Vertice G7

Dietro l'ottimismo di facciata dei grandi della Terra, le contraddizioni

del capitale scavano profonde crepe nel precario equilibrio dell'economia mondiale

Nell'ultimo vertice dei sette paesi più industrializzati, tenutosi a Washington nella seconda metà di settembre, i potenti del pianeta hanno discusso sui vari problemi dell'economia mondiale. Il quadro che è emerso dal tradizionale comunicato finale è sostanzialmente positivo; la congiuntura economica internazionale marcia nella direzione giusta, gli Stati Uniti s'apprestano a vivere l'ottavo anno consecutivo di espansione economica e finalmente anche la vecchia Europa sembra aver imboccato la strada della ripresa. A sentire i rappresentanti del capitale non ci sono motivi per lamentarsi di come stanno andando le cose, anzi la via maestra da seguire è quella della completa liberalizzazione dei mercati finanziari tracciata negli ultimi decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Ma dietro l'ottimismo di facciata, i rappresentanti dei paesi del G7 hanno centrato la loro attenzione sulle tensioni che si stanno manifestando sui mercati valutari e sulle ripercussioni che queste potrebbero avere sull'intera economia mondiale.

Negli ultimi mesi sui mercati monetari internazionali la divisa giapponese, lo yen, si è continuamente apprezzata nei confronti delle altre monete, rivalutandosi da giugno a settembre di oltre il 15% rispetto al dollaro americano. L'improvvisa inversione di tendenza nei rapporti tra dollaro e yen non è un fulmine a ciel sereno come vorrebbero far credere i corifei del capitale, ma va inquadrata nelle modificazioni intervenute nei rapporti interimperialistici negli ultimi anni e negli irrisolti problemi dell'economia americana. Le tensioni monetarie sono solo le manifestazioni superficiali delle contraddizioni strutturali che minano alle fondamenta la stabilità dell'intera economia mondiale. Un sistema in preda ad una crisi di ciclo dalla quale non riesce a tirarsi fuori e le cui conseguenze sul piano sociale sono sotto gli occhi di tutti; guerre, fame e disoccupazione di massa sono le uniche realtà che il capitalismo riesce ad offrire al proletariato internazionale. I sette grandi hanno evidenziato come un'ulteriore rivalutazione dello yen possa generare una crisi valutaria su scala mondiale, bloccando sul nascere anche la lenta ripresa dei paesi del sudest asiatico, vittime illustri della crisi finanziarie di due anni fa.

Nelle indicazioni finali date al Giappone per contrastare il superyen, s'invita il governo di Tokyo a stimolare la domanda interna sul piano monetario; in altre parole le autorità giapponesi dovranno cercare di aumentare la liquidità monetaria e intervenire sui mercati dei cambi favorendo la discesa della propria moneta. Il Giappone può fare affidamento sull'aiuto degli altri paesi solo in un secondo momento; infatti, Stati Uniti e paesi europei si sono dichiarati pronti a intervenire sul mercato dei cambi per frenare la rivalutazione dello yen solo se il governo nipponico adopererà le misure indicate dal vertice. Come sempre, anche in questo vertice tutti aspettano che siano gli altri paesi a fare il primo passo per risolvere i problemi dell'economia internazionale. Nella fattispecie, gli Stati Uniti, alle prese con una situazione economica che, malgrado le dichiarazioni ottimistiche dei suoi rappresentanti, tende a peggiorare repentinamente, cercano di scaricare sugli altri paesi le contraddizioni economiche accumulate in questi ultimi anni di finanziarizzazione dell'economia.

Proprio dalla situazione americana bisogna partire per comprendere le nuove tensione monetarie che si sono prodotte sui mercati mondiali negli ultimi mesi. La voragine del deficit commerciale statunitense lo scorso mese di luglio ha fatto registrare un nuovo record storico, con un passivo mensile di 25,18 miliardi di dollari contro i 24,6 del mese precedente. Un'analisi più dettagliata ci porta a considerare come siano state le maggiori importazioni, che hanno raggiunto i 104,2 miliardi di dollari con un incremento dell'un percento rispetto a giugno, a far lievitare il deficit della bilancia commerciale. Se nei prossimi mesi la tendenza dovesse confermarsi, come tutto lascia presupporre, il deficit annuale sfiorerà i 250 miliardi, una cifra insostenibile anche per una superpotenza economica e finanziaria come gli Stati Uniti. La crescita esponenziale delle importazioni e di conseguenza del deficit commerciale è stata sostenuta solo grazie al fatto che gli Stati Uniti, gestendo direttamente la massa di dollari in circolazione sui mercati internazionali ed essendo il dollaro la moneta più utilizzata negli scambi commerciali e finanziari mondiali (ricordiamo che il dollaro è la moneta utilizzata per l'acquisto di tutte le materie prime e del petrolio in particolare), sono al centro di un perverso meccanismo in base al quale questi possono stampare e vendere dollari ottenendo dagli altri paesi, bisognosi di valuta statunitense, beni materiali. Grazie alla loro posizione dominante gli Stati Uniti stampano carta ed ottengono in cambio delle merci, sono queste le virtù dell'imperialismo. In altri termini la voragine del deficit commerciale non è finora esplosa grazie alla posizione dominante degli Stati Uniti sul piano finanziario; infatti, come un grande magnete, gli USA, nel corso degli ultimi decenni hanno attratto nella propria orbita una massa enorme di capitali che sono serviti per finanziare il mercato azionario e l'altro grande deficit statunitense, quello pubblico.

Le contraddizioni del capitalismo hanno generato una situazione di apparente paradosso, che sconfessa tutte le teorie economiche finora avanzate dalla scienza borghese che prevedevano l'impossibilità di una contemporanea presenza di deficit commerciale e pubblico. Per combattere il deficit commerciale le autorità monetarie dovrebbero favorire una discesa del valore del dollaro, per rendere più competitive le merci statunitensi sui mercati mondiali, ma una tale manovra determinerebbe delle difficoltà nel finanziamento del debito pubblico in quanto i capitali internazionali sarebbero attratti da quei paesi che offrono tassi d'interesse più elevati rispetto a quelli del mercato americano. La crescita del valore dello yen è la manifestazione più evidente di come negli ultimi mesi una massa considerevole di capitali si stia spostando verso il mercato giapponese, alimentando in tal modo anche la ripresa del mercato azionario, risalito di colpo dopo aver vissuto un lunghissimo periodo di continui ribassi. Lo spostamento di capitali sulle piazze borsistiche orientali ora rischia di mettere in grosse difficoltà il finanziamento del debito pubblico e il mercato azionario statunitense. Un crollo di Wall Street sarebbe catastrofico per l'economia internazionale e statunitense in particolare. La tanto decantata espansione americana si è retta in questi anni sul continuo indebitamento del settore privato, che è stato a sua volta incoraggiato dalla continua ascesa della borsa di New York e dell'aumento del prezzo delle abitazioni. È la crescita della spesa in deficit di imprese e consumatori privati che ha alimentato l'espansione economica ma che evidentemente non può essere sostenuta all'infinito. Si tratta quindi di una crescita economica che si regge esclusivamente su una bolla speculativa che potrebbe esplodere da un momento all'altro. Schematizzando lo sviluppo degli ultimi decenni possiamo osservare come l'economia mondiale si sia retta grazie ai consumi statunitensi, che a loro volta dipendono dalle quotazioni di Wall Street. In questo contesto è facile immaginare le conseguenze per l'intero sistema capitalistico di uno spostamento massiccio di capitali dal mercato americano verso altre piazze finanziarie, spostamento determinato dalla continua ascesa dello yen e dall'affermarsi di una moneta come l'euro. È su questo terreno che nel prossimo futuro si scontreranno le tre grande aree economiche del pianeta (USA, Giappone ed Europa), in lotta tra di loro per l'appropriazione parassitaria della rendita finanziaria.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.