Accordi e disaccordi sulla questione sindacale

Sulla questione sindacale, al centro delle divergenze nel Partito e successivamente principale oggetto delle future capriole "programmiste", anche Bordiga aveva sentito il bisogno di precisare il proprio pensiero. Lo scritto fu pubblicato nel Bollettino precongressuale del 1952 con questa precisazione: “Non ha importanza come questa lettera-documento sia pervenuta, al centro del partito, ne ha invece molta se si considera che, inviata prima del convegno di Milano dell'1-6-1951, è rimasta... stalinisticamente nelle tasche del destinatario e ne è uscita molto più tardi per forza maggiore.”

  1. La situazione sindacale di oggi diverge da quella 1921 non solo per la mancanza del Partito Comunista forte, ma per la progressiva eliminazione del contenuto della azione sindacale col sostituirsi di funzioni burocratiche alla azione di base: assemblee, elezioni, frazioni di partiti nei sindacati e via, di funzionari di mestieri a capi elettivi, ecc. Tale eliminazione difesa nel suo interesse dalla classe capitalistica vede sulla stessa linea storica i fattori: corporativismo tipo C.L.N., sindacalismo tipo Di Vittorio o Pastore. Tale processo non può essere dichiarato irreversibile. Se l'offensiva capitalista è fronteggiata da un partito comunista forte, se si strappa il proletariato alla tattica (sindacalista) C.L.N. di fronte a quelli, se lo si strappa all'influenza dell'attuale politica russa, nel momento X o nel paese X possono risorgere i sindacati classisti ex novo o dalla conquista, magari a legnate, degli attuali. Ciò non è storicamente da escludere. Certamente quei sindacati si formerebbero in una situazione di avanzata o di conquista del potere.
    Le differenze tra le due situazioni rendono secondaria quella tra la dirigenza D'Aragona, che non escluse la nostra azione di frazione nella C.G.L. e quella Di Vittorio.
  2. Premesso il fatto della scarsa forza del partito, e fino a che questa non sia molto maggiore, il che non si sa se avverrà prima o dopo il risorgere di organizzazioni di classe non politiche a larghi effettivi, il partito non può e non deve né proclamare il boicottaggio di sindacati organi di azienda e agitazioni operaie; né proclamare la presenza sempre e dovunque alle elezioni di fabbrica di sindacati etc. con liste proprie; né, dove sia localmente in prevalenza di forze, usare in aperte agitazioni la parola del boicottaggio invitando a non votare, non iscriversi al sindacato, non scioperare o simili.
    In senso positivo: nella maggioranza dei casi astensione pratica e non boicottaggio.
    Nei casi speciali, di buon rapporto di forze, mai parola di boicottaggio, eventuale decisione o per il disinteressamento dal presentare liste o per la presentazione, secondo le prevedibili pratiche conseguenze, in ogni caso con lavoro di diffusione dei nostri principi a mezzo del gruppo di fabbrica di iscritti, emanante dal partito, ad esso subordinato.
  3. Occorre svolgere la propaganda della storia sindacale, specie spiegare la tattica della Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia nella fase favorevole del primo dopoguerra, tesi di Mosca e Roma ecc. ecc., storia della frazione sindacale comunista della C.G.L., sindacato ferrovieri ecc. Principio: senza organismi operai intermedi tra partito e classe non vi è possibilità rivoluzionaria; il partito non abbandona tali organismi per il solo fatto di esservi in minoranza. Tanto meno sottopone i suoi princìpi o direttive al volere di quelle maggioranze sotto pretesto siano «operale». Ciò vale anche per i Soviet (v. Lenin, Zinoviev, ecc.).
Amadeo Bordiga, 5 gennaio 1951

Ancora sulla questione sindacale

Altri frammenti da lettere-documenti di Bordiga.

Oggi in Italia con il piccolo partito quale è non è possibile dare parole di conquista di quegli organi e di partecipazione ovunque a quelle elezioni; ma nemmeno può e deve darsi parola generale di boicottaggio. Nove volte su dieci e forse novantanove su cento il rapporto numerico di forze è tale che il problema non si pone: ove si pone può pensarsi a campagne di partecipazione in qualche caso con liste e in genere senza accettare gli eventuali posti, sempre con diffusione della nostra critica e propaganda. Base di tale lavoro sono i gruppi nelle aziende e altri aggruppamenti di iscritti al partito: in essi si muove dal partito al luogo di lavoro, non viceversa; non sono cellule di base ma strumenti del partito, organizzato per sedi territoriali (sinistra 1925).

La sinistra italiana non ha mai assimilato le diversissime questioni parlamentare e sindacale: nella seconda è sempre stata partecipazionista e non boicottista né secessionista.

A. Bordiga, 2 febbraio 1951

Il partito comprende solo una parte della classe operaia; il partito guida la classe operaia non solo con propaganda di dottrina e proselitismo per la propria organizzazione e preparazione di azioni armate, ma con la partecipazione ad organismi operai più vasti del partito e accessibili a tutti i componenti la classe. Si devono, cioè, (e in modo evidentissimo nelle vigilie di avanzate) avere tre stadi: partito, per la sinistra non pletorico; organismi proletari per costituzione in cui stanno soli lavoratori, ma indipendentemente da confessioni ideologiche; classe che abbraccia tutti, anche i non organizzati.

La inserzione poi per formare un'altra "couche" di collegamento in altri organismi ove "costituzionalmente" stanno non soli proletari ma anche altre classi (parlamentari, etc.etc.) è questione DIVERSA; di pura manovra. La prima, ora impostata, è questione di centro, senza risolvere la quale non vi è né classe rivoluzionaria, né partito di classe, prima, dopo e durante la rivoluzione.

A. Bordiga, 2 febbraio 1951

Sui sindacati io vengo a questa conclusione: l'organo di associazione di interessi come tessuto connettivo tra il centro vitale del partito e i muscoli periferici della classe non può mancare senza rendere la rivoluzione impossibile: deve risorgere in modo indipendente fuori di influenze della classe dominante, in forma nuova.

Sarei con la formula di Onorato dello sblocco del movimento sindacale dalla oppressione borghese, contro però la sua propensione a far leva a tal fine su organi di azienda e non su organi di associazione economica "esterna". Il sindacato è ad adesioni volontarie non costituzionali: questa forma la borghesia tende a distruggere.

A. Bordiga, 15 aprile 1951

La lettera-documento che segue fu inviata dal compagno Damen a Bordiga con l'intento di precisare ulteriormente i punti di accordo e disaccordo sulla questione sindacale. Nella postilla sulla crisi interna, viene sintetizzato il problema della difesa attiva della linea politica approvata al Congresso di Firenze.

Mi sembrava superfluo precisare ancora una volta la mia posizione di fronte al problema sindacato-partito nei moltissimi punti in cui la nostra identità di vedute è perfetta, in confronto ai pochi, anzi ai pochissimi punti, in cui la diversa valutazione nasce più che da un dissenso di principio, da una esperienza diversamente sentita perché diversamente vissuta.

Procediamo per ordine. Il nostro accordo è completo:

  1. nel respingere la parola d'ordine espressa o sottintesa e comunque praticata del boicottaggio dei sindacati, organi di aziende e agitazioni operaie;
  2. nella partecipazione, quando una nostra affermazione è materialmente possibile, ad elezioni per le C.I. con lista nostra e senza occupazione dei seggi eventualmente conquistati;
  3. nel considerare base di lavoro i gruppi di fabbrica, movendo dal partito ai luoghi di lavoro e non inversamente;
  4. nel considerare sempre valida la posizione della Sinistra che nei confronti della questione sindacale si è sempre dichiarata partecipazionista e non boicottista né scissionista.

L'accordo non appare più completo quando tale partecipazionismo si trasporta dalla fabbrica al sindacato nel quale siamo praticamente assenti e perciò materialmente impossibilitati di esercitarvi una qualsiasi influenza.

Inoltre ci differenziamo nettamente nel porre il problema della riconquista degli attuali sindacati. Tu scrivi:

«Se l'offensiva capitalista è fronteggiata da un partito comunista forte; se si strappa il proletariato alla tattica (sindacalista) C.L.N. di fronte a quelli; se lo si strappa all'influenza dell'attuale politica russa, nel momento X e paese X possono risorgere i sindacati classisti ex novo o dalla conquista, magari a legnate, degli attuali. Ciò non è storicamente da escludere. Certamente quei sindacati si formerebbero in una situazione di avanzata lotta di classe o di conquista del potere.»

Io penso che l'attuale sindacato corporativo (fascista, socialdemocratico o comunista non conta) per la sua funzione di organo indispensabile alla vivificazione del sistema capitalistico sia destinato a vivere fino in fondo le vicissitudini economiche, sociali e politiche del capitalismo morente e sarà spezzato con lo stato imperialista solo dall'assalto del proletariato rivoluzionario.

In simile fase di avanzata o di conquista del potere il raggruppamento delle forze del proletariato non attenderà il ripetersi della prassi tradizionale del sindacato, ma avverrà attraverso nuovi organismi di massa (consigli di fabbrica, soviet od altro come in Russia e in Germania) strutturalmente e politicamente più idonei del sindacato a sentire in concreto, sotto la guida del partito rivoluzionario, i problemi del potere.

Concludendo, l'ipotesi di sottrarre il proletariato all'influenza russa pone semmai l'altra del suo cadere immediato e certo sotto l'influenza americana, sballottamento a carattere pendolare che va verificandosi a seconda della possibilità di attrazione dei due poli opposti dello schieramento imperialista.

Questo è il periodo storico forse della pluralità dei sindacati a varia colorazione politica, ma in nessun caso è o sarà quello del sindacato di classe.

Allo stato attuale i sindacati ci interessano non perché li consideriamo organismi proletari sotto la dittatura borghese, come tu pensi, ma per le masse che vi sono dentro, le quali, se da un lato sono incapaci di muoversi per forza propria sul piano di classe, sono dall'altra costantemente soggette a farsi rimorchiare sul piano delle competizioni imperialiste. Qui deve esercitarsi la nostra azione critica di rieducazione classista e di orientamento politico, accompagnata da una nostra politica sindacale da svilupparsi sui posti di lavoro dove la reazione della burocrazia sindacale appare, ad onta di tutto, meno efficace e determinante per il più libero gioco della espressione politica dei partiti.

In questo senso la necessità di un raggruppamento non importa se inizialmente modesto di proletari sul piano della più assoluta, autonomia, penso debba sempre essere al centro delle preoccupazioni del partito.

Sotto questa luce particolare deve essere vista l'esperienza non lontana e fortemente significativa della nostra frazione sindacale.

Postilla

Ti accludo la comunicazione mandata al C.E. che pone il problema della crisi al vertice del partito nei suoi termini reali. Non consentiamo esperimenti la cui giustificazione teorica ha provocato la mia uscita dal C.E. e poi quella del compagno Bottaioli; la questione che ci divideva e ci divide è sempre quella della difesa della linea politica prevalente a Firenze, votazione o no. Ora se il centro continua ad essere di altro avviso e ritiene che si possa ulteriormente ingannare la organizzazione, mi pare sia giunto il momento di porre il problema concreto della difesa attiva di tale linea politica applicandola dove materialmente sarà possibile, consenziente o no il C.E. e che grosso modo può essere così sintetizzata:

  1. Respingere apertamente ogni atteggiamento che indichi nella uscita dai sindacati e nel boicottaggio di questi organismi e delle agitazioni la politica attuale del partito.
  2. Partecipare alle battaglie politiche per la Comm. In. con fisionomia propria e propria lista in quei posti di lavoro in cui una manifestazione delle nostre forze sia materialmente possibile e senza l'accettazione dei seggi eventualmente conquistati.
  3. Respingere senza ipocrisia la politica che minimizza i compiti presenti e futuri del partito e che restringe la cerchia delle sue attività possibili in obbedienza a preoccupazioni che non si conciliano in nessun modo con una milizia rivoluzionaria.
  4. Riattivare la vita organizzativa e politica del partito partendo dal presupposto che questo si abilita alla lotta rivoluzionaria non sfuggendo alle responsabilità di questa lotta ma affrontando, adeguatamente alle possibilità obiettive, situazioni e forze politiche nemiche quali sono state dialetticamente espresse dalla dinamica del conflitto di classe.
14 marzo 1951

Un esperimento "antisciopero"

La successiva lettera, indirizzata anch'essa al C.E., fa parte di alcune prese di posizione polemiche provocate dall’"esperimento tattico" di Asti. Assieme agli ordini del giorno votati da Federazioni e Sezioni del Partito, inviati al Centro per la loro pubblicazione sulla stampa, e ad altre lettere di protesta di singoli compagni richiamanti si ai deliberati congressuali ed alla tradizionale linea politica del Partito, non fu resa nota all'organizzazione perché... eccessivamente "polemica". Ogni richiesta per un dibattito di chiarificazione veniva spacciata come "un'opera perniciosa di polemiche sterili, di critiche a vuoto e di disgregazione politica ed organizzativa" (Circolare del C.C. del 1 - 7 - 1951).

Ai compagni della commissione esecutiva

Sul n. 3 di Battaglia ho letto il vostro commento alla “iniziativa astigiana”. Nessuna meraviglia, come pure nessun motivo di rallegramento per la innovazione che ci arena nelle più pericolose secche della situazione.

La «nuova posizione» alla quale avete dato i natali, serpeggiava un po' dappertutto salvo che nelle assemblee di Partito ed ancora meno in sede di convegno. È una non nuova caratteristica dei vostri metodi anguilleschi, per far scivolare per la porta di servizio il vostro bagaglio ideologico, né esaminato ed ancora meno discusso nel Partito, profittando di una situazione oggettiva e soggettiva favorevole ai colpi di mano e di scena.

Prima di penetrare nel fondo dei vostri deleteri metodi di organizzazione, che hanno tutto della Massoneria, esaminiamo un po' in cosa consisterebbe questa nuova posizione della quale i Compagni di Asti avrebbero tentato “l'esperienza” che secondo il vostro modestissimo giudizio di C.E. sarebbe da segnalare.

Attualmente in campo politico e sindacale le masse operaie non sono manovrate da organizzazioni riformistiche ma da forze imperialistiche. Queste forze sono divise sul terreno dei contrasti di natura capitalistica, dei quali il solo sbocco possibile è la guerra. Il problema d'insieme non può essere visto da noi che nella visuale internazionale, pena di divenire degli occasionali, dei tempisti, dei possibilisti, o peggio, dei nazionalisti in veste estremista.

Lo schieramento determinatesi in rapporto all'ultimo conflitto mondiale vede nella situazione attuale Sindacati e Partiti cosiddetti «rossi», ligi alla politica economico-militare del blocco orientale. Così come sull'altro versante esistono Sindacati e Partiti bianchi o grigi che inglobano importanti masse di lavoratori (Inghilterra, America ed altri minori) che più o meno passivamente seguono la politica estera ed interna dei propri dirigenti e dei propri governi facenti parte del blocco occidentale.

Indipendentemente dalla forza politica che noi rappresentiamo nell'attuale situazione, è necessario ricordarci che noi siamo i soli difensori, oggi, gli attuatori di domani, del programma marxista rivoluzionario. E che ci opponiamo ad egual titolo ai due schieramenti, siano essi di destra o di sinistra: in altri termini la nostra attività teorica ed il nostro lavoro pratico tendono a determinare lo schieramento della classe proletaria contro il capitalismo tradizionale e contro quello di sedicente nuova democrazia.

La nostra attuale posizione politica, che è nello stesso tempo parola d'ordine, deriva dalla posizione originaria ed originale del concetto comunista: né con Truman, né con Stalin. Essa è originale in quanto porta alla negazione dei due metodi della dominazione attuale, basati ambedue sullo sfruttamento del lavoro produttivo, con l'accumulazione di capitali, che si riversano nello stesso crogiuolo, la guerra. Nell'urto diplomatico e guerriero fra i due metodi di dominazione, i Sindacati ed i Partiti in campo internazionale, servono di massa di manovra marginale a favore o di una pace inesistente, o per la condanna di uno o l'altro «aggressore».

A “sinistra”, vedi Russia, quest'arma è ancora usata nei paesi altrui, ed è caratterizzata da «scioperi politici» aventi per compito di sostenere tesi e note diplomatiche dibattute poi nel quadro dell'Associazione brigantesca internazionale, l'ONU. A queste forme di sciopero il blocco occidentale oppone o tenta opporre la sua classica arma: l'antisciopero.

Dunque, nella situazione attuale lo sciopero e l'antisciopero rientrano ambedue nel quadro delle forze imperialistiche agenti ed esistenti in campo internazionale: Voi siete per questa seconda posizione. E lo siete con questa ben chiara e precisa differenza, fondamentalmente politica: oggi lo sciopero diretto dagli imperialisti di sinistra sia politico che rivendicativo, non è più un’arma nel pugno proletario, ma originariamente lo fu e ritornerà sua sotto la guida di un partito politico di classe; mentre l'antisciopero in qualunque epoca, in qualunque fase e non importa in quale circostanza, fu, è, e resterà un'arma propria del capitalismo e dei suoi servi.

I compagni di Asti, seguendo le vostre svolazzate innovatrici, non hanno compreso che non facevano praticamente che passare da una posizione all'altra dell'attuale schieramento capitalistico. Il fatto poi che voi vi siete arrogati il compito di patrocinare una sì opportunistica posizione a nome del Partito denota chiaramente che le vostre concezioni politiche non vanno al di là della scolastica crociana per la quale è sufficiente rovesciare i termini del problema per avere la risposta del quesito.

Dimostra anche, conseguentemente, che voi avete concepito la politica del Partito in campo sindacale come una posizione adesionistica alle manifestazioni di “sinistra” e non quella che è stata nella realtà: cioè il tentativo costante di incunearsi in queste manifestazioni con le posizioni programmatiche del Partito, invitando e spingendo gli operai a difendere a riconquistare la propria indipendenza di azione e di classe. L'arma dello sciopero nelle mani di forze rivoluzionarie è un mezzo potente di lotta contro i capitalisti di Oriente e di Occidente e può anche essere nell'avvenire il canale della ripresa delle lotte proletarie.

Restare attaccati alla macchina o alla pala del padrone: non si esprime in nessuna circostanza un concetto di classe; cosi come non si esprime oggi seguendo la gamma di scioperi ammaestrati diretti dai “bonzi” della Confederazione del Lavoro.

Posizione classica, classista, antitetica, deve essere quella del nostro Partito. Ed è davvero edificante che voi, che avete sempre sussurrato all'opportunismo dei “conservatori” e dei “nostalgici”, quali noi saremmo, attaccati ai vecchi schemi tradizionali di lotta operaia, cadiate più candidi di Candido nei vecchi schemi tradizionali dell'antisciopero capitalista. In tutto questo consisterebbe la vostra innovatrice genialità.

La realtà è ben altra: pur dovendo mantenere il Partito sotto una continua pressione analitica dei problemi politici che ci assillano nel quadro di una ricostruzione programmatica atta a rispondere, nel presente e nel domani, alle necessità storiche della funzione del Partito di classe, noi non possiamo dipartirci dalla tradizionalmente storica arena di classe che vide affermarsi le prime manifestazioni rivoluzionarie del Proletariato. Così, come il tradizionale schema di lotta e di organizzazione di massa va, ancora oggi, individuato là dove spontaneamente è sorto onde poterle imprimere, con l'ausilio di una situazione favorevole, orientamento, forza e volontà di classe.

I gruppi di fabbrica e di cantiere, preconizzati nello schema programmatico del Partito, formati là dove esistono i militanti internazionalisti, con funzione indipendente da ogni Sindacato, con uno schema di programma proprio di Partito, rispecchiante il criterio di avanguardia proletaria, rispondono alle necessità attuali dell'azione di Partito. Questi gruppi devono acquistare la capacità (che non hanno ancora avuto) di incunearsi in ogni agitazione contro lo spirito e l'orientamento di queste agitazioni. Gruppi aventi la capacità di intervento nella preparazione di queste false manifestazioni, oralmente, con volantini o manifesti, denunziando il carattere controrivoluzionario dello sciopero o delle agitazioni è la sola risposta adeguata al dilagare del sindacalismo in veste imperialistica.

Dopo avere apertamente scisso responsabilità e posizioni politiche in caso di manifestazioni del genere, uscire dall'officina con la maggioranza degli operai che escono, restare là dove la maggioranza dei lavoratori rimane. Questo non è un criterio conformista a maggioranze o minoranze, ma il metodo comunista, una valutazione di principio: quella di essere presenti là dove la massa proletaria si trova, si agita, discute ed esprime i suoi desiderata, che sappiamo non sempre consoni ai suoi interessi di classe e a cui solo l'azione del Partito può imprimere l'orientamento. E questo principio è ancora più idoneo oggi in quanto queste masse sono spudoratamente ingannate e fuorviate dal loro cammino. Noi dobbiamo sentire questa necessità freddamente marxista, quella di puntare su esse, per esse, contro i propri dirigenti e le attuali strutture organizzative.

Prima di arrivare alle conclusioni di questa lettera è necessario porvi alcuni interrogativi: vi siete mai domandati o posto il problema del perché, in Italia ad esempio, le masse seguono malgrado la loro sfiducia generica, i capi del P.C.I. e della Confederazione in tutte le loro avventure politiche? Perché si sfruttano ignominiosamente i sentimenti della classe operaia, insofferente della situazione attuale e anelante ad un sistema di pace e di libertà. Oggi questo è tutto un armamentario demagogico che organizzazioni e capi fanno allucinatamente girare davanti agli occhi di queste masse, nel quadro della continuità capitalistica. Noi sappiamo che queste aspirazioni il proletariato le realizzerà solo seguendo la via della rivoluzione proletaria e che questo compito fondamentale spetta nel quadro di una situazione alla avanguardia di classe.

E allora, dentro l'officina per smantellare l'impalcatura del collaborazionismo e della controrivoluzione; fuori di essa coi lavoratori quando ne escono “credendo di adempiere ad un dovere di classe manifestando contro l'imperialismo occidentale, per indicarne la falsa riga che esse seguono perché è in queste masse che esiste in germe la fermentazione di classe, la forza latente della rivoluzione di domani. E solo fra esse i comunisti senza aggettivi hanno il compito e il dovere di lavorare indefessamente per il raggiungimento dell'obiettivo finale. Non concepiamo e non potremo mai concepire un lavorò d'avanguardia, isolati da queste masse, restando volontariamente a fianco di poche centinaia di iscritti dell'altra sponda, con qualche tecnico politicamente refrattario e le guardie-officina che rappresentano non già una ribellione a scioperi anticlassisti, ma la sintesi della tesi capitalistica universale: l'antisciopero. Ricordatevi che proprio in Russia non si sciopera né pro e né contro perché quest'arma è pericolosa anche per i dirigenti dell'imperialismo russo.

La vostra prolissa e prudente apologia dell'esperimento astigiano sul nostro giornale denota in fondo la vostra scivolata, verso concezioni non comuniste contornate da spirito di avventura. Ritornerò sull'argomento e sui vostri metodi interni. Per finire, vi sottolineo che nessuna sorpresa ha causato la pubblicazione dell'articolo da me redatto sull'ultimo sciopero per incarico dei compagni di Torino. È evidente che quando si vuole affermare sì formidabili posizioni “astigiane” si cestini non l'articolo, ma la posizione politica comunista antiquata, secondo voi. Infatti l'articolo terminava in questi termini:

«Fino a quando gli operai non avranno la forza di manifestare contro i generali americani e quelli russi nello stesso tempo non avremo nessun inizio di lotta contro la guerra. Al contrario essi apporteranno il loro peso su di un lato della bilancia che non può che determinare le forze imperialistiche all'urto mondiale.»

Bisogna mettere un termine a questa incresciosa situazione interna ed esterna del Partito. Domando la convocazione d'urgenza del C.C. per esaminare a fondo la situazione creatasi dopo questo aperto episodio di rottura con i principi del Partito.

Nel caso di rifiuto, mi appellerò direttamente al Partito.

Aldo Lecci