Dalla tragedia alla commedia atto secondo: Ecuador

Pubblichiamo una parte della nota fattaci pervenire dai nostri compagni colombiani sul fallito "colpo di stato popolare" in Ecuador. Ricordiamo che il movimento di piazza è stato diretto dalla Confederacion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador (CONAIE), dalla borghesia nazionalista e dal Movimiento Nacional Democratico Popular, una organizzazione politica di massa di stampo parlamentarista diretta dal P.C (m-l), vecchia formazione stalinista che si rifà al dittatore albanese Hoxha.

Durante i giorni che vanno dal 18 al 21 gennaio la situazione ebbe un'accelerazione vertiginosa. Le strade e i quartieri erano in ebollizione. Nella sera di venerdì 21, si ebbero simultaneamente una sollevazione popolare di piazza e una militare che già durante le ultime ore dello stesso giorno sfociarono nella destituzione del presidente Mahuad. Con la consegna di "scacciare il governo dei banchieri e degli industriali", migliaia di lavoratori accompagnati da ufficiali e soldati "insorti" presero d'assalto il palazzo presidenziale e la sede del parlamento. Un numero di persone, che in un primo momento i mezzi d'informazione stimarono sulle centomila e poi ridussero a diecimila, circondarono il parlamento e il palazzo presidenziale, penetrandovi senza incontrare resistenza. Di lì, destituirono Mahuad e instaurarono un triumvirato formato da un rappresentante della CONAIE, un ex presidente della Corte Suprema e un colonnello delle Forze Armate, che fu rapidamente rilevato dal ministro della difesa in carica. Per ultimo, il nuovo organismo, chiamato "Giunta Popolare", si prefissò il compito di formare un nuovo governo di "salvezza nazionale". Immediatamente, l'Organizzazione degli Stati Americani e i capi di governo dei vari paesi sudamericani associati al gruppo di Rio convocarono una riunione di emergenza per sostenere Mahuad e le "istituzioni legittimamente costituite" contro quello che hanno chiamato colpo di stato. Poche ore dopo, alle tre di mattina del 22 gennaio, dopo una riunione tenuta nell'ambasciata statunitense, fu annunciato un nuovo accordo politico tra i militari e i rappresentanti del "vecchio" governo, che portava alla dissoluzione del triumvirato "popolare" a all'ascesa alla presidenza del vice presidente G. Noboa. Il regime ha superato l'impasse con una soluzione costituzionale, eleggendo Noboa in un parlamento unicamerale nel quale ha ottenuto un consenso quasi unanime.

Certamente, non è ancora stata detta l'ultima parola. Nondimeno, l'ultimo episodio sta per essere scritto e sembra inserirsi nel medesimo copione di cui parlammo nel nostro articolo precedente su Chavez: dalla tragedia alla commedia. La direzione del movimento indigeno è palesemente in una situazione di sfasamento storico rispetto alla base sociale delle etnie che lo compongono. Mentre il gruppo dirigente è costituito da artigiani, bottegai, commercianti e piccoli proprietari urbani e rurali, che aspirano a mantenere perennemente stabile l'economia di scambio privato dentro la piccola comunità urbana e rurale di proprietari su piccola scala, la massa del movimento è già entrata nel meccanismo di riproduzione capitalista, formando una parte della forza-lavoro salariata che opera nell'industria delle costruzioni private e delle infrastrutture, nell'industria della pesca o come giornaliera nelle piantagioni, nel settore dei sevizi e delle piccole officine. Sviate dal nazionalismo indigeno unito ai militari populisti, ai sindacati e agli stalinisti ecuadoriani, le masse - che si muovono in base a spinte di classe e non etniche - di fatto hanno già cominciato a smobilitare. L'inettitudine dei dirigenti indigeni è iperbolica. Invece di battere il ferro quando la situazione pareva potesse arrivare al punto di fusione, hanno rinunciato all'enorme dispiegamento di forza in cambio della promessa del nuovo governo di prestare più attenzione agli indigeni, suggerendo che Noboa ha non solo l'intenzione, ma anche la capacità di fare marcia indietro sulla dollarizzazione e di combattere la miseria estrema che regna in questo settore della popolazione, cioè il 42% dei 12.4 milioni di ecuadoriani.

Tuttavia, dopo più di due anni di continua agitazione è anche probabile che le masse abbiano imparato una lezione decisiva suscettibile di essere messa a profitto nel prossimo futuro: che la loro forza è enorme; però senza un programma rivoluzionario che renda comprensibili le linee di sviluppo del capitale e indichi gli obiettivi da raggiungere e i nemici da abbattere, senza la costruzione dei loro propri organi indipendenti di potere - i consigli dei lavoratori - esse non saranno mai in grado di difendere i loro interessi, compito che ai giorni nostri si trova indissolubilmente unito alla loro offensiva di classe. Già oggi la lotta immediata per la difesa delle condizioni di vita dei lavoratori coincide largamente con quella per il comunismo. Nessun nuovo stato nazionale e nemmeno alcun settore nazionalista o "rivoluzionario" della borghesia possono salvare i lavoratori e i proletari ecuadoriani e latino-americani dai contraccolpi della speculazione internazionale né dalle mire delle potenze finanziarie del mondo, perché nessuno di quelli può assicurare una gestione efficiente e accorta delle grandi variabili macroeconomiche e, in particolare, della massa monetaria. La condizione per la difesa dei lavoratori è l'organizzazione mondiale del proletariato contro i monopoli transnazionali e le potenze finanziarie nel quadro di una offensiva sociale in ciascun paese contro i banchieri, gli stati e le borghesie nazionali loro appendici. Con una direzione rivoluzionaria di classe e proprie istanze di potere, non solo nessuna forza militare avrebbe potuto resistere alle masse ecuadoriane, ma anche non avrebbe avuto luogo la manovra con la quale ingenuamente sono state alla fine beffate. Pertanto, il vero problema di oggi non è tanto se le masse sono disposte a muoversi con audacia e decisione, ma in quale tipo di direzione sociale inscrivono il loro movimento.

Infatti, nei 17 mesi della gestione Mahuad, gli indigeni si sollevarono due volte e in migliaia marciarono verso Quito fornendo una convincente dimostrazione della loro forza. Ma invece di considerare le ripercussioni della crisi mondiale sul paese e individuare nelle condizioni dell'economia capitalista la radice della politica del "loro" governo, il movimento indigeno e "popolare" attribuisce a una casta di politici corrotti e alle misure neoliberiste la miseria e le sofferenze attuali. Nel primo caso riducono il comportamento dell'economia capitalista alle ideologie economiche e politiche e nell'altro lo trasformano in un semplice problema contabile che si può risolvere assegnando l'amministrazione del denaro rubato dai burocrati governativi a un altro titolare, il popolo. In realtà, l'unica cosa che può cambiare le opzioni operative dei gruppi dirigenti è il rendimento del capitale e non una decisione etica. Legata a condizioni di dominio e di sfruttamento di classe, il conseguimento della rendita, nelle condizioni di crisi mondiale, costringerà qualsiasi governo - di destra o di sinistra - a spremere sempre di più i lavoratori.

L'attuale direzione del movimento non ha tratto, dunque, nessun insegnamento dalla sua esperienza anteriore. Anche quando, nella sua prima protesta, luglio 1999, il movimento obbligò Mahuad a far marcia indietro su certe misure economiche neoliberiste, non ha imparato nulla del fatto che invece di migliorare, la situazione è peggiorata. Insomma, si credette che con la salita di Mahuad e la dissoluzione del Congresso e del potere giudiziario si sarebbero conquistate migliori condizioni per le masse. Con questa illusione il movimento divenne facile preda delle manovre della borghesia.

Nonostante tutto, la prospettiva è quella di una continuazione e di una recrudescenza delle lotte sociali. Infatti, non ci sarà consenso sociale e politico permanendo la crisi sociale. È evidente che i piani imperialisti di creare un'economia continentale dollarizzata urtano con la più profonda recessione dei paesi dell'area e la più disperata resistenza dei milioni di vittime del sistema. Siamo di fronte, dunque, a un contesto di lotta sociale che non solo offrirà importanti opportunità per la costruzione del partito, al delimitarsi più chiaramente dei campi e degli interessi in lotta, ma anche che i nuclei politici che lavorano per lo sviluppo del programma comunista contribuiranno ad approfondire. Se non sarà così, la prossima rivolta sfocerà nello stesso punto di quella attuale, tutto rimarrà in ordine, i sopravvissuti seppelliranno i loro morti, i lavoratori torneranno nelle loro galere, i burocrati al ladrocinio, la borghesia ai suoi profitti, i signori alle loro puttane e le signore ai loro amanti: "questo lunedì il paese si svegliò come se nulla fosse accaduto dopo il golpe che spodestò Mahuad e la salita di Naboa, che rimane designando i membri del suo gabinetto, mentre commercianti e studenti riprendevano le loro attività, la quotazione del dollaro rimaneva stabile e la borsa operava normalmente" (La Jornada, 24-01-2000).

Juan

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.