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Home ›Si chiude il novecento, il secolo della sconfitta
... Ma il secolo che si apre potrebbe essere il secolo del socialismo
Da un punto di vista di classe, il novecento si chiude per la borghesia con un bilancio più che positivo. Al suo attivo essa può registrare il superamento di due profonde crisi strutturali e di due guerre mondiali e, soprattutto, la sconfitta della rivoluzione d'Ottobre. Una vittoria importantissima perché conseguita per accartocciamento della rivoluzione stessa cosa che ha consentito, poi, alla controrivoluzione staliniana di contrabbandare per socialista una realtà in cui lo sfruttamento della forza-lavoro non è mai cessato e la classe operaia e i lavoratori sono stati sottoposti alle più feroci forme di repressione che la storia abbia conosciuto. È stato capitalismo di Stato com'è stato ampiamente dimostrato anche dal suo stesso crollo, eppure è stato ritenuto dalla stragrande maggioranza del proletariato internazionale, la patria, l'unica patria, del socialismo.
Nel corso del tempo, questa convinzione si è talmente radicata nella coscienza del proletariato internazionale che anche quando la crisi del ciclo d'accumulazione del capitale ha ridotto in frantumi la sedicente URSS, la borghesia ha potuto esibire quel maleodorante cumulo di macerie come l'emblema dell'impossibilità di dar vita ad una società di tipo socialista e il socialismo, che pure non è mai stato realizzato, è divenuto il sinonimo stesso della miseria e dell'arroganza del potere ovvero la negazione più totale di tutti quegli ideali e quelle aspettative per le quali milioni e milioni d'uomini hanno lottato fino all'estremo sacrificio. Si, una grande vittoria per la borghesia e una grande sconfitta per il proletariato; basti pensare a tutta quell'area della sinistra comunista che pur essendosi opposta alla deriva stalinista, non essendo stata ancora capace di uscire dalle macerie dell'esperienza russa, è completamente incapace di comprendere il mondo contemporaneo e quando non approda a posizione ottocentesche si crogiola nel proprio passato nella convinzione che esso contenga anche tutto il presente. In realtà, a saperla leggere, la Rivoluzione d'Ottobre resta una tappa fondamentale del movimento comunista internazionale e può dare non poche indicazioni utili a riannodare il filo rosso interrotto dalla controrivoluzione. La borghesia, se da un lato è riuscita a sconfiggerla, dall'altro, però, nulla ha potuto, e può, per superare o solo attenuare le contraddizioni insite nel processo d'accumulazione del capitale che fanno della rivoluzione socialista un bisogno sempre all'ordine del giorno della storia almeno fino a quando il capitalismo non sarà abbattuto. Il fatto che, anche grazie alla sconfitta della Rivoluzione d'Ottobre, il dominio ideologico della borghesia sia tale da impedire alle grandi masse proletarie - e non solo ad esse - di prendere coscienza della urgente necessità di abbattere questo sistema, non significa che questa necessità non esista. Viviamo in un mondo in cui le stesse città della prima potenza imperialistica sono un coacervo di violente contraddizioni. A dispetto delle statistiche ufficiali, la disoccupazione è un male endemico e anche in paesi come la Gran Bretagna e gli Usa che vantano tassi di disoccupazione bassissimi (ma i dati sono falsi) la povertà è in costante crescita. Si legge su Affari e Finanza di La Repubblica del 22 ottobre scorso: " Nel caso inglese come in quello americano, la bassa disoccupazione, così com'è calcolata ufficialmente, non si rivela un antidoto alla povertà, alla marginalità e al disagio sociale. La Gran Bretagna fa registrare con il 25 per cento, il tasso più alto di povertà nell'Unione europea. Negli Stati Uniti, mentre si riduceva la disoccupazione (quella ufficiale N.d.R.), è cresciuto il numero dei working poor: il 30 per cento degli occupati ha un reddito al di sotto della soglia di povertà; il 53 per cento non ha una copertura dei Fondi pensione e il 40 per cento non ha l'assicurazione sanitaria." (A. Lettieri - Le mezze verità sull'occupazione).
D'altra parte, che le cose non vadano per il verso giusto, lo dimostra anche la stessa insistenza con cui la borghesia internazionale invoca sempre con maggior forza la drastica riduzione dei salari e d'ogni forma di protezione sociale e l'esaltazione che essa stessa fa della crescita smisurata della sfera finanziaria e delle attività speculative ad esse connesse. Anzi la riduzione dei salari, i tagli alla spesa assistenziale e l'eliminazione delle pensioni pubbliche sono considerati tutti elementi decisivi per la crescita ulteriore delle attività finanziarie. Il pensiero economico dominante sostiene, infatti, che è il movimento del denaro o dei suoi derivati (capitale fittizio) e non il lavoro che genera nuova ricchezza. Per avere un'idea di quanto questa convinzione sia diffusa riportiamo integralmente il commento che un anonimo speculatore di borsa ha lasciato sul nostro sito Internet: " Compagno, te lavori io magno! A cojoni, oggi con le azioni Finmatica ho guadagnato 80 milioni in due ore! Voi proletari del cazzo in quanti decenni li guadagnate!?! Addio straccioni." Come dice il vecchio adagio: ride bene chi ride ultimo! E quindi lasciamo volentieri il nostro intelligentone nel suo stato d'ebbrezza, tanto ben presto dovrà destarsi e scoprire che quegli ottanta milioni sono falsi.
Quando in una formazione sociale il furto e la rapina sono considerate al pari, se non più, del lavoro, è segno che la decadenza avanza a passi da gigante e quindi che la necessità del suo superamento è di grande attualità. Ma dire decadenza è dire tutto e nulla; di certo non vuol dire che la nascita di una nuova formazione sociale sia dietro l'angolo e sia ineluttabile. Una formazione sociale benché decadente può trascinarsi per un tempo indefinito se la classe oppressa, quella oggettivamente rivoluzionaria non assume coscienza del suo compito storico. La rivoluzione d'Ottobre e il Novecento ci hanno a questo proposito lasciato un grande insegnamento ed è che senza partito rivoluzionario non può esserci rivoluzione. Il '17 è stato possibile perché, oltre al maturare di tutte le condizioni oggettive, da tempo era stato costituito il partito Bolscevico sulla base di un programma e di una tattica derivati dall'applicazione più coerente, per quei tempi, del marxismo ovvero del materialismo storico che con le sue anticipazioni aveva consentito di cogliere pienamente le contraddizioni di quella specifica fase del capitalismo. Oggi il marxismo è altrettanto attuale di quanto lo era ai tempi di Lenin? Ed è in grado di fornirci gli strumenti per cogliere pienamente le contraddizioni di questa fase del capitalismo?
Che il marxismo sia attualissimo è dimostrato proprio dal fatto che fenomeni come lo sviluppo della sfera finanziaria e della produzione del capitale fittizio quale strumento d'ap-propriazione parassitaria di plusvalore sono stati tutti anticipati da Marx già nel Capitale e cioè quando di essi vi erano appena delle labili tracce. Per una definizione di una corretta strategia e di una tattica rivoluzionaria è necessario, però, saper trarre dalle premesse fondamentali del marxismo tutte le implicazioni che l'avverarsi delle sue anticipazioni sui possibili sviluppi del capitalismo, hanno prodotto nei rapporti fra le classi e più in generale sul movimento della lotta di classe esattamente come fece Lenin che individuò nella crescita del monopolio e nell'esportazione del capitale finanziario i tratti distintivi dell'epoca imperialista quale fase suprema del capitale e nella costruzione di un forte partito rivoluzionario l'indispensabile condizione senza la quale la rivoluzione sarebbe stata impensabile e impossibile. Nel corso del tempo l'imperialismo e i meccanismi dell'appropriazione parassitaria di plusvalore, però, si sono ulteriormente affinati e comprendere fino in fondo le conseguenze di tale affinamento è vitale per chiunque voglia porsi sul serio sul terreno dell'antimperialismo. Ignorare, per esempio, che il processo di centralizzazione dei capitali è giunto al punto che ormai esistono solo tre aree monetarie (dollaro, yen ed euro) o, peggio, considerare ciò un fatto del tutto ininfluente ai fini della elaborazione di una corretta politica rivoluzionaria significherebbe andare incontro ad una nuova inesorabile sconfitta con conseguenze davvero inimmaginabili per il proletariato e forse per l'intera umanità. È sempre più evidente che, per esempio, la parola d'ordine Proletari di tutto il mondo Unitivi! sta assumendo una valenza ben più grande di quanto non la avesse ai tempi di Marx e dello stesso Lenin così com'è sempre più evidente che la pratica del disfattismo rivoluzionario, dal momento che le guerre, tutte le guerre (essendo il prodotto della lotta per l'accaparramento della rendita finanziaria) hanno sempre e solo carattere imperialistico, non ammette alcuna alternativa. La stessa struttura organizzativa che il futuro partito dovrà darsi, non potrà non tenere conto di questi mutamenti, visto che l'inserimento sempre più stretto delle aree economiche nazionali in aree continentali, quando non addirittura intercontinentali (nelle repubbliche dell'ex Yugoslavia si compra e si vende in marchi; ma a Tirana e in molte repubbliche asiatiche dell'ex Unione Sovietica si compra e si vende in dollari), procede con sempre maggior forza.
È vero dunque che il bilancio del secolo che si chiude presenta un forte attivo per la borghesia; ma è vero anche, che molte di quelle condizioni che avrebbero potuto far volgere il corso degli eventi in modo favorevole alla Rivoluzione d'Ottobre e al suo sviluppo internazionale, sono oggi più mature che mai; ma è necessario saperle cogliere e sfruttare nel miglior modo possibile se si vuole che il secolo che si apre (fra l'altro, come il novecento, nel pieno di una violenta crisi economica) possa essere il secolo del socialismo.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 1999
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