Arte e rivoluzione

L'arte come autocoscienza del reale

Seconda parte

Abbiamo visto come la concezione materialistica della storia abbia restituito all'arte, in sede teorica, una collocazione della sua autentica realtà in contrapposizione alle interpretazioni che le società di classe sin adesso succedutesi, in modo arbitrario, avevano dato.

Soprattutto ha restituito il fondamento delle sue effettive funzioni smascherando le finalità opportunistiche delle classi dominanti che l'avevano collocata su un piedistallo su cui, per propria ed intrinseca natura non può poggiare.

L'arte rappresenta così solo ed esclusivamente il mondo degli uomini rispecchiandone i segni della loro vita (delle relazioni e dei mezzi che mediano dette relazioni), della natura (nel ricambio materiale con la società ornano) e degli specifici rapporti di classe derivanti dal modo di produzione; essa conserva questa peculiarità quand'anche i motivi coscienti del suo nascere non abbiano quelle caratterizzazioni che abbiamo prima definito «di tendenza».

Insomma la sua essenza oggettiva influisce tanto quanto l'essenza soggettiva (l'artista), che la esprime e la determina da un punto di vista selettivo ed ordinatore, influisce sugli elementi reali del contenuto e della forma dell'opera d'arte.

Il concetto di «trascendenza» si trasforma pertanto in immanenza della realtà sotto forma di emozioni e di sensazioni umane oggettivate e la realtà dell'opera rispecchia una realtà sociale legata ai gradi e ai livelli di acquisizione teorica ed ideologica; ciò è legato al problema della oggettività e soggettività (19) la cui esatta interpretazione presuppone la «particolarità» come polo di riferimento del rapporto dell'opera con la realtà e della sua unità dialettica tra fattori soggettivi ed oggettivi (rappresentanti il principio animatore di questo stesso rapporto dialettico) e la «generalità» come dato storico, obiettivo, e le sue relazioni con la mente ordinatrice e selettrice, l'artista, che ha mediato tale rapporto.

Se sul piano oggettivo l'arte è di per sé «coscienza» del reale in quanto riflesso di condizioni inerenti al momento storico dato (nella fase della sua materializzazione), sul piano soggettivo essa può non avere queste peculiarità in quanto la «mente ordinatrice», pur essendo il mezzo con cui tale parzialità storica si manifesta, non necessariamente possiede tale coscienza individuale.

Infatti, il possedere tale coscienza darebbe l'avvio all'elaborazione di «procedure» culturali riferentesi immediatamente alla classe di appartenenza (appartenenza anche in senso strettamente ideologico).

L'arte manifesterebbe così, in ogni caso, le proprie specificità di classe (comunque possedute) e diverrebbe parimenti pregnante, in senso strettamente politico, ai fini della classe con cui si identifica; ciò si manifesta soprattutto nei periodi di transizione, quando cioè tanto più netta diventa la volontà trasformatrice e rivoluzionaria, tanto più feroce il suo opposto, la conservazione; in tale contesto l'arte diventa «autocoscienza» del reale e va a collocarsi laddove la sua pregnanza culturale trova motivi di riscontro, di sostegno e partecipazione attiva.

Il momento della «coscienza» è un dato di fatto che inerisce all'essenza dell'arte e prescinde dalla sua particolare collocazione politica; il momento dell'«autocoscienza» è, al contrario, un momento di estrema chiarificazione dell'artista che partecipa al processo di trasformazione (o al tentativo di conservazione) sul piano della propria soggettività che sì realizza, pertanto, in senso più necessariamente politico.

La rivoluzione russa rappresenta un esempio chiarificante di quanto detto: il momento dell'autocoscienza precedette la stessa rivoluzione, la sostenne, la seguì e con essa si rincartocciò allorquando si venne ad esaurire la spinta rivoluzionaria sotto i colpi della controrivoluzione montante. (Il suicidio di Majakovskij non è forse l'ultimo disperato grido della rivoluzione morente?).

Ma la rivoluzione d'ottobre, nel mentre che esauriva la sua creatività trasformatrice, assorbita da quell'ordine economico-sociale che s'andava imponendo, svelò altresì il concetto di partecipazione e l'utilità del settore culturale ed artistico ai fini del rafforzamento del potere. Il «realismo socialista» (20), il suo svilupparsi, spegneva sul piano culturale, le ultime braci della rivoluzione tradita; in un mare di demagogia, di populismo e di terrore.

Astrazione e oggettività storica

«L'astrazione della materia della legge di natura, l'astrazione del valore ecc., in breve, tutte le astrazioni scientifiche (corrette, serie, non assurde) rispecchiano la natura in modo più profondo, corretto e compiuto. Dalla vivente intuizione al pensiero astratto e da questo alla prassi: ecco il cammino dialettico della conoscenza della verità, della conoscenza della realtà oggettiva.» (21)

Con questa formulazione Lenin sintetizza, nel processo di astrazione, inteso come mezzo puramente «ragionevole» di analisi scientifica, il concetto di rispecchiamento che avviene nel divenire dialettico tra processo mentale (astrazione) e realtà oggettiva: come iniziale momento di acquisizione il primo (dall'intuizione al pensiero astratto), come fine del processo svolgentesi in direzione della prassi la seconda.

Ciò che noi abbiamo prima chiamato«autocoscienza» del reale si realizza e perviene ad una sua più completa definizione attraverso questo schema. Dalla soggettività pura, ma nata nell'ambito di strutture organiche obiettive, si realizza la conoscenza del concreto (22): un concreto che potremmo definire relativo in quanto «noi non conosciamo mai completamente il concreto. La somma infinita dei concetti generali, delle leggi, ecc. dà il concreto nella sua pienezza» (23).

Ogni tipo di gnoseologia borghese ha unilateralmente sottolineato la priorità dei singoli elementi del processo di intendimento della realtà; o di un solo modo di intendere la stessa, pervenendo a risultati mozzi e incompleti e, senza dubbio, falsi. Lenin invece dimostra come il cooperare dialettico nel processo conoscitivo sia il solo modo di avvicinarsi a detto intendimento aggiungendo che «il pensiero tratto dalla rappresentazione rispecchia anch'esso la realtà» (24) attenendosi scrupolosamente al principio della oggettività (che coglie il rapporto dei modi con cui l'uomo percepisce la realtà nel vivo del suo movimento).

Neanche il ruolo della fantasia viene pertanto sottovalutato; a titolo di esempio riportiamo un frammento esemplare del suo pensiero:

«L'accostarsi dell'intelletto (dell'uomo) alla singola cosa, il trarre da essa una copia (= concetto) non è un atto semplice, immediato, specularmente inerte, ma un atto complesso sdoppiato, a zig-zag, racchiudente in sé la possibilità del volo della fantasia della vita.. Infatti anche nella generalizzazione più semplice, nell'idea generale più elementare (il «tavolo» in generale) è contenuta una piccola dose di fantasia (viceversa: è assurdo negare la funzione della fantasia anche nella scienza più rigorosa).» (25)

Il sorgere della dialettica materialistica dalla prassi, i suoi legami con essa, la sua possibilità di verifica e, soprattutto, il suo ruolo primario in essa, stanno alla base per ogni esatta comprensione dell'essenza dialettica della realtà oggettiva e di essa nel processo di riflessione o rispecchiamento nella coscienza umana. In poche parole l'autocoscienza come oggettività si trasforma, nel particolare settore dell'attività rappresentativa, in arte, come oggettività storica (nel dato saliente in cui è stata espressa).

È solo apparente l'inconfrontabilità dell'opera d'arte con la realtà; la sua non specifica corrispondenza coi termini con cui il reale si viene a rivelare e a mostrare, riposa nel fatto che l'arte è realtà solo «di riflesso». Come ogni legge scientifica è strettamente interrelata alle altre in quanto momento di un unico processo conoscitivo; l'opera d'arte fa di questo momento il suo spazio vitale e «assoluto» e la sua dipendenza col processo di elaborazione teorico estetica prevarica (spesso) la soggettività dell'opera stessa per riferirsi costantemente ai suoi fattori oggettivi. In questa riproduzione creativa del reale l'opera d'arte diviene essa stessa reale e la sua efficacia si realizza e si completa nella misura in cui il fruitore, attraverso un processo di identificazione coi contenuti dell'opera, riesce a vivificarla ulteriormente apponendovi la sua sensibilità, la sua capacità di ricondurla concretamente nei confini della sua particolare, ma obiettiva, esperienza.

Tutte le determinazioni relative ai contenuti, nella loro unità (siano esse figure, avvenimenti, flash backs), devono apparire nelle forme più chiare, pure, dal punto di vista della loro capacità di rispecchiare la realtà; se appaiono come opposto astratto del mondo fenomenico immediatamente sensibile, se non appaiono quindi come qualità concrete, immediate, sensibili delle situazioni raffigurate, l'opera perde la sua concretezza allontanandosi da quel processo contrario e a se pertinente di arricchimento qualitativo del reale: in sintesi vi si nota contraddizione, il processo di identificazione si interrompe e l'opera d'arte appare come «falsa» nei confronti della sua stessa realtà rappresentata. Il fruitore non può abbandonarsi all'effetto e all'efficacia dell'opera venendo meno la sintesi tra le due singole esperienze entrate in reciproco conflitto permanente.

L'astrazione si finalizza in se stessa e i riferimenti con la realtà si isolano dal loro contesto storico; l'opera perde la sua dialetticità e diviene esternamente di pura soggettività alienata, di isolati «isterismi» individuali.

Il concetto dl partiticità

Sgombrato il campo dalle mistificazioni che vorrebbero «la produzione delle idee, delle rappresentazioni» come «categoria generale dello spirito» al di fuori dallo spazio storico e vitale in cui la stessa s'è realizzata, abbiamo osservato come le idee si sviluppano invece quale emanazione delle condizioni materiali esistenti. L'arte, particolare manifestazione dei processi di conoscenza umana, si sviluppa al pari con l'evolversi dei rapporti di produzione riposanti sul modo di produrre della società; in ogni caso, direttamente o indirettamente, è da essi dipendente.

Ma la società (oggi) che è divisa in due grandi schieramenti, quello borghese e quello proletario, non potrà che esprimere che due modi specifici, se pur con infinite interrelazioni, di produrre arte; quindi il concetto di partiticità nella sua prima fase riguarda le determinazioni (coscienti o non) di classe possedute dalle tendenze artistiche che in detto momento vengono espresse.

L'apartiticità della «vera» arte propugnata dai numerosissimi teorici e critici borghesi, oltre a possedere i requisiti del più gretto idealismo contemplativo, invita all'inattivismo, al non-impegno, (26) un'arte che non sia dichiaratamente di parte corre il rischio di venire integrata nel calderone della produzione intellettuale borghese a prescindere dai contenuti soggettivi che la contraddistinguono.

Così come esiste una tendenza collaterale (che vorrebbe essere opposta) propugnata dai sedicenti marxisti di tutto il mondo che vedrebbero il concetto di partiticità realizzato esclusivamente dal «realismo socialista». entrambi i casi osserviamo una alterata visualizzazione del problema: posto in termini di pura demagogia idealistica la prima; come opportunistica interpretazione della concezione marxistica del mondo la seconda. Ma entrambe ben ancorate alle ideologie specifiche di una stessa realtà (capitalistica) miranti alla conservazione del sistema.

A proposito della necessaria interrelazione tra idee e classi sociali, è illuminante il pensiero di Lenin che, circa la presunta indipendenza delle une nei confronti delle altre, così si esprime:

«Neppure una parola di questi professori, capacissimi di compiere i lavori più preziosi nei campi speciali della chimica, della storia, della fisica, etc., può essere creduta quando si tratta di filosofia (27).
Anche per ciò che riguarda la scienza della società - spiega Lukàcs a commento delle parole di Lenin su citate (riguardanti il problema della partiticità) -, dove le lotte di classe influiscono con molta maggior forza e immediatezza sul metodo della ricerca stessa (intesa come dialettico processo di conoscenza della realtà - n.d.a.) si deve dire per esempio che la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto è vera indipendentemente dalla natura degli interessi di classe che vengono mobilitati per combatterla; si deve dire che i dati di fatto stabiliti dall'economia o dalla storiografia sono veri o falsi e seconda che rispecchino la realtà oggettiva o rappresentino pure fantasie» (28)

Ma torniamo al compagno Lenin.

«Perché? - continua - Per la stessa ragione per cui non si può credere una parola d'uno dei professori di economia politica, capacissimi di compiere i lavori più preziosi nel campo delle ricerche speciali, quando si tratta del problema della teoria generale della economia politica. In quanto quest'ultima, proprio come la gnoseologia, nella nostra società contemporanea è una scienza di partito. I professori d'economia politica non sono altro, in linea generale, che sapienti commessi della classe capitalistica; i professori di filosofia non sono altro che sapienti commessi dei teologi» (29)

(I signori critici d'arte, «in linea generale» forse sfuggono a questa regola?).

Le suddette proposizioni di Lenin si fondano su una strettissima osservanza marxista: la partiticità deriva il suo significato dalle premesse relative alle caratteristiche di classe dell'opera d'arte, nonché alla specifica scoperta funzione di classe che la stessa riveste. La libertà assoluta dell'artista è pertanto una libertà illusoria che esiste solo nella propria coscienza, mentre il suo prodotto si cala necessariamente nella sfera degli interessi di classe.

Questa prima fase, che possiamo definire della non-coscienza, poggia su cause oggettive che sono (o possono essere) al di fuori dalla volontà dell'operatore artistico; la sua espressione di classe prescinde (o può prescindere) da prese di posizioni individuali in quanto rispecchia il suo mondo oggettivo con le sue intrinseche determinazioni ideologico-culturali di natura imprescindibilmente classista.

La seconda fase, quella della coscienza, si apre allorquando la posizione dell'artista non viene individuata solo in base a quel processo di identificazione della realtà in quanto rispecchiamento di essa tramite l'opera, ma soprattutto nel modo specifico usato dallo stesso nell'abbracciare la causa di classe sia essa borghese, sia essa socialista. In detto momento interviene la propria soggettività individuale e la partiticità «in ogni caso» si trasforma in pura determinazione di classe, in partiticità «volontaria».

Avviene pertanto un «salto di qualità» e il lavoro artistico si cala immediatamente nel vivo della battaglia ideologica di classe; la scelta cosciente prevale sull'impegno inconscio. E non si può che salutare positivamente tale «salto»: nell'attuale fase di declino del capitalismo, infatti, non fa altro che produrre energie nuove indirizzate sempre più chiaramente verso prese di posizioni (anche se blande o ancora confuse) di natura anticapitalistica.

Da questo momento l'artista comincia ad estendere il concetto di partiticità sino a riconoscersi, spinto da contraddizioni sempre più acute e dall'approssimarsi di situazioni oggettivamente rivoluzionarie, nel partito di classe.

Ma quale sarà la posizione dell'artista militante rivoluzionario? Esiste contraddizione tra creatività e militanza rivoluzionaria? Cerchiamo di chiarire.

«L'artista, che a modo suo, giunge alla visione del mondo rappresentata dal partito comunista, non soltanto ha il diritto di auto-orientarsi e di ricercare e asserire sempre la verità, rifiutando il falso, ma sente questo diritto come imprescindibile necessità. Ciò si applica anche, anzi soprattutto, all'artista che è membro di un partito. La disciplina di partito impone all'artista degli obblighi, come a qualunque altro suo membro, tuttavia l'artista, al tempo stesso, ha degli obblighi come ogni intellettuale di partito, come ogni creatore, verso il proprio pensiero indipendente, verso l'espressione della sua personale realtà. Il partito gli accorda un voto di fiducia, inter alia, perché un artista arricchisce la cultura socialista con la sua visione individuale, come ad esempio ha fatto Gorkij con il romanzo La madre.» (30)

Il pensiero di Morawskj, che tiene conto dell'esperienza del Partito bolscevico negli anni della rivoluzione, è in questo passo tendenzialmente corretto e risponde, in parte, ai quesiti che ci siamo posti (31).

Creatività e militanza rivoluzionaria non sono in antitesi fra loro, ma possono convivere implicandosi vicendevolmente nella dialettica del centralismo democratico, anche se l'arte, come afferma Lenin, «è l'ultima cosa al mondo che si presta a un livellamento meccanico e all'uniformità». Ma in fondo è proprio tale specifica caratteristica che fa ancora parlare Lenin di «grande libertà» degli artisti, pur nella disciplina ferrea del partito: libertà che si realizza, nella misura in cui l'artista da una parte impegna se stesso, in quanto tale, nella lotta per il socialismo (intesa come disponibilità della creatività in senso critico e realista: arte seria, «appartenente al popolo», come spiega ancora Lenin, e non «menzogna» comunista ossia idealizzazione della vita socialista) e il partito, dall'altra, che realizza una propria «creatività» con l'apporto determinante degli intellettuali rivoluzionari (ma siamo qui in una fase avanzata della costruzione del partito di classe e quindi in una situazione oggettiva prossima e vicina all'assalto rivoluzionario), in una sorta di osmosi tendente a realizzare le basi di decollo della cultura del proletariato che comincerà concretamente a realizzarsi solo con l'esercizio della propria dittatura politica-economica di classe.

Arte e socialismo

La rivoluzione sociale è la base da cui si diparte la fase storica della dittatura del proletariato, mezzo col quale la classe operaia realizzerà le sue aspirazioni all'emancipazione totale dell'uomo.

È solo questa la fase in cui le classi precedentemente subordinate attraverso il «rivoluzionamento» della struttura della società e con l'esercizio di una politica di consolidamento e di sviluppo delle conquiste della rivoluzione, esprimeranno processi culturali propri, in coincidenza ai gradi di emancipazione raggiunta.

Ma i processi che verranno espressi in questa nuova fase della storia non avranno un inizio autonomo e indipendente, ma dipenderanno, fino al superamento di tale dipendenza, dalle basi già venutesi a definire nei periodi di transizione politica al socialismo, cioè nelle situazioni di putrescenza e di decomposizione del capitalismo che, mentre avviava il suo decorso storico verso il decadimento e la propria fine, favoriva altresì il nascere e il consolidarsi di valori alternativi, già obbiettivamente rivoluzionari: la base di decollo della cultura proletaria nata come prodotto e mezzo della lotta di classe.

È chiaro come venga ad assumere importanza l'estensione della dittatura del proletariato sino alle sfere della cultura, il dominio sulla quale è condizione quanto mai necessaria per l'integrazione (o il superamento) di essa nei valori culturali espressi, ora, dal proletariato classe egemone della società.

Già la borghesia e le classi dominanti ad essa antecedenti avevano chiaramente dimostrato quanto, ai propri fini, fosse di «utilità» e rispondesse bene agli ideali della conservazione di classe il dominio sulla cultura; s'era già collaudata l'efficacia ritardante da essa assunta, se ben manovrata, nel processo di avanzamento delle classi rivoluzionarie e, per contro, possiamo anche storicamente verificare come, in situazioni specifiche, si sia rivelata in funzione accelerante ai fini di tale avanzamento.

La classe operaia vittoriosa pertanto, nell'immane sforzo di edificazione di una cultura di classe in grado di realizzare pienamente l'umanesimo socialista, dovrà necessariamente attingere a tutte le forze operanti nelle sfere della cultura e che sono già obbiettivamente su un piano di classe.

Al contrario, dovrà riconoscere come nemici, coloro i quali non hanno operato il «salto», ne, tanto meno, si siano dimostrati propensi a compierlo. In una società così vivamente impegnata dal punto di vista della sua trasformazione rivoluzionaria, ogni dissenso va estirpato alla radice in quanto, rispondendo ad interessi di classe opposti, non è mai fine a se stesso.

«La dittatura del proletariato non è un'organizzazione culturalmente produttiva di una nuova società, ma un ordinamento rivoluzionario di lotta per ottenere quella società.» (32)

Lo stralcio di Trotskij, qui riportato, chiarisce come non la cultura sia alla base della trasformazione socialista della società, ma un mezzo per realizzare una società di nuova cultura; ha comunque evidenziato l'importanza nel momento in cui questa diventa espressione di tutta la società.

Ma la realizzazione di tale società ha presupposti lontani poiché:

«La classe operaia ... non ha utopie belle e pronte da introdurre par décret da peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per le lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese.» (33)

La nuova società, i cui presupposti esistono già nelle cose, attende dialetticamente la sua realizzazione; o meglio, per dirla con Marx, gli elementi di essa che premono sulla vecchia struttura, verranno liberati allorquando si realizzeranno le condizioni oggettive per compiere l'assalto rivoluzionario. La lotta di classe entra in una nuova fase ed assume essenzialmente caratteristiche di difesa delle conquiste politiche della rivoluzione nel mentre che tutto si predispone all'avvio del socialismo sottraendo il potere economico alla vecchia classe mediante l'espropriazione e la socializzazione dei mezzi di produzione. Lo sviluppo della dittatura, contemporaneamente, spinge ad un poderoso accentramento tendendo allo svolgimento dialettico di quel processo di graduale estinzione di tutti gli organismi politici ed amministrativi preposti all'esercizio della dittatura e, con essi, della stessa dittatura.

L'arte seguirà questi processi al pari di qualunque altra forma di lotta ideologica sino a corrispondere agli interessi di tutta la società. Solo in questa fase cesserà di possedere le attribuzioni di classe che durante tutto l'arco storico della dittatura necessariamente ne sono un requisito imprescindibile. Quando si saranno realizzate cioè le autentiche aspettative dell'uomo, non più schierato per classi ma integrato in una società di liberi e di eguali; quando i concetti di sfruttamento e di alienazione saranno soltanto oggetto di studio o curiosità individuali di un'era lontana per epoca e per concezione.

L'arte, in quanto movimento interno alle «cose», e tutte le forme di cultura, dovranno partecipare a questo processo di liberazione con un ruolo particolarmente importante al fine di divenire un bene comune col quale l'uomo potrà migliorare se stesso in una società altamente perfettibile. E concludiamo con Marx ed Engels:

«In una organizzazione comunistica della società in ogni caso cessa la sussunzione dell'artista sotto la ristrettezza locale e nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e la sussunzione dell'individuo sotto questa arte determinata, per cui egli e esclusivamente un pittori , uno scultore, ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro. In una società comunista non esistono pittori, ma tutt'al più uomini che, tra l'altro, dipingono anche.» (34)

Franco Migliaccio

(19) Detto problema non va frainteso con quello che era alla base del pensiero estetico che aveva quale punto di riferimento i due estremi, falsi, dell'universalità e della singolarità: dogmatica la prima, intrisa di «agnosticismo estetico» la seconda.

(20) Il Realismo Socialista fu la tendenza artistica nata e sviluppatasi (e ben viva ancora) nel periodo staliniano. Riprendendo il concetto di «partitici» dell'arte (che i senso leninista significava piena conoscenza dell'uomo in tutta la gamma delle contraddizioni reali della vita, del suo movimento storico), si cercò di dare un carattere «popolare» all'arte asservita agli interessi del nuovo sistema che andava sorgendo dalle ceneri della rivoluzione proletaria d'ottobre. Fu una vera e propria arte di stato, imposta dall'alto, soffocante in modo sistematico la creati-vita rivoluzionaria delle ultime avanguardie bruscamente liquidate. Ne risultarono opere squallide, dai contenuti agiografici; brutte oleografie eseguite con metodo simile a quello usato per «l'ilustrazione dell'articolo di fondo del giornale letto il giorno prima». Coscienti che per una sua specifica natura e il realismo conferisce un'immensa forza ad ogni opera d'arte. (George Menyuk), i centri di potere neo-capitalistici (di stato) sovietici imposero un realismo inteso «come fotografia e come semplice stampa popolare»: fu il trionfo dell'apologia, della celebrazione, del culto della personalità rappresentata, degli stereotipi che niente avevano di «reale» e tantomeno «socialista». Il fenomeno non si arrestò, chiaro, con la morte di Stalin: il XXII congresso dei PCUS riaffermò a chiare lettere che si sarebbe dovuto perseguire e consolidare nell'arte il «realismo socialista basato sui principi del carattere popolare e della partiticità...».

Un analogo risultato derivante dalla costrizione i cui era stata imprigionata la creatività artica da parte dell'ideologia ufficiale di stato, si ottenne nella Germania nazista. A parte la coincidenza storica (le avanguardie in Russia vennero liquidate da Stalin mentre il nazismo faceva chiudere il Bauhaus), il realismo del periodo hitleriano (il cosidetto «iporealismo») possedette anch'esso i requisiti della falsità e della demagogia populista. Certamente cambiavano i termini del discorso figurativo ma non i presupposti alla base dell'operazione. Largheggiò la produzione di giovani aitanti simboleggianti il partito, il lavoratore (e la purezza della razza ariana), vuote figure-tipo coi tratti somatici della millanteria visiva dell'estetica e della mistica nazista.

Nel contempo,negli Stati Uniti, si sviluppa. L'imagerie edificante del New Deal; con grande impeto pompieristico venivano esaltati i valori della civiltà e della democrazia americana. Una tradizione mai venuta meno in America che passando attraverso fasi alterne e complesse arriva al cosiddetto «iperrealismo». Come i suoi antenati realismi questo movimento «fotomaniaco» ci rappresenta la realtà «cosi com'è» (ma solo dal lato dell'effetto e della forma). Anzi ce la presenta «cosi com'è» dal punto di vista della fotografia. Nella loro puntigliosa opera di riproduzione gli iperrealisti americani danno immagini però desolanti) non è ancora intervento critico ma per lo meno non hanno la pretesa di dire la «verità»; ce la raccontano, invece, partendo dal falso (la fotografia) come presupposto. Una dimostrazione del come noi ci siamo abituati a vedere la realtà: non direttamente ma attraverso l'effetto di una manipolazione meccanica. «La falsità non è dichiarata, è esercitata surrettiziamente» (Umberto Eco).

Tutte le opere di detti movimenti e tendenze, a parte rare eccezioni, vanno guardate non come opere d'arte ma per quello che realmente sono: strumenti di persuasione di massa.

(21) V.I. Lenin, Quaderni filosofici, Roma, Editori Riuniti 1969, pp. 157-158.

(22) «Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni ed unità, quindi del molteplice. Per questo esso appare nel pensiero come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, benché sia l'effettivo punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell'intuizione e delta rappresentazione».

K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1969, p. 189.

(23) V.I. Lenin op. cit. 281.

(24) Idem, p. 212.

(25) Idem, p. 374.

(26) Un precedente illustre è costituito dalla teoria kantiana del disinteresse.

(27) Lonit, Materialismo ed empiriocriticismo Milano, Edizioni Sapere 1970. p. 277.

(28) G. Lukacs. Arte e società, Roma, Editori Riuniti, 1972, vol. II; p. 88.

(29) V.I. Lenin, op. cit. p. 277.

(30) S. Morawski, Il Marxisrno e l'estetica, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 315-316.

(31) È facile altresì notare, da un punto di vista marxista, nel pensiero di Morawski, pecche di natura ideologica: visione romantica dell'artista con i suoi «diritti» e «necessità» imprescindibili; uso improprio e assolutistico del termine «verità»; eccedente importanza attribuita all'individualità dell'artista; nonostante che, in definitiva, poi affermi che si debba privilegiare «la disciplina di partito e non la libertà dell'artista».

(32) L.Trotskij, Literatur und revolution, Vienna, 1924, pp. 119-120.

(33) K. Marx, La guerra civile in Francia, in K. Marx - F. Engels, Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 913,

(34) K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1958, pp. 383.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.