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Home ›Il socialismo «buono» e la riforma dell'imposta
Ci sono due specie di socialismo, il socialismo o buono» e il socialismo «cattivo». Il socialismo cattivo è la «guerra del lavoro contro il capitale». Sul suo conto vanno tutti gli spauracchi: eguale distribuzione dei terreni, abolizione dei vincoli famigliari, saccheggio organizzato e così via.
Il socialismo buono è «l'accordo fra capitale e lavoro». Al suo seguito si trovano la abolizione dell'ignoranza, l'allontanamento delle cause del pauperismo, lo stabilimento del eredito, la moltiplicazione della proprietà, la riforma delle imposte, in una parola: «il regime che più s'avvicina all'idea che l'uomo si fa del regno di Dio in terra».
Ci si deve servire del socialismo buono per soffocare quello falso.
«Il socialismo aveva una leva, che era il bilancio. Ma gli mancava un punto d'appoggio per scardinare il mondo. Questo punto d'appoggio, la rivoluzione del 24 febbraio gliel'ha dato: il suffragio universale»
La fonte del bilancio è l'imposta. L'influenza del suffragio universale sul bilancio deve quindi essere la sua influenza sull'imposta. E mediante questa influenza sull'imposta, si realizza il socialismo «buono».
La riforma dell'imposta è l'idea fissa di ogni borghese radicale, l'elemento specifico d'ogni riformatore borghese economista. Dai più antichi borghesi del comune medievale ai moderni fautori del libero scambio in Inghilterra, la battaglia principale si muove attorno alle imposte.
La riforma delle imposte ha lo scopo o d'abolire imposte tradizionalmente tramandate che intralciano la strada all'industria, o d'ottenere un'amministrazione meno costosa, o una distribuzione più uniforme. Il borghese insegue l'ideale chimerico della distribuzione uniforme delle imposte con zelo tanto maggiore, quanto più tale distribuzione gli sfugge in pratica dalle mani. I rapporti di distribuzione che poggiano direttamente sulla produzione borghese, i rapporti fra salario e profitto, profitto e interesse, rendita fondiaria e profitto, possono essere modificati dalle imposte al massimo in punti secondari, ma non possono mai essere minacciati nel loro fondamento. Tutte le indagini e i dibattiti sulla imposta presuppongono la stabilità eterna di questi rapporti borghesi, Anche l'abolizione delle imposte potrebbe soltanto affrettare lo sviluppo della proprietà borghese e delle sue contraddizioni.
L'imposta può favorire singole classi e premerne altre in modo particolare, come vediamo ad esempio sotto il dominio dell'aristocrazia finanziaria. Essa rovina soltanto gli strati intermedi della società fra borghesia e proletariato, la cui posizione non permette loro di addossare il peso della imposta ad un'altra classe.
Il proletariato viene spinto un gradino più in basso ad ogni nuova imposta; l'abolizione d'una vecchia imposta non eleva il salario, ma il profitto. Nella rivoluzione, l'imposta gonfiata a proporzioni colossali può servire come una forma dell'assalto contro la proprietà; ma anche allora deve spingere ad ulteriori misure, nuove e rivoluzionarie, a meno di ricondurre alla fine agli antichi rapporti borghesi.
La diminuzione, la più equa distribuzione ecc. ecc. della imposta, è la banale riforma borghese. L'abolizione della imposta, è il socialismo borghese. Questo socialismo borghese si rivolge particolarmente ai ceti medi industriali e commerciali e ai contadini. La grande borghesia, che già ora vive in quello ch'è per lei il migliore dei mondi, disdegna naturalmente la utopia d'un mondo migliore...
...Quel che resta della compagnia d'assicurazione del signor Girardin è la imposta sul capitale, in luogo della imposta sull'entrata e di tutte le altre imposte. Il capitale del signor Girardin non si limita al capitale impiegato
nella produzione, ma comprende tutti i beni ed averi mobili ed immobili. Ed egli celebra proprio questa imposta sul capitale:
«È l'uovo di Colombo, è la piramide che poggia sulla base e non nella punta, la rivoluzione senza rivoluzionari, il progresso senza regresso, il movimento senza urto, esso è infine l'idea semplice e la vera legge»
...Del resto, la imposta sul capitale come unica imposta ha i suoi vantaggi. Tutti gli economisti, e in ispecie il Ritardo, hanno dimostrato i vantaggi di una unica imposta. La imposta sul capitale come imposta unica elimina d'un colpo l'innumerevole e costoso personale dell'amministrazione delle imposte come s'è avuto finora, interferisce il minimo possibile nel regolare andamento della produzione, della circolazione e del consumo, e sola fra tutte le imposte colpisce il capitale di lusso.
Ma nel signor Girardin la imposta sul capitale non limita a ciò. Ha anche specialissime virtù di grazia. Capitali di grandezza uguale dovranno pagare allo Stato uguali percentuali d'imposta, tanto se danno d'entrata il sei, il tre per cento o nessuna entrata. La conseguenza è che i capi tali inattivi vengono messi in movimento, quindi aumentano la massa dei capitali produttivi; e che i capitali già attivi si sforzano ancor di più, cioè producono di più, in breve tempo. Il risultato dell'una e dell'altra cosa è la caduta del profitto e del saggio dell'interesse. Il signor Girardin afferma che allora aumenteranno profitto ed interesse un vero miracolo economico.
La trasformazione di capitali improduttivi in capitali produttivi e la crescente produttività dei capitali in genere, ha aumentato nel corso dell'evoluzione industriale il numero e la intensità delle crisi; ed ha abbassato il profitto e il saggio dell'interesse. L'imposta sul capitale può soltanto affrettare questo processo, inasprire le crisi e quindi moltiplicare l'accumulazione di elementi rivoluzionari.
«Non più rivoluzioni!...»
Karl MarxDa una recensione di Marx a Emile de Girardin, «Le socialisme et l'impot», Paris 1850
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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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Anno XXVI - Serie III - Secondo Semestre 1974
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