Conflitto in Kurdistan

Il petrolio causa di continue guerre tra borghesie grandi e piccole in Medio oriente

Le tragedie e le migrazioni di tanti disperati per fuggire la miseria e trovare sorte migliore nelle aree più ricche del pianeta cominciano a preoccupare, soprattutto per le dimensioni che il fenomeno potrebbe assumere in futuro. La sensibilità degli opinionisti borghesi per le popolazioni del terzo e quarto mondo non va oltre la pelosa carità o la consueta declamazione di aiuti che dovrebbero produrre impossibili sviluppi in loco delle economie di tali paesi. Essi si guardano bene dallo spiegare il nesso che intercorre tra sviluppo e sottosviluppo, tra ricchezza e povertà, in sostanza di porsi criticamente nei confronti del capitalismo. D’altra parte non potrebbe essere diversamente visto che essi sono i servi profumatamente pagati dal capitale per produrre idee da conculcare nella testa dell’opinione pubblica.

L’allarme immigrazione ha coinvolto anche l’Italia, prima gli albanesi ora i curdi, poi a chi toccherà? Questa è la domanda che spaventa il pubblico, che alimenta la guerra tra poveri e il razzismo. Nulla si dice, invece, sulle cause che hanno portato alla crescente povertà e al disastro d’interi continenti, come la speculazione e lo strozzinaggio finanziario, le guerre per la rapina delle materie prime, la combutta tra le borghesie delle centrali imperialiste e quelle della periferia del capitalismo.

Esemplare è il caso di tutta l’area del petrolio che va dal Medio oriente al Mar Caspio, dove la frantumazione dell’ex impero sovietico ha aggiunto caos ad una situazione già precedentemente ingarbugliata. In tale contesto dopo la guerra del Golfo è scoppiato il caso del Kurdistan, un problema irrisolto di vecchia data, ritornato d’attualità in questi giorni per la questione dei profughi.

Il Kurdistan è un’ampia regione con 30 milioni di abitanti compresa tra Turchia, Iraq, Iran e Siria, ricca di risorse idriche, passa il Tigri e l’Eufrate, e d’idrocarburi. I nazionalismi nati in seguito al disfacimento dell’impero ottomano dopo la prima guerra mondiale, impegnati nella costruzione dei propri stati, hanno ferocemente represso le minoranze etniche, in particolare in Turchia e in Iraq.

Gli americani con la guerra del Golfo hanno soffiato sul fuoco dell’insorgente nazionalismo curdo per soffocare e paralizzare il regime di Saddam e soprattutto per controllare a scala più ampia i flussi e il prezzo del petrolio sul mercato. Infatti, l’embargo e il divieto aereo sotto il 32° parallelo e sopra il 36° voleva dire svuotare di qualsiasi significato economico l’Iraq e congelarne la sovranità sul proprio territorio nell’attesa di futuri sviluppi. Questi fatti hanno determinato una specie di zona franca nel Kurdistan iracheno, colta al volo l’opportunità come una manna caduta dal cielo, le fazioni nazionaliste locali hanno potuto governare gli affari e i traffici clandestini di petrolio, armi e droga. La metamorfosi dei capi della guerriglia in borghesi arricchiti nel più puro stile mafioso è il primo dato evidente.

Come avviene sempre tra bande alla fine si finisce per litigare sul modo di spartire la torta, quindi si rimescolano le carte e nascono nuove alleanze, i nemici di ieri diventano gli amici di oggi e viceversa. Le due principali fazioni che controllano il territorio sono il Pdk (Partito democratico del Kurdistan) di Massud Barzani e l’Upk (Unione patriottica del Kurdistan) di Jalal Talabani. Rispettivamente appoggiate dall’Iraq e dall’Iran. La terza forza in campo è il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) di Abdullah Ocalan, organizzazione curda costituitasi in Turchia nel 1984 e sostenuta da Iran, Iraq, Siria.

Nel 1992 lo scontro vede uniti il Pdk e l’Upk contro il tentativo del Pkk di insinuarsi nel loro territorio. Nel 1994 e nel 1996 la lotta intestina scoppia tra le prime due formazioni, il Pdk con l’aiuto dell’esercito iracheno conquista Erbil, la capitale del Kurdistan d’Iraq, e attualmente intasca la parte maggiore dei proventi derivanti dai traffici leciti e illeciti. Ma non è finita, perché questa volta deve affrontare i guerriglieri del Pkk.

Il balletto delle alleanze dimostra quanto meschini e reazionari sono i nazionalismi dell’epoca attuale. Venute meno le ragioni e gli “ideali” che un tempo erano il sostrato alla costituzione degli stati nazionali e all’affermarsi della borghesia in ascesa, la fase imperialista del capitalismo fa piazza pulita di quelle istanze, oggi più che mai. L’economia globalizzata è un rullo compressore che tutto stritola, in questo periodo ancora transitorio prevale la disgregazione dei vecchi equilibri che dovranno portare a nuovi assetti interimperialistici.

Il dramma che sta vivendo la popolazione curda, della Turchia in modo particolare, vede lo stato turco complice, insieme alle varie mafie, dell’esodo di migliaia di persone per fare terra bruciata intorno alla guerriglia. Alimentando, allo stesso tempo, uno degli affari più lucrosi, il commercio di carne umana.

Questa vicenda riassume in se alcuni punti fondamentali che le avanguardie comuniste devono denunciare nella loro opera di chiarificazione e agitazione.

  1. I cosiddetti movimenti di liberazione nazionali sono il punto di partenza di giochi tra borghesie grandi e piccole per la spartizione delle risorse locali o per il controllo di aree militarmente strategiche. In Kurdistan le micro borghesie della guerriglia si avvalgono dell’appoggio delle più potenti borghesie degli stati confinanti. Queste ultime utilizzano le fazioni curde per tentare di indebolirsi a vicenda e per mettere le mani su un territorio ricco di petrolio; della questione di favorire la nascita di una nazione curda non gliene importa assolutamente niente, anzi è l’esatto contrario visto che esse stesse ne sarebbero penalizzate. In cima alla piramide a muovere le fila ci sono i grandi padrini imperialisti, gli Usa in primo luogo, seguono l’Europa, la Russia e la Cina.
  2. Il proletariato dei paesi più deboli subisce ancor più traumaticamente che in passato il progressivo imbarbarimento del capitalismo. I nazionalismi contribuiscono ulteriormente a creare un clima di smarrimento e ostacolano la ripresa di una prospettiva di classe.
  3. I rivoluzionari devono indicare ai proletari che qualsiasi nazionalismo è un loro feroce avversario, alla pari delle borghesie metropolitane. Non esiste altra via di emancipazione al di fuori del programma per il comunismo. La ripresa della lotta di classe e di una coscienza anticapitalista, soprattutto a partire dai paesi maggiormente industrializzati, è l’unico modo per catalizzare e convogliare le forze del proletariato internazionale, per sottrarlo dalle grinfie dei nazionalismi e dalle ciarlatanerie borghesi.
cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.