Esistenze decorose e vecchiaie serene offerte dal capitale

Mille miliardi di "risparmi" in gioco (secondo INPS e ISTAT) anticipando al 2000 i tempi della riforma Dini

La sopravvivenza dei salariati e dei pensionati, dei giovani e degli anziani proletari, è subordinata al continuo peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. È questa la paradossale logica del capitale, applicata dai governi borghesi di destra o di sinistra, di fronte alla crisi e alla momentanea passività del proletariato.

Va ribadito intanto che la spesa sociale dello Stato italiano, in rapporto al Pil, è di quattro punti % inferiore alla media europea (addirittura sei punti rispetto a Francia e Germania). Non basta: la spesa pensionistica viene fatta figurare da sola fra le più alte in Europa, ma ciò risulta perché la si calcola al lordo delle ritenute fiscali e aggiungendo poi 2,5 punti % di Pil con altre voci non previdenziali, come per esempio i trasferimenti al Tfr.

Poiché nel '98 in Italia le trattenute fiscali sulle pensioni (INPS e dipendenti pubblici) sono state di quasi 40mila miliardi, detraendo sia questa somma sia quella dovuta alle uscite improprie, si ottiene una spesa delle pensioni, rispetto al Pil, pari a quella della Germania e addirittura inferiore a quella di Francia e Regno Unito!

Di fronte alle randellate che piovono quotidianamente sul proletariato, quali sono le posizioni dei radical-riformisti e degli antagonisti istituzionalizzati che si atteggiano a difensori dei "soggetti deboli"? Innanzitutto, costoro pretendono di spacciare come utile e necessaria - sia per gli interessi dell'economia nazionale (cioè del capitalismo) che per quelli dei cittadini della borghese società - una riforma che mantenga, sì, ammortizzatori sociali, sicurezza e assistenza, ma rispettando nello stesso tempo l'efficienza economica del capitale.

Con la più sfacciata ipocrisia politica, gli uni (ancora attaccati alle poltrone governative) sbandierano una drastica riduzione della spesa sociale come misura necessaria per l'applicazione di una più equa assistenza ai cittadini bisognosi; gli altri, sull'uscio del Palazzo, si limitano a guadagnar tempo per inghiottire il rospo della verifica (gennaio 2001) e vagheggiano su ipotesi di un rilancio della spesa sociale in funzione di un..."imput produttivo" per il capitale. Non certo indipendentemente dagli interessi di quest'ultimo, come invece dovrebbe essere quale unica soluzione per eliminare lo stritolamento a cui è costretto il proletariato sotto il dominio del capitale. La competizione politica fra questi zelanti servitori dello Stato borghese consiste nel presentare come risolvibile un'impossibile quadratura del cerchio fra le esigenze primarie del capitale e quelle, sia pure secondarie e minime, del proletariato. Ciò che sta a cuore invece a questi signori, innanzitutto, è "la funzionalità del sistema finanziario-produttivo del paese", cioè del capitalismo nazionale. E lo dichiarano apertamente.

La crisi d'accumulazione in cui versa il capitalismo (caduta del saggio di profitto, cioè del rapporto fra massa del capitale investito e plusvalore ottenuto) costringe qualunque governo borghese a ricercare con tutti i mezzi possibili una consistente riduzione del costo del lavoro (salari diretti e indiretti) e della spesa pubblica per soddisfare i bisogni del capitale. Tagli a pensioni, sanità e scuola, dunque, ma anche ai prelievi impositivi e contributivi a carico delle imprese. E poiché il capitale con queste manovre pretende - per sopravvivere - di rastrellare quote di plusvalore per rilanciare investimenti innovativi e competitività, a qualcuno sorge un dubbio: gli effetti saranno espansivi o depressivi? Gira e rigira, il capitalismo può ancora migliorare le condizioni di offerta sul mercato (a spese di un proletariato sempre più sottoposto a cure dimagranti), ma unicamente peggiorando le condizioni per la domanda.

Nel caso della previdenza, si tratta di spostare sul mercato finanziario centinaia di migliaia di miliardi, forzatamente risparmiati dai salariati e versati ai fondi pensionistici privati a capitalizzazione, destinandoli agli appetiti speculativi del mercato borsistico.

Perché i lavoratori facciano ciò liberamente, è necessario che le pensioni statali diventino sempre più penalizzanti, insufficienti per sopravvivere. Che poi tutto questo piano strategico finisca per crollare nei prossimi scossoni della crisi economica, è un problema che al momento viene accantonato, nella corsa a rastrellare plusvalore. E si finge di ignorare il punto fondamentale della questione sul tappeto: in un modo o nell'altro, l'attuale incidenza delle prestazioni pensionistiche sul Pil deve comunque diminuire, e questo quando in prospettiva si avranno decine di milioni di pensionati in più, e milioni di occupati in meno. La prospettiva terrorizzante per il capitale è quella di avere, fra una decina d'anni, un solo proletario occupato a fronte di almeno cinque proletari anziani e altrettanti giovani disoccupati. Milioni di proletari, insomma, condannati - finché dura il capitalismo - a una condizione di miseria e disperazione, anche se ciascun lavoratore sarebbe già fin da oggi in grado, dividendo e riducendo i propri sforzi assieme ai giovani e ai disoccupati, di produrre almeno quanto basta per i bisogni suoi, dei suoi compagni e di una decina e più di anziani.

cd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.