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Home ›Dal vertice dell'Opec la conferma: agli Usa il petrolio piace caro
Con la sola opposizione dell'Iran che avrebbe voluto mantenere le quote previste dal precedente accordo, l'0rganizzazione dei paesi produttori ha deciso di aumentare la produzione di petrolio di 1,425 mbg (milioni di barili al giorno); ma in realtà l'incremento reale che si avrà da qui al prossimo giugno, quando è previsto un nuovo vertice, non supererà i 425 mila barili al giorno in quanto, ufficiosamente, la produzione già dallo scorso febbraio è stata aumentata di oltre 1 mbg.
Difficilmente, dunque, il prezzo del petrolio nei prossimi mesi potrà scendere in misura consistente come si attendeva la maggior parte dei paesi importatori.
Le proiezioni più ottimistiche, cioè quelle che scontano anche l'incremento della produzione annunciato dalla Russia, dal Messico, dall'Oman e dagli altri paesi produttori non aderenti all'Opec, danno, per la seconda metà dell'anno, un prezzo stabilizzato fra i 22 e i 25 dollari al barile. In ogni caso, anche nella migliore delle ipotesi, esso si stabilizzerà su livelli più che doppi rispetto a quelli che si registravano nel dicembre del 1998 quando oscillava fra gli otto e i dieci dollari al barile e quando gli Usa e la Gran Bretagna ripresero i bombardamenti sull'Iraq per imporle il rispetto delle quote assegnatele dal piano dell'Onu Oil for food.
Per effetto dei bombardamenti e in conseguenza della decisione presa dai paesi Opec, dal Venezuela e dal Messico, con il consenso degli Usa, di contrarre la produzione, già nel gennaio del 1999 il prezzo del petrolio fece il suo primo balzo in avanti superando la soglia dei 12 dollari. Il successivo rialzo si ebbe all'indomani dello scoppio della cosiddetta guerra umanitaria della Nato contro la Serbia ed è poi continuato ininterrottamente.
La propaganda ufficiale ha sempre negato l'esistenza di una relazione diretta fra il prezzo del petrolio e i bombardamenti sull'Iraq, la guerra del Kosovo e tutti gli altri interventi più o meno umanitari che si sono susseguiti in tutte le aree che avevano un interesse strategico per il controllo del mercato del petrolio. Per i bombardamenti sull'Iraq si disse che erano necessari per bloccare sul nascere i tentativi di riarmo probabilmente atomico di Saddam Hussein, mentre per la guerra del Kosovo si parlò di guerra umanitaria.
A un anno e mezzo di distanza si è visto che in realtà gli obbiettivi erano altri e che la radice della guerra andava ricercata nella relazione fra prezzo del petrolio e rendita finanziaria e nella lotta interimperialistica per la sua ridistribuzione.
Negli Usa si erano intravisti i primi segnali del riaffacciarsi dell'inflazione per cui era prevedibile che i tassi di interesse avrebbero dovuto crescere. L'inflazione, infatti, è il peggiore nemico degli investimenti finanziari di tipo speculativo come sono in maggioranza quelli che da qualche anno fanno volare Wall Street e, oltre un certo limite, lo sono anche gli alti tassi di interesse. Il dover aumentare i tassi ma in misura tale da non interrompere la crescita di Wall Street, attorno cui si regge gran parte della domanda interna americana, e nel frattempo contenere l'inflazione sarebbe stato un dilemma irrisolvibile se non fosse esistito il modo di rivalutare il dollaro per via diversa dal rialzo dei tassi. I bombardamenti sull'Iraq affinché rispettasse le quote del piano Oil for Food, il mantenimento delle sanzioni contro l'Iran e la Libia e la guerra dei Balcani sono stati i vari momenti attraverso cui si è sviluppata la strategia finanziaria degli Usa mirata alla rivalutazione del dollaro contenendo il rialzo dei tassi.
Il petrolio come fonte energetica non ha più l'importanza che ha avuto in passato essendovi oggi la possibilità, oltre certi prezzi, di sostituirlo almeno in parte con altre fonti ed essendosi di molto affinati i sistemi industriali di risparmio energetico; ma continua e continuerà ad essere per moltissimo tempo ancora la principale fonte di energia cosicché il suo prezzo sarà ancora una delle fondamentali variabili macroeconomiche della economia mondiale a partire dalle quotazioni del dollaro. In relazione a esso, infatti, si modifica l'entità della rendita finanziaria e la sua ripartizione e si modifica anche l'entità della rendita petrolifera e della sua ridistribuzione fra paesi produttori e consumatori. Per questa ragione il controllo del suo mercato ha assunto un'importanza strategica fondamentale e attorno al livello del suo prezzo si coagulano interessi che attraversano trasversalmente i paesi produttori e quelli consumatori e altrettanto trasversalmente li uniscono e li dividono in base ai diversi costi di estrazione e alla diversa potenza dell'apparato industriale, finanziario, militare, al grado di dipendenza dalle sue importazioni e alla forza della propria valuta.
Chi dunque sosteneva che non vi era relazione fra i bombardamenti all'Iraq, la guerra umanitaria e il petrolio mentiva spudoratamente, ma anche chi lo scorso anno sostenne contro di noi che l'obbiettivo sia degli attacchi all'Iraq, sia della guerra dei Balcani era il mantenimento del prezzo del petrolio a un livello prossimo allo zero sbagliava su tutta la linea. A un anno e mezzo di distanza dalla ripresa dei bombardamenti sull'Iraq e a un anno dall'inizio dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, se l'obbiettivo fosse stato questo, visti gli esiti degli scontri militari, quasi certamente l'odiato Milosevic e quel demonio fatto uomo di Saddam Hussein già da tempo giacerebbero chissà sotto quanti metri di terra e il prezzo del petrolio non supererebbe i sei o i sette dollari al barile. Invece, Milosevic e Saddam sono ancora là e il prezzo del petrolio, stando alle previsioni più ottimistiche, continuerà a mantenersi almeno a un livello triplo di quello del dicembre '98 e senza che gli Usa abbiano nulla da ridire o preparino interventi militari anzi per il momento si distinguono per essere fra i compratori più assidui e stanno acquistando petrolio a qualsiasi prezzo.
Secondo questi nostri critici il proletariato internazionale e i comunisti avrebbero dovuto appoggiare le borghesie dei paesi "aggrediti" perché queste, essendo interessate a un prezzo più alto, erano obbiettivamente portatrici di istanze antimperialistiche. Oggi, appare con tutta evidenza che questo era anche l'interesse degli Usa cioè della potenza imperialistica che maggiormente si diceva di voler colpire.
L'adesione al materialismo storico e un minimo di coerenza e onestà politica, quando si è così clamorosamente smentiti dalla realtà, dovrebbero imporre una qualche riflessione autocritica per individuare le ragioni dei propri errori.
Ma forse in questo caso l'incapacità a comprendere la realtà deriva proprio dal fatto che l'adesione al materialismo storico, se mai c'è stata, è stata solo formale tanto è vero che con incredibile leggerezza questi nostri critici l'alternano con quella per la jihad islamica.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2000
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