Le elezioni in Russia segnano il trionfo del mercato

... e ripropongono interrogativi alle due classi nel mondo

È stato facile per Putin vincere le elezioni. Vi ha partecipato una percentuale degli aventi diritto che, per quanto variabile in base al peso che si dia ai brogli, si aggira sul 60 per cento. E che i brogli abbiano giocato un ruolo non indifferente lo dice la notizia passata per radio che una cittadina della Siberia meridionale aveva chiuso le urne con un dato inferiore di 14 mila unità rispetto al numero di voti poi "contati".

Ma questo vale per la cronaca relativa agli scontri interni ai centri di potere in Russia, agglutinati attorno ai partiti e personaggi in lizza. Ha vinto chi più agevolmente poteva manovrare le leve amministrative del consenso elettorale: dai ricatti nei ministeri all'iperpresenzialismo nei media con relativa spettacolarizzazione "all'americana" (Putin alla guida del caccia verso la Cecenia valeva più della famosa calza sul viso del nostro Berlusconi). Ha perso chi, nonostante un forte radicamento anche in aeree decisive del potere, come le forze armate, è stato buttato fuori dalle stanze centrali del Cremlino.

D'altra parte né Putin né il suo principale oppositore lo stalinista Zjuganov avevano programmi che potessero essere percepiti come realizzabili e validi a risollevare le masse russe dalla miseria in cui sono state precipitate.

Putin ha semplicemente promesso l'impegno a ristabilire il prestigio internazionale della Russia che poi è quanto gli richiede il complessoo militare-industriale e gli stati maggiori dell'esercito e quanto la battente campagna mediatica ha imposto come tema centrale per i "cittadini".

Anche la Russia è entrata far parte del "mondo civile" in cui il cittadino è chiamato a votare quel partito o personaggio che è stato più bravo a convincerlo dell'utile e fattibile.

È il mondo in cui i politici dotati (di quattrini e di potere) battono e manipolano cinicamente sulle coscienze assopite e abbrutite dall'alienazione del lavoro perché prevalgano i peggiori istinti che quella condizione fa emergere: qui, in Russia, il nazionalismo, l'avversione per i caucasici, il tifo nazionalista.

Non c'è differenza sostanziale, checché ne dicano i rètori del patriottismo, fra l'odierno nazionalismo del cittadino e il suo tifo per la squadra di calcio (o di baseball, negli Usa). Se la sostanza è la razionalità di quell'idea o di quel sentire e/o la sua aderenza agli interessi reali del cittadino, quel nazionalismo vale quel tifo.

Certamente lo stesso cittadino avrebbe qui da obiettare che no, il nazionalismo (per esempio anti-ceceno) risponde agli interessi suoi, di cittadino russo - così come, peraltro, sarebbe per il cittadino ceceno nel suo nazionalismo anti-russo. Vagli a spiegare che lui prima che russo (o ceceno o italiano) è parte di una classe, oggettivamente e storicamente avversa all'altra.

Le elezioni russe e la campagna mediatica che le ha accompagnate hanno mostrato che anche lì l'addormentamento delle coscienze ha reso possibile fare del modello di identificazione un obiettivo di marketing politico, praticato con i sistemi e i mezzi del più avanzato mondo occidentale.

Così come la pubblicità induce i modelli di identificazione per vendere i prodotti che a quelli competono (il giovane moderno cura i brufoli con X, beve Y e ascolta Z, la casalinga a la page lava con il tal detersivo e propina il tal prodotto a tavola, eccetera), così il marketing e la pubblicità politica identificano il nucleo di interessi più o meno immaginari attorno ai quali raggruppare gli elettori del partito X e del personaggio Y. E nella pubblicità commerciale come in quella politica ci sono i concorrenti...

Resta il fatto che un abbondante 40 per cento della popolazione ha ignorato le elezioni. Segno anche questo che la marcia verso la civiltà occidentale procede spedita in Russia: in questo senso ha superato l'Italia. È segno anche che la miseria emargina dal mercato, da tutti i mercati, anche quello del voto fasce crescenti della popolazione. È lo stesso che da tempo accade in Usa e in Gran Bretagna ed inizia ad accadere anche da noi.

La saldatura fra le masse emarginate e quelle che sul mercato, almeno del voto, si realizzerà - quando e se si realizzerà - con il riemergere della "soggettività di classe", col ritorno cioè dell'identificarsi in classe dei cittadini proletari, quale condizione di una rinnovata iniziativa.

Fissato che nulla cambierà per le masse proletarie russe, con Putin alla presidenza, resta da vedere quel che la sua amministrazione farà sul piano della politica e degli equilibri internazionali. Ciò su cui si interroga la intellighenzia borghese europea è questo: quanto sarà capace Putin di mediare fra le spinte revansciste dei generali russi e le pressioni del FMI in cambio di prestiti? Sarà capace di guidare l'orgoglio nazionalista ferito verso le alleanze più opportune, che allievino almeno un poco la pressione americana sulle sue periferie? Sarà capace di convincere i governi europei che la espansione della Nato fin sulla sua soglia è di fatto l'ingigantire della presenza americana in Europa, contro la Russia sì ma anche contro l'Europa stessa e le sue prospettive imperialiste?

In fondo la voglia di ritagliarsi fette consistenti della rendita è forte, in Europa, e lasciare tutto il controllo del petrolio russo agli americani (alla loro Nato) significa lasciare agli americani tutta la rendita. Sulla capacità di Putin di portare l'attenzione prevalente dei governi europei su questa verità si misurerà la sua capacità di ridare un po' di prestigio alla Russia e di salvare magari qualche briciola della rendita anche per la famelica borghesia russa.

Va da sé che i nostri interrogativi, gli interrogativi di classe proletaria, sono diversi, e prescindono dalle elezioni e da Putin: saranno in grado le pur esistenti avanguardie rivoluzionarie in Russia di recuperare il metodo e il programma capaci di organizzarle e di iniziare il lento ma necessario processo di radicamento nel corpo immenso del proletariato russo?

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.