Noi e il Sindacato

Problemi del lavoro

Nel corso dell'autunno caldo il sindacato ha collaudato se stesso come forza ed istituzione del capitalismo

Il problema sindacale si presenta oggi come un grosso nodo, una questione con la quale è necessario fare i conti se si vuole inserire, là dove opera il proletariato, nella fabbrica, una parola di chiarificazione rivoluzionaria.

Abbiamo sempre sostenuto che la questione sindacale, proprio per la connessione che essa ha con i problemi politici, ha una importanza fondamentale e la complessità della fase attuale lo dimostra. Non è cioè possibile muoversi in senso politicamente rivoluzionario senza avere ben chiari i termini di questo problema e non è possibile che la mancanza di tale chiarezza non finisca per favorire obiettivamente le forze che operano sul fronte del capitalismo.

Cercheremo perciò, anche se brevemente, di fissare alcuni punti e di esaminarli. Emergono tre aspetti che sono:

  1. il ruolo del Sindacato;
  2. il ruolo del proletariato;
  3. i gruppi extrasindacali ed extraparlamentari.

È evidente che non sono tre cose indipendenti e distinte le une dalle altre, ma che sono strettamente connesse. Riteniamo inoltre che proprio la comprensione o l'incomprensione dell'uno o dell'altro di questi aspetti o di tutti e tre insieme sta alla base di quel fermento fatto di confusione e al contempo di ricerca di un orientamento che caratterizza le vicende politiche, specie per quei raggruppamenti che proprio con l'autunno caldo hanno dovuto fare i conti, chiudendo spesso, e purtroppo, con un bilancio in passivo. Ciò non poteva mancare, come vedremo, di verificarsi. Le nostre posizioni ed il rigore critico che esse esprimono non intendono comunque darsi una continuità sul piano della astrazione o meglio della estraneità a ciò che accade, ma intendono inserirsi con la loro precisa caratterizzazione nel fuoco di una polemica che oggi non è possibile eludere.

Tattica e strategia del sindacato nella conduzione delle lotte

Non intendiamo soffermarci sulle vicende episodiche che hanno costellato, a volte anche drammaticamente, le lotte e le agitazioni dello scorso autunno. In questo senso una cronaca più aggiornata può essere offerta dalla nostra stampa mensile. Ci fermiamo invece ad analizzare gli obiettivi strategici del Sindacato e le sue conseguenti scelte tattiche. Il Sindacato, inserito nel contesto del capitalismo così come è uscito dalla II guerra mondiale, deve fare i conti con un processo di ristrutturazione industriale su un piano tecnologico sempre più avanzato che impone alla classe operaia tutto il peso di una celere fase di trasformazione e di aggiornamento che è propria del capitalismo che vive nella misura in cui rinnova di continuo i suoi apparati produttivi. L'intensificarsi ed il dilatarsi di questa spinta non è propria solo del periodo di ricostruzione post-bellica, ma è dato permanente del capitalismo in quanto esso è impegnato di continuo nella ricerca di nuove risorse, di nuove tecniche produttive, di nuovi strumenti tecnici per manipolare le materie prime, che poi puntualmente supera e distrugge nella ricerca di nuovi metodi di espansione. È un processo che avviene tra lacerazioni e squilibri, che porta a ritmi di lavoro sempre più esasperanti ed a sperequazioni sempre più evidenti. Sintetizzando diremo che è un processo che tende ad approfondire e ad esasperare le contraddizioni che sono insite nel capitalismo come forma di produzione. Infatti, proprio l'allargarsi del capitalismo ad ogni parte del mondo, la velocità con cui vengono create e bruciate risorse, inadeguate nel giro di pochissimo tempo, e che potrebbe sembrare un sintomo della inesauribile possibilità del capitalismo di riprodursi e perpetuarsi, sono le ragioni obiettive che ne preparano nella dinamica della storia, la distruzione. Infatti, perpetuando se stesso, il capitalismo riproduce, diffonde, accentra anche il proletariato industriale, cioè la forza di contraddizione che .esso genera nel seno stesso del suo sistema di produzione. È una forza che il capitalismo non può estirpare da se stesso, senza cessare con questo di essere tale. Esso deve, perciò, coesistere con essa, agganciarla alla sua esperienza. È questa una necessità vitale del capitalismo per prolungare la sua conservazione ed essa è tale da richiedere strumenti atti a realizzarla tanto in sede economica quanto sul piano della organizzazione politica.

La socialdemocrazia, così come l'unità sindacale, sono appunto due espressioni di una esigenza insita nel neo-capitalismo. Il Sindacato nel corso degli scorsi anni, è dunque venuto a conformarsi a questa necessità man mano che essa maturava anche in seno alle forze politiche del capitalismo stesso. Non dobbiamo infatti pensare che i processi che avvengono nel rostrato economico attuale siano immediati o privi di contraddizioni. Gli alti e bassi che caratterizzano la fase attuale, ad esempio, i rigurgiti reazionari non sono altro che l'espressione a livello sovrastrutturale di quelle forze economiche più arretrate che costituiscono un retaggio ancora pesante nella realtà della economia italiana e che proprio nella misura in cui vedono restringersi lo spazio di manovra - e di conseguenza il peso politico loro concesso - si arroccano su posizioni che si esprimono nelle forme più retrive. Nei settori più avanzati del capitalismo industriale è invece ben presente il ruolo di fiancheggiamento indispensabile che il Sindacato può giocare nelle lotte; sta a dimostrarlo la gestione illuminata di Agnelli alla Fiat, dove si opera per ridare credibilità ad un sindacato che la gestione più retriva di Valletta aveva esautorato in tutti i modi.

Di fronte all'autunno caldo i settori più avanzati del neocapitalismo sono concordi nel riconoscere al Sindacato il ruolo di interlocutore valido a patto che sia effettivamente in grado di garantire il contenimento del proletariato e delle sue lotte. Questo il compito che il capitalismo delega al Sindacato ed il Sindacato che noi analizzammo alla vigilia dell'autunno caldo, ha assunto da tempo questo ruolo e si prepara a realizzarlo in una esperienza a carattere nazionale che investe gli interessi di migliaia e migliaia di operai.

Riprendiamo da "Battaglia" alcuni brani che mettono a fuoco i problemi ben vivi in questa fase:

Tutto l'apparato dei Sindacati, e non solo in Italia, è mobilitato per salvaguardare gli interessi di quella che da tempo ha cessato di essere una controparte per diventare sempre più un potere da cogestire. A questo fine anche gli interessi più elementari del proletariato vengono dissolti in vertenze spezzettate, in azioni settoriali o di reparto, in astensioni simboliche e soprattutto innocue, dal lavoro. Ma i Sindacati si trovano ora in una fase estremamente delicata. Da una parte il ruolo determinante che rivestono al fine della conservazione di un sistema che tenta di arginare la piena delle sue contraddizioni, compito, questo, che può essere assolto solo premendo sul proletariato, contenendo i fenomeni che possono mettere in crisi il processo produttivo e limitare i profitti. Dall'altra parte c'è l'esigenza di far buon viso a una classe operaia su cui la pressione del sistema si esercita sempre più crudelmente. Una classe operaia cioè che sente sulla sua pelle l'accentuarsi delle contraddizioni e che è matura per esplosioni, sia pure soltanto a livello episodico. Le lotte che sono in corso da ora e che investono grossi complessi industriali quali la Fiat e la Pirelli hanno già assunto questa duplice caratterizzazione.
Avevamo previsto che la tattica dei Sindacati avrebbe dovuto tener conto di quella scomoda entità che è il proletariato. Questo si è puntualmente verificato nella sterzata che il Sindacato ha operato per riagganciare una base recalcitrante e per fornire argomentazioni meno evanescenti ai sostenitori del Sindacato attuale visto come organismo effettivamente operante sul piano della lotta operaia. Fanno perciò la loro comparsa parole d'ordine quali “no alle trattative a sciopero interrotto” (finora si parlava di “no allo sciopero a trattative iniziate” ecc.). Lo scopo è di dare agli operai l'illusoria convinzione di opporre una resistenza senza cedimento al padronato che sarà per contro costretto a piegarsi. di creare una psicologia, o meglio, una psicosi di lotta (sotto la guida delle tre centrali) usando al tempo stesso proprio di queste lotte come dell'arma migliore per portare, di fronte alle scadenze contrattuali, un proletariato esausto, disarmato ed economicamente in perdita. È questo l'aspetto più drammatico che scaturisce dagli attuali fermenti rivendicativi e dal sacrificio che queste lotte impongono al proletariato italiano.

Ci sembra che queste righe sintetizzino una analisi della tattica sindacale che può essere generalizzata e ritenuta valida per tutto il corso delle agitazioni fino alla conclusione con le firme dei contratti:

La tattica falsamente agitatoria che i sindacati avevano adottato rispondeva ad un duplice scopo: stancare le lotte operaie per inserire facilmente le proposte concordate e mantenere agganciata la base operaia emarginando le forze disposte a mettersi su un piano di critica al Sindacato. Ora, infatti, dietro questa facciata, si inizia ad inserire la soluzione corporativa, cominciando così a eliminare dalla “scena” delle vertenze uno dei settori in agitazione: gli edili. L'eliminazione via via delle varie categorie, sul piano delle soluzioni contrattuali, sarà il prossimo sviluppo della tattica adottata dalle tre centrali (novembre '69).

Così è stato infatti. Ci pare che questo veloce esame sia stato sufficiente per approfondire certi aspetti dell'autunno caldo. Ma per esaurire l'argomento, così come lo poneva il titolo, ci resta da puntualizzare i fini strategici della condotta politica sindacale. L'obiettivo strategico dell'autoconservazione, che è comune a tutti i fronti dello schieramento capitalista, non si realizza mai in modo pacifico; comporta, invece, nella misura in cui sono forti e complessi gli interessi in gioco, una lotta aspra, una concorrenza spietata e senza esclusione di colpi.

Le vicende politiche degli ultimi mesi sono appunto di questa natura e tutto sta a indicare che la fase di queste lotte intestine non è chiusa.

Nei conflitti, interni al capitalismo e che indicavamo anche prima, tra forze avanzate e meno avanzate si inserisce ora il sindacato. Non solo un ruolo di fiancheggiamento, quindi, nel senso dell'avvallo alla programmazione, ma una pressione per gestire alla pari con altre componenti l'economia statale.

La strategia del Sindacato è volta ora ad inserirsi con un peso sempre più forte nella società civile. Esso porta in dote proprio il crisma di forza legalmente riconosciuta che gli deriva dalla capacità di contenere le masse operaie nelle loro spinte. Ma ora, finito il tempo delle garanzie da fornire al padronato, il sindacato allarga la sua azione investendo temi politici più ampi. Contemporaneamente all'aumento del potere sul piano dei rapporti aziendali aumenta la pressione sui centri di potere e sullo Stato, così come sui lavoratori stessi. Lo "Statuto dei Lavoratori" (v. "Battaglia Comunista", dicembre '69) può fornire una valida indicazione in questo senso. Una riprova ancora più evidente sono i "Temi per il dibattito precongressuale della FIOM". In esso sono fissati i punti di questa strategia di potere, anche se, con pudicizia, esso viene chiamato in causa come "potere dei lavoratori":

  1. Strategia per la conquista di un nuovo potere operaio nella fabbrica.
  2. Strategia per un nuovo potere nella società: obiettivi generali e di riforma.

Lasciamo ai più fantasiosi immaginare come sia possibile ai lavoratori conquistare un qualsiasi potere in fabbriche che continuano a produrre "capitalisticamente" e in una società che è "capitalista". È piuttosto interessante rilevare come il tema delle riforme ricorra in modo ossessivo, tanto prima quanto, naturalmente, dopo il Decretone. Analizziamo in breve la profondità di questa mistificazione: la politica delle riforme è sempre stata tradizionalmente l'arma per illudere le masse e incapsularle nell'attendismo; se tutt'al più una gestione illuminata potrà abbandonarsi a concederne alcune, nell'insieme, però, esse gravano sui lavoratori le cui condizioni complessivamente peggiorano. Quanto era stato strappato ai contratti (e che già era nella maggior parte dei casi insufficiente a reintegrare la perdita di salario totalizzata con le ore di sciopero) è stato ulteriormente decurtato dagli inasprimenti fiscali, che erano facilmente prevedibili, senza che niente sia intervenuto a operare per difendere e cautelare le già magre conquiste dell'autunno. Questa è oggi la situazione dei lavoratori italiani ai quali i sindacati si sono ben guardati di dire prima che ciò che il padrone dà con una mano, toglie sempre con l'altra e che fino a che dura il capitalismo sarà sempre così. A questa realtà oggettiva, realmente drammatica per le famiglie operaie le cui condizioni, valutate senza pietismo, sono spesso inumane e che perciò stesso possono sfociare in episodi di violenza incontrollata, si oppone la scelta del riformismo che il sindacato assume senza riserve come bandiera della sua politica "sociale". Proprio il riformismo, che tutti i pensatori marxisti e il marxismo militante hanno bollato come lo strumento più idoneo a tradire le masse operaie, perché dilazionando i tempi della rivoluzione, perpetua le cause dello sfruttamento, è il mezzo con cui il Sindacato intende prospettare ai lavoratori un maggiore potere! La verità è ben altra: il sindacato, aggiudicandosi l'uso di questa arma di conservazione intende aumentare il suo peso politico ed economico in seno ai centri di potere e tende al tempo stesso ad allargare la sua influenza tra le masse che, illuse di potere ottenere ancora qualche cosa senza pagarlo di persona, vengono un'altra volta colpite e tradite. Usate.

Rimane ancora il punto della nuova struttura che il sindacato intende darsi per adeguare se stesso a queste molteplici esigenze. È necessario cioè portare proprio all'interno dell'apparato sindacale la illusione della possibilità degli operai di dirigerne le scelte: vedremo che cambia la forma ma non certo la sostanza; ma dato che nella maggior parte dei casi queste "forme nuove" sono il frutto di esperienze manovrate da forze di natura extrasindacale, affronteremo in seguito questo problema, non secondario.

Il ruolo del proletariato nel corso dell'autunno caldo e i riflessi nella fase attuale

Tutto quanto abbiamo detto fino ad ora serve a confermare un punto fermo della nostra piattaforma sindacale: noi abbiamo individuato nel sindacato un fronte del capitalismo "che non potrà essere spostato a favore della classe operaia, ma potrà essere solo spazzato via assieme alle altre strutture del capitalismo; il momento in cui salterà l'apparato sindacale è destinato a coincidere con l'assalto rivoluzionario del proletariato". Se questo puntualizza il compito che spetta al proletariato rivoluzionario, nei confronti del sindacato, puntualizza anche i tempi in cui esso verrà assolto e cioè il momento dell'attacco frontale del proletariato al capitalismo.

È chiaro quindi che in questa fase in cui il proletariato è ancora oggetto della storia, ciò non può verificarsi. D'altra parte da quanto abbiamo detto fino ad ora emerge un'altra constatazione che va intesa dialetticamente: se il sindacato svolge una funzione di conservazione del capitalismo, esso svolge anche una funzione antioperaia e porta con sé e vive fino in fondo le contraddizioni del capitalismo stesso. Man mano che questa funzione si radicalizza, essa non può mancare di produrre negli elementi più sensibili della classe operaia uno stato di disagio. È un fenomeno questo che abbiamo tempestivamente indicato e seguito con attenzione e con vera passione. Pensiamo che anche per questo aspetto sia interessante riprendere alcuni passi da Battaglia Comunista:

Il sindacato si trova in una posizione alquanto scomoda: da una parte vi sono le sue responsabilità di cogestore del potere capitalista al quale ha legato ormai le sue fortune. Dall'altra c'è una base operaia che rappresenta interessi antagonistici alla funzionalità di una economia basata sul profitto, sull'estrazione del plusvalore, sul lavoro salariato. Esiste quindi obiettivamente una situazione di equilibrio assai precario in cui, qualora le organizzazioni sindacali perdessero il treno, potrebbero verificarsi clamorosi episodi di scavalcamento dei sindacati stessi. Situazioni di questa natura, sia pure isolate ed episodiche, si sono già verificate e sono destinate a ripetersi e a moltiplicarsi.
... Vi sono sintomi di risveglio, sia pure tenui, della classe operaia che avverte questo stato di disagio. Evidentemente, se la grande maggioranza della classe operaia subirà la logica della politica sindacale, la minoranza più sensibile e combattiva darà vita e sarà attratta da iniziative di natura extra-sindacale.
Attualmente esistono i sintomi che indicano che la classe operaia, sia pure nella forma della protesta e del malcontento generico, avverte e riflette le lacerazioni che esistono nel tessuto capitalistico. Siamo ancora ben lontani dall'avere di fronte un proletariato che nel suo complesso percepisce le contraddizioni fondamentali del capitalismo a livello di coscienza destinata a tradursi nella rottura rivoluzionaria, violenta del sistema. Siamo invece nella fase in cui il proletariato subirà nella sua maggioranza la inevitabile capitolazione e il conseguente rifluire delle lotte in corso, ma se ciò è vero per la grande massa, noi dovremmo essere ciechi per non vedere e non renderci conto che il risveglio lento, ma eloquente di cui parlavamo prima, interessa una parte limitata della classe operaia, gli elementi più sensibili. Al rifluire delle situazione saranno appunto i pochi a tradurre su un piano di effettiva adesione la simpatia espressa per le nostre posizioni.

A chi ci accusa di "archiviare" il proletariato come integrato tout-court al sistema rispondiamo che abbiamo denunciato con tempestività che, per inciso, precede anche il novembre del '69, i fenomeni di ripresa del Movimento Operaio in Italia ed internazionalmente. E ciò scaturisce dalla realtà oggettiva del capitalismo putrescente che non poteva mancare di tradursi dialetticamente nei fermenti che si sono manifestati in alcuni elementi della classe operaia, e vogliamo sottolineare con forza questa delimitazione. Se infatti questa considerazione scaturisce da una interpretazione marxista, della realtà del capitalismo, sarebbe invece un vizio idealista e ingenuità politica il vedere generalizzate queste spinte a tutta la classe. Marx, nella Miseria della Filosofia chiama classe "in sé" una classe che non ha ancora coscienza di se stessa; chiama classe "per sé" una classe che ha già preso coscienza del suo ruolo sociale e opera quindi una netta distinzione.

Attraverso le battaglie storiche che ha combattuto, il proletariato ha espresso internazionalmente la sua dottrina e la sua ideologia che si sono concretizzate nella organizzazione e nella esperienza politica del partito di classe, che di questa stessa classe è una parte. Fino a che il proletariato non avrà ritrovato la saldatura con il partito che individua ed esprime i suoi interessi storici e che è quindi l'unico in grado di porre il proletariato sul terreno della loro realizzazione, non possiamo avere un proletariato che si muove sul piano delle realizzazioni proprie alla sua classe. Abbiamo però un capitalismo che porta con sé le condizioni oggettive dello sfruttamento e quindi le condizioni oggettive per la maturazione di quei quadri che, anche nella realtà di oggi, si saldano alle tradizioni di classe del proletariato e lavorano per operare quella saldatura, che è condizione indispensabile per riportare il proletariato ad agire come classe per sé nella storia.

Così ci siamo posti di fronte ai fenomeni dell'autunno caldo. Lavorando con i compagni più idonei a cogliere questi problemi, allargando su altri la nostra influenza; denunciando dall'altra parte il ruolo che il proletariato "nella sua maggioranza" rivestiva: quello di strumento utilizzato dai partiti politici e dai sindacati come mezzo per realizzare degli obiettivi di potere che sindacati e partiti stessi volevano realizzare in quel gioco delle parti che continua tuttora. In questo quadro la classe operaia ha funzionato da strumento di ricatto, di pressione politica, oppure all'occorrenza, da merce di scambio per contrattare periodi di tregua e di rilassamento della tensione sociale.

La tattica usata nel corso dell'autunno caldo funziona ancora egregiamente anche perché non sono venute meno le ragioni del malcontento (au mento dei prezzi ecc...) e quindi il materiale umano su cui far leva.

Dall'autunno caldo, dunque, le nostre posizioni emergono confermate dai fatti, non così si può dire di molte frange politiche per le quali esso ha segnato un momento di disgregazione.

I gruppi extrasindacali ed extraparlamentari di fronte all'autunno caldo

Se prima abbiamo sottolineato l'importanza di valutare esattamente la fase storica attuale che vive il proletariato è perché proprio dalla sua falsa interpretazione scaturisce l'errore che ha portato tanto i vari raggruppamenti. quanto singoli militanti al disfacimento e alla crisi, non senza pagare quel tributo di sostegno al capitalismo e alle sue istituzioni che viene puntualmente versato da tutti coloro che affondano nell'opportunismo e nella confusione.

L'errore è consistito nel generalizzare alla classe operaia nel suo complesso quei fenomeni critici che indicavamo più sopra come propri a limitati settori; e ancora, nello scambiare per volontà di realizzazione rivoluzionaria, impossibile senza le condizioni che ponevamo prima, le esplosioni violente che hanno costellato l'autunno caldo e che si prolungano a tutt'oggi. Da quest'ultima distorsione discendono due ulteriori errori:

  1. lo scambiare per rivoluzionaria e "cosciente" l'azione del proletariato, ha portato ad assumere acriticamente le esperienze di fabbrica per il solo fatto che erano, appunto, "esperienze di fabbrica";
  2. per logica conseguenza, si è finito col disperdere un materiale umano realmente incandescente e aperto alla assimilazione di una linea politica rivoluzionaria realmente orientativa, purché portata avanti con costanza.

Questi aspetti negativi sono presenti tanto all'inizio quanto dopo l'autunno caldo. Possiamo piuttosto operare questa distinzione: sull'esempio della esperienza di maggio in Francia, che era sperabile venisse masticata meglio dagli epigoni nazionali per cogliere quei dati positivi che essa aveva messo in luce (senza partito di classe non c'è rivoluzione) e che invece è stata recepita negli aspetti delle esteriorità e del folklore (i Consigli a tutti i costi), si è tentato di dare una struttura organizzativa a quei settori influenzati più o meno dal M.S. o da forze di natura extraparlamentare. È questa la fase dei C.U.B. che nella intenzione iniziale dei promotori dovevano svolgere un ruolo rivoluzionario, il che si spiega alla "luce" dell'errore di prima. Sentiamo infatti cosa dice Lenin a proposito dei soviet (o Consigli di cui i CUB volevano essere la figurazione e da cui doveva sorgere secondo alcuni il partito, mentre per altri dovevano addirittura sostituirlo):

La Russia dimostra che i Soviet possono essere costituiti durante la rivoluzione o nell'imminenza di essa. I Soviet di Kerenski non potevano in nessun modo dare vita al potere proletario.

La realtà, purtroppo, non si conforma ai desideri di chi la -osserva da una angolazione erronea, è vero invece che rimane uguale a se stessa: la situazione non era rivoluzionaria, i Consigli non potevano quindi essere organi del potere proletario, e non lo furono. Ma siccome ogni esperienza si colloca o sul piano dell'interesse del cammino della Rivoluzione o su quello della conservazione del capitalismo, era destino che anche i C.U.B. venissero inglobati dal sindacato di cui hanno fornito il modello proprio per la "ristrutturazione democratica" cui accennavamo prima e che esaminiamo ora.

Già nell'aprile del 1969 in un documento della SILG-CGIL si auspicava la "diretta e attiva presenza dei lavoratori al sindacato, anche attraverso organismi nuovi come i CUB da costituire nei reparti". In questa formulazione individuavamo una scelta precisa della politica sindacale che è oggi più che mai confermata; al tempo stesso denunciavamo coloro che, incanalando in questi organismi privi di una seria impostazione politica gli operai più avanzati, portavano la responsabilità di fornire al sindacato il modello per adeguare le sue forme e di sprecare le possibilità di formazione degli operai stessi. Le scelte che cominciavano ad apparire nell'aprile '69 si sono via via precisate fino al congresso recentissimo della FIOM: citiamo dal Bollettino Precongressuale:

La partecipazione diretta dei lavoratori... ha dato luogo a un vigoroso sviluppo di nuove forme organizzative.

Le nuove forme del Bollettino FIOM non sono altro che le rovine di quegli organismi che inizialmente tendevano a rivestire un carattere extrasindacale. I vari CUB ben lontani da costituire un centro di formazione politica, hanno invece facilitato e ispirato il passaggio a forme più funzionali e adeguate alla politica sindacale.

Il dissolversi delle speranze insurrezionali riposte da molti nelle agitazioni per i contratti, se hanno portato alcuni a un più serio ripensamento e a una riscoperta delle esperienze e delle lotte del proletariato italiano anche in sede di elaborazione politica, hanno anche dato luogo a capitolazioni vertiginose tanto davanti al sindacato quanto al PCI fino a culminare negli inviti dell'UCI e del M.S. a votare per il partito comunista.

Il fallimento obiettivo delle forme organizzative ha evidenziato due tendenze: un ripensamento critico oppure un superamento della organizzazione che caratterizza una seconda fase dell'azione dei gruppi nelle lotte operaie e che ha portato alla ribalta l'agitazione per l'agitazione; è una impostazione che rimane nel cerchio che ha condotto una prima volta alla crisi queste forze.

Il riflusso dell'autunno caldo ha avuto riflessi differenti tanto nei gruppi quanto nei militanti e determinerà la loro condotta anche nelle lotte che sono destinate a ripresentarsi endemicamente. Le nuove esperienze approfondiranno tanto la confusione quanto i ripensamenti.

Veniamo a noi

Tanto la nostra stampa mensile quanto "Prometeo" non mancano di indicazioni ai militanti per operare nel sindacato sul piano che ci è proprio. Vogliamo semmai sottolineare la profonda connessione tra lotta politica e lotta economica e, per contro, la profonda falsità di ogni "neutralità" e di ogni "autonomia". Il proletariato ha davanti a sé solo nemici e noi ci troviamo a lottare contro l'atmosfera ammorbante dello stalinismo di ieri come contro il nuovo mito della Cina che si colloca nel solco della tragica esperienza del crollo della rivoluzione di Ottobre. Di fronte al proletariato sta anche la struttura sindacale: ci batteremo anche contro questo nemico, con gli strumenti propri al marxismo, con quella analisi cioè che, senza concedere niente alle profezie, individua nella storia il cammino del proletariato, un cammino che va fino alla vittoria.

Antonella

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.