti.

Per quanto riguarda le lotte interne al regime si sono delineate due fazioni, quella della famiglia reale, da sempre pilastro degli interessi statunitensi nella regione, nelle figure di re Fahd, del principe Sultan ministro della Difesa e del principe Nayef ministro dell'interno. Mentre dall'altra parte stanno coloro che vorrebbero svincolarsi dalle grinfie di Washington per una gestione più nazionalista e indipendente degli affari. A questo partito fanno capo l'attuale reggente Abdullah, capo della potente Guardia nazionale, l'ex capo dei servizi segreti Turki Al Feisal costretto alle dimissioni dalle pressioni Usa perché accusato di appoggiare i terroristi, e la combriccola religiosa più radicale. Quest'ultima fazione strumentalizzando il malcontento popolare e soprattutto la rabbia dei giovani, ha alimentato il pericoloso diffondersi dell'integralismo religioso.

In questo clima di sfiducia che prelude a un futuro ancora più nero, la figura di Bin Laden è potuta assurgere, qui come in gran parte del mondo islamico, a difensore dei poveri contro il ricco occidente. Niente di più falso! Bin Laden e le cricche che lo appoggiano non sono migliori dei cosiddetti governi arabi moderati, anzi, alle retrive élite al potere potrebbero sostituirsi quelle ancora più brutali e fascistoidi dell'integralismo.

Ciò che gli Usa stanno producendo con i bombardamenti in Afghanistan è di compattare il fronte integralista, e se ciò accade in un paese che era un fedelissimo alleato (basti ricordare che gran parte delle spese della guerra del Golfo se la è accollata l'Arabia saudita pagando 80 miliardi di dollari, oltre ad essere un cliente impareggiabile dell'apparato industriale-militare Usa) è prevedibile che tutta la polveriera Mediorientale, e non solo questa, possa degenerare in una escalation pericolosissima.

Gli Usa ammoniscono Abdallah e i suoi di connivenza con Bin Laden, sospetto confermato dalle lodi espresse da quest'ultimo all'attuale leader e ai religiosi più oltranzisti, e alle dure prese di posizione contro re Fahd e i suoi più stretti collaboratori. D'altra parte Abdallah non ha mai nascosto le sue critiche alla politica americana in Medio Oriente, a partire dalla sua presa di posizione contro la guerra all'Iraq nel 1990. È contrario alla guerra in atto, e ha negato il permesso di usare le basi americane in Arabia per le operazioni in Afghanistan.

Sempre su questa linea, un altro fatto importante ha allarmato gli americani. Nel 1998 il principe Turki Al Feisal e il ministro degli Affari religiosi e del Pellegrinaggio incontrarono in Afghanistan i due capi di quel paese, il mullah Omar e Bin Laden, concordando una cospicua somma di denaro in cambio della salvaguardia del territorio dell'Arabia Saudita da azioni terroristiche. Successivamente l'accordo fu ratificato alla presenza dei servizi segreti pakistani: "Turki accettò di porre fine ai tentativi per ottenere l'estradizione di Bin Laden o la chiusura dei suoi campi militari in Afghanistan, così come si impegnò a versare dei generosi finanziamenti e partite di greggio gratuite sia ai Taliban sia al Pakistan". (la Repubblica, 26-10)

La crescita di tutti questi intrighi tra borghesie grandi e piccoli in lotta tra loro, ammorbano lo scenario internazionale. Mentre milioni e milioni di esseri umani stentano a sopravvivere, il capitalismo e tutti i suoi signori della guerra affilano gli artigli per strapparsi vicendevolmente una torta che diventa sempre più piccola, dato l'acuirsi delle contraddizioni di questo modo di produzione.

Vecchie alleanze si rompono, altre si costituiscono e la corsa alla generalizzazione del conflitto da parte dell'avversario di classe ritorna ad essere una drammatica realtà.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.