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Home ›Le condizioni del proletariato femminile
Un esempio drammatico di come lo sfruttamento capitalista sia in costante crescita
In ogni angolo del mondo le condizioni di vita e di lavoro dei proletari stanno costantemente peggiorando: ritmi insostenibili, infortuni e morti sono all' ordine del giorno in tutti i paesi, indipendentemente dal loro grado di sviluppo economico. Chi ne paga maggiormente le conseguenze sono le fasce più deboli del proletariato, in particolare le donne e tra queste soprattutto quelle dei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Le prime differenze tra uomini e donne si possono riscontrare già sul piano dell'istruzione: se nei paesi industrializzati - la metropoli del capitale - dove è più necessaria la presenza di lavoratori alfabetizzati, la scolarizzazione raggiunge livelli vicini al 100% e senza grosse differenze tra i sessi, nei paesi meno sviluppati oltre a livelli di alfabetizzazione molto bassi si riscontrano anche differenze tra uomini e donne molto elevate (U 62.9% D 42.4%). Anche i ricchi Stati Uniti, presi come modello di sviluppo economico e sociale dalla borghesia internazionale, che fa finta di non vederne i 40 milioni di poveri (tra cui molti lavoratori), emergono dei dati agghiaccianti sulle differenti condizioni di vita tra uomini e donne. Se consideriamo le aree di vera e propria emarginazione possiamo vedere che ben il 97% delle famiglie senza casa è formato da donne sole di cui quasi la metà con un'età inferiore ai 25 anni; inoltre, anche tra i lavoratori la differenza di sesso incide in modo rilevante, indipendentemente dalla provenienza razziale (con minimi per afro ed ispano americani), i salari femminili sono, infatti, solo la metà di quelli maschili. Anche negli "States" è molto difficile trovare le tanto propagandate "donne in carriera": le giovani proletarie hanno maggiori problemi dei loro coetanei maschi nel trovare impiego, difficilmente riescono poi a migliorare la loro posizione lavorativa: figuriamoci, quindi, quante di loro possano in realtà raggiungere i vertici economici e sociali.
Ma la discriminazione a livello lavorativo ed economico è rilevante anche in Europa; in Italia, in particolare. Se per gli uomini il tasso di disoccupazione è attestato intorno al 10%, per le donne supera il 17%, raggiungendo il 29% per la fascia d'età inferiore ai 25 anni. A causa del "rischio maternità" le giovani donne sono costrette ancor più dei loro coetanei maschi ad accettare per molti anni lavori precari altamente instabili e mal remunerati. La situazione appare ancor più drammatica nei paesi della periferia capitalista: in Sud America, nell'Europa orientale, in Asia e in particolar modo in Cina. L' assoluta libertà di cui gode il capitalismo in questo paese, associata ad un apparato repressivo che impedisce qualsiasi tipo di lotta operaia, genera uno dei più alti e disumani livelli di sfruttamento al mondo. A partire dagli anni '80 il governo cinese ha istituito le cosiddette "zone economiche speciali", vaste regioni prevalentemente costiere aperte alla penetrazione di capitali stranieri, in cui le multinazionali occidentali hanno costruito grandi impianti industriali delocalizzandovi una grossa parte della loro produzione prima prevalentemente concentrata in occidente. In queste zone la Cina garantisce un costo del lavoro che, a pari produttività, è molto più basso di quello delle principali potenze industriali. Il forte incremento demografico, congiunto alla crisi economica che ha colpito il sud-est asiatico, ha ulteriormente allargato quell'esercito di disoccupati che permette ai capitalisti attivi in Cina (compresa ovviamente la borghesia locale) l'intensificazione dei già insostenibili ritmi di lavoro ed un deciso abbassamento dei salari a livelli spesso inferiori alla stessa sussistenza. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi, dove sono impiegate soprattutto ragazze e giovani donne, sono tra le più dure in termini assoluti, paragonabili solo a quelle dei lavoratori del XIX secolo. Le neo assunte hanno, infatti, paghe massime di 500 lire all' ora e turni della durata di 12/15 ore per 6 ed anche 7 giorni alla settimana. Oltre a questi turni lunghissimi, che non permettono neppure la ricostituzione delle energie lavorative, le operaie sono sottoposte alla massima flessibilità: a ridosso dell'estate, durante le cosiddette "settimane nere", i turni arrivano a sfiorare le 16 ore giornaliere per sette giorni alla settimana, e questo per permettere alle scarpe sportive di giungere nei negozi sportivi occidentali giusto in tempo per le vacanze. Molte operaie, immigrate nei grossi centri industriali dalle campagne, sono poi costrette a sborsare anche i ¾ del loro magro salario per la sola mensa ed il posto letto. Le drammatiche condizioni di vita delle donne proletarie in questi paesi non rappresentano un semplice caso limite di sfruttamento, ma sono l'esempio tristemente concreto di come l'economia sempre più globalizzata conduce in tutto il mondo non a quella società del benessere tanto propagandata dalla borghesia internazionale, ma all'intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori e a un abbassamento delle condizioni di vita del proletariato al livello di pura sopravvivenza.
TGLBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2000
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