I teorizzatori della liquidazione del partito

I documenti ripubblicati in ordine logico di tempo e svolgimento politico, tracciano un quadro sufficientemente chiaro delle posizioni teoriche e delle tendenze tattiche in contrasto nel seno dell’organizzazione internazionalista a partire dagli anni 1950.

Per completare il quadro delle posizioni teoriche e tattiche in contrasto nel seno della organizzazione internazionalista negli anni 1950 e far luce sulle profonde contraddizioni che sono servite ad ingarbugliare ancora di più l'aggrovigliata matassa, pubblichiamo anche la parte essenziale e più significativa del documento presentato dal compagno Ottorino Perrone (Vercesi) ad una riunione del Comitato Centrale. In questo intervento, come in altri che lo avevano preceduto, l'autore non obbediva ad altre preoccupazioni che a quella di teorizzare, in forma per lo più paradossale ed estremizzata, le situazioni più impensate ed irreali col duplice obiettivo di mostrare la inattualità della organizzazione del partito, e la necessità assoluta di staccare dai compiti dello stesso partito l'elaborazione dei problemi teorici e politici che egli riteneva fosse compito del tutto personale, e quindi sacro e inviolabile, del compagno Bordiga.

“In queste condizioni, -- concludeva il compagno Perrone -- il vincolo organizzativo non favorisce, ma impedisce la difficile ma indispensabile opera di chiarificazione che devono compiere i gruppi falsamente etichettati in quanto partito.”

Vero è che il compagno Perrone aveva sostenuto, nel periodo della frazione di sinistra all'estero, posizioni diametralmente opposte fino alla pubblicazione di una nota polemica su “Bilan” col titolo, anch'esso paradossale e non sappiamo quanto responsabile, di “Pas de bordighisme”. Ma tanto è... tra il “niente bordighismo” di allora e il posteriore “Bordiga è tutto” corre un divario difficile da colmare anche per chi avesse potuto disporre di una superiore dose di spregiudicatezza e di elasticità morale che il nostro Ottorino assolutamente non possedeva.

  1. I termini antitetici che guidano le situazioni attuali sono quelli indicati da Lenin nell' “Imperialismo”: guerra o rivoluzione. Le classi fondamentali della società attuale, il capitalismo e il proletariato, si esprimono nell'una o nell'altra delle due alternative: tutti gli altri fenomeni sociali, non avendo che valore accessorio, non possono fornire materia alla contrapposizione della borghesia e del proletariato.
    Tuttavia, il corso degli avvenimenti sfocianti nell'esplosione rivoluzionaria si trova sul fronte non della negazione e opposizione alla guerra considerata come fenomeno a se stante, ma nella disposizione che l'organismo proletario deve prendere nei confronti delle forze sociali che sono portate dagli avvenimenti a determinare la sola soluzione che escluda la presentazione della classe proletaria e rivoluzionaria: il dilemma pace o guerra, guerra fredda o calda, guerra localizzata o generalizzata, cade nell'orbita del mantenimento del regime attuale.
    Non il fatto sociale e politico può generare l'orientamento marxista: questo ultimo risulta unicamente dalla natura di classe dell'istituzione che agisce.
    Un apparato statale, sia esso all'interno o all'estremo delle frontiere nazionali, se basato sul principio del salariato va combattuto anche se dirige movimenti che sollevano la bandiera della rivoluzione o quella del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Il movimento non ha leggi proprie, ne se le determina nel corso del suo procedere; esso segue le leggi proprie dell'organo che lo dirige; entrare nel suo ingranaggio significa entrare nell'ingranaggio nemico e restarne prigionieri.
    Non vi è contraddizione fra la natura capitalistica dell'organo che agisce nel campo sociale e il procedimento non capitalista messo in azione: l'evoluzione è dettata non da antagonismi di nozioni logiche, ma da antagonismi di classe: la direzione di uno sciopero da parte di forze schiettamente capitalistiche è un fatto che si presenta in modo incongruente unicamente a chi crede d'essere marxista solo perché riecheggia i termini di un passato definitivamente sotterrato, ma che si spiega perfettamente tenuto conto della realtà storica nella quale viviamo e che pone come sola alternativa quella della guerra o della rivoluzione.
  2. La differenza capitale fra il 1917-18 e il 1945-46 consiste nel fatto che, mentre la guerra imperialistica è stata spezzata dallo intervento rivoluzionario del proletariato in Russa, la seconda si è terminata o sospesa sul solo fronte militare, mentre su quello economico - il fondamentale - nessuna soluzione poteva intervenire il proletariato non avendo trovato la possibilità storica dell'affermazione della sua classe.
    L'affermazione che la vittoria del 1917 risulta dallo sconvolgimento provocato nel funzionamento del capitalismo internazionale dell'epoca, dall'impossibilità del persistere di un forte apparato statale precapitalista in Russia, affermazione dovuta al comp. Amadeo agli albori della III Internazionale e che andrebbe specificata in una analisi più esauriente, permette di gettare luce sugli avvenimenti attuali, senza tuttavia giungere a conclusioni esaurienti. Appare che assistiamo, nel campo politico e sociale, alla presentazione dei fenomeni che permisero a Marx di analizzare quelli economici nel “Capitale”.
    Si trattava allora di una analisi astratta dagli elementi complessi della realtà sociale: si tratta oggi della verificazione nei fatti di quell'astrazione. Spazzate tutte le formazioni intermedie in quanto suscettibili di influenzare il processo storico, restano ora in contesa due sole forze: il capitalismo ed il proletariato internazionale sullo schema classico dato da Marx, mentre il filo che conduce i fondamenti economici della società alla loro ripercussione nel campo sociale e politico va dal plusvalore alla guerra, dall'annientamento del plusvalore non alla pace ma alla rivoluzione.
    Il sottoscritto ha già, ripetute volte, riconosciuto l'errore di avere basato la prospettiva centrale post-1945 non sull'elemento positivo dato dall'andamento reale della seconda guerra mondiale dove il proletariato - attraverso partigianismo e resistenza - era stato assorbito dal capitalismo, ma sul presentarsi di problemi economici che avrebbero imposto soluzioni rivoluzionarie a causa dell'impossibilità per il capitalismo di adeguare l'apparato produttivo, cresciuto formidabilmente in intensità ed estensione durante la guerra, ad una situazione non comportante più il mercato degli scontri militari.
    Le condizioni per la formazione del partito non si palesarono nel 1945-46, e non esistono nemmeno oggi. Contrariamente alla idea affibbiata a Lenin di un partito che è proletario in quanto dovunque sono proletari, movimenti incorporanti proletari, agitazioni con obiettivi proletari esso si afferma, resta che il partito bolscevico è stato fondato nell'ottobre del 1917. Esso non apparve e non poteva apparire come un miracolo, ma in forza di tutti i suoi antecedenti, altrettanto importanti quanto il colpo teatrale dell'ottobre, ma importanti unicamente perché a quello sbocco si ricollegavano saldamente.
    La divisa di Lenin deve restare la nostra: non che fai, ne che succede, ma chi fa, determina il nostro orientamento in ognuna delle manifestazioni della vita politica e sociale. Al chi fa, noi opponiamo il chi si prepara a distruggere.
  3. Nel campo economico, che è per noi il fondamentale, i fenomeni specifici della guerra continuano ad azionare gli avvenimenti. La soluzione data da Lenin a questi problemi, il disfattismo rivoluzionario, non sembra poter essere riproposta nelle situazioni attuali. L'osservazione critica dalla Luxemburg che il disfattismo in un paese poteva evocare la vittoria, doveva non rivelarsi fondata a causa dell'area nella quale si espletava la politica di Lenin: apparati statali in frontiere territoriali da una parte, proletariato imbrigliato nelle unioni sacre dall'altra e sempre nei quadri di dette frontiere.
    Attualmente la guerra si è internazionalizzata e i confini territoriali non esistono più. In conseguenza la politica disfattista di uno sciopero diretto da staliniani conduce direttamente ad incorporarsi nell'alone complementare della meccanica di funzionamento del capitalismo internazionale. Il viceversa è analogamente vero.
    Già dalla sua fondazione il Parti Comunista d'Italia sollevò l'indirizzo politico difeso da Bordiga non solo di fronte al dilemma italiano fascismo-democrazia, ma nel seno dell'Intemazionale e valevole per tutti i paesi: lotta su due fronti. È questo l'indirizzo che sembra corrispondere alle situazioni attuali, in funzione sempre - come sopra detto - della natura di classe delle forze sociali in azione.
    Se è vero che l'arresto del meccanismo produttivo non risponde all'interesse della classe dominante e che lo sciopero non è dunque voluto da Stalin, è altrettanto vero che lo sciopero non contiene nessuna virtù proletaria e che può acquistarla alla sola condizione che la politica iniziale presa dal gruppo marxista di lotta in vista della distruzione violenta della forza sociale che lo dirige, trovi nella situazione una possibilità di affermazione, si concluda essa con la vittoria o con la disfatta. Sterilizzato da questo fermento rivoluzionario, lo sciopero - mai forma di lotta dell'uno contro l'altro dei due protagonisti e complici del capitalismo internazionale - resta una espressione del tumulto di avvenimenti che accompagnano l'agonia del regime borghese.
  4. L'ora è venuta di dichiarare apertamente che al Congresso di Torino come a quello di Firenze (sebbene qui in sordina), come in occasione di tutta l'attività intercorrente, il Partito si è radicalmente sbagliato nel preconizzare la possibilità di modificare il corso delle situazioni incuneandosi per portarle al loro parossismo, nelle manifestazioni che portavano in campo le masse proletarie.
    Non si determina il fronte su cui le classi antagoniche si presentano. Questo fronte è determinato dall'evolvere del congegno dell'economia. L'esame teorico di questo problema non è nemmeno stato abbordato per sviluppare i punti cui era giunta la Luxemburg e le critiche che essa mosse a Lenin.
    Le situazioni permettono tuttavia di constatare che l'opposizione fra salariati e capitalisti e le lotte operaie che ne discendono, possono essere contenute nel quadro del funzionamento del regime capitalista e che esse sono condannate a non esorbitarle fino a quando la condizione non è stata realizzata nel seno della meccanica di funzionamento dell'economia capitalista.
    Marx aveva ammonito che la fossa del regime capitalista sarà scavata unicamente dalla rivolta contro di esso delle forze di produzione. È sulla via della guerra permanente che la borghesia può ancora domare questa rivolta m pieno sviluppo. La guerra permanente si rivelerà anch'essa insufficiente a domare questa rivolta. Il proletariato si prepara fin d'ora sulla base della lotta sul doppio fronte, a personalizzare questa rivolta quando le condizioni si saranno presentate, attraverso la distruzione violenta del capitalismo in tutti i paesi e la vittoria della rivoluzione mondiale.
  5. Il partito e i suoi organi direttivi.
    L'attuale e provvisoria insistenza della presentazione della classe proletaria nel corso del processo agonico del regime capitalista e delle manifestazioni sociali e politiche che l'accompagnano, determinano l'estrema difficoltà che incontrano i continuatori della rivoluzione d'Ottobre a fornire una analisi teorica compiuta sia dei fenomeni che hanno condotto al trionfo della controrivoluzione in Russia, sia della fase attuale dell'economia capitalista mondiale. Questi elementi spiegano le condizioni in cui vive la nostra organizzazione e che sono caratterizzate da:
    a. il vertice dell'attività teorica e politica è disgiunto dal centro cui è devoluta la direzione dell'organizzazione;
    b. l'organo di direzione dell'organizzazione - tanto il C.C. quanto il C.E. - consci o del fatto che il detto vertice agisce non in virtù di considerazioni che farebbero risultare lo svolgimento degli avvenimenti storici dall'azione di energumeni, ma continua oggi come sempre a conformarsi ai criteri marxisti della milizia rivoluzionaria, non si avoca nei ridicoli diritti di controllo e di giudizio di detta attività teorica e politica né ne usurpa la paternità. Al carattere impersonale di questa attività va accoppiato il carattere impersonale dell'organo direttivo, la cui funzione essenziale è il mantenimento dei contatti sia fra i gruppi, sia fra questi e il centro, sia fra il C.E. e il C.C.
    L'applicazione dei criteri di funzionamento del partito di classe in una situazione in cui provvisoriamente l'autonomia della classe proletaria fa posto all'incorporazione dei lavoratori nel congegno dell'economia di guerra del capitalismo internazionale, il misconoscimento delle condizioni reali in cui vive il nostro movimento, la formale attribuzione agli organi dirigenti della centrale funzione teorica e politica che si svolge al di fuori di essa, condurrebbero a minacciare la compagine ideologica della sinistra italiana, del solo nucleo che assicuri la continuità e lo sviluppo del tronco marxista della III Internazionale.
Ottorino Perrone