L'accordo Fiat-General Motors

Un accordo che servirà solo ad aumentare i profitti e per espellere i lavoratori dalla fabbrica

Con il plauso di tutto il mondo politico e sindacale italiano, la Fiat ha firmato un accordo strategico con la più grande casa automobilistica al mondo, la General Motors. Da qualche anno, sotto la spinta di una crisi economica che non ha mai lasciato tregua, la Fiat era alla ricerca di un'alleanza con altre imprese del settore. Già nella seconda metà degli anni ottanta, la Fiat è stata oggetto di un fortissimo corteggiamento da parte della Ford, ma l'allora situazione economica del gruppo ha facilitato la famiglia Agnelli nel respingere l'assalto; grandi potenzialità nel produrre profitti e prima posizione nel mercato europeo dell'automobile hanno permesso alla Fiat di mantenere la propria indipendenza e autonomia di gestione nei mercati mondiali.

L'accordo siglato lo scorso marzo giunge in una fase particolarmente difficile per la fabbrica torinese. Gli anni novanta hanno visto la Fiat perdere continuamente posizioni sui mercati mondiali, scivolando nel corso del 1999 addirittura al settimo posto nella graduatoria continentale. Anche in borsa, dopo aver dominato per decenni la scena di Piazza Affari, la Fiat è solo al quattordicesimo posto nella classifica che tiene conto della capitalizzazione delle società quotate. A questi significativi dati, che testimoniano della crisi in cui versa l'azienda, bisogna aggiungere che la Fiat auto non è più in grado di produrre profitti; infatti, secondo alcuni dati forniti dal giornale l'Economist la casa italiana perde una lira e mezza per ogni cento fatturate. I profitti del gruppo arrivano esclusivamente dai settori più direttamente legati alle attività finanziarie. Questa situazione di difficoltà ha imposto alla Fiat di cercare a tutti i costi un accordo con altre case automobilistiche mondiali, e dopo vari matrimoni mancati è arrivato con un po' di sorpresa quello con la GM. Un accordo che è rimasto avvolto nel mistero fino all'annuncio del 13 marzo e che segna una svolta epocale per la Fiat e per l'intero capitalismo italiano. Infatti, gli effetti economici dell'accordo avranno delle ripercussioni sull'intera economia nazionale, visto che il gruppo Fiat produce qualcosa come il 5% dell'intero prodotto interno lordo italiano.

Gli americani entrano al 20% in Fiat auto e pagano consegnando a Fiat Spa azioni proprie, pari al 5,15% dell'intero capitale. Tradotto in cifre tutto questo significa che la General Motors valuta l'intera Fiat auto 12 miliardi di dollari, una valutazione alquanto generosa visto che la Daimler-Chrysler solo qualche tempo prima era pronta a sborsare otto miliardi di dollari per acquistare tutta la Fiat auto. Uno scambio di azioni che non si è tradotto in un'immediata incorporazione della Fiat nella General Motors, infatti, almeno per i prossimi tre anni l'autonomia gestione dei manager di Torino sarà completa. Dall'accordo le due case automobilistiche sperano di ridurre i costi, soprattutto negli acquisti di semilavorati, materie prime e componentistica. Secondo una prima stima la Fiat dovrebbe realizzare annualmente dei risparmi nell'ordine dei due mila miliardi di lire. Il punto più controverso e ambiguo dell'accordo, il cui testo di 50 pagine non è stato ancora reso completamente pubblico, è quello relativo al diritto di vendere il rimanente 80% della Fiat auto alla General Motors, il cosiddetto Put, a prezzi di mercato, che scatta fra tre anni e mezzo e scade tra nove anni. In sostanza la Fiat ha concesso alla General Motors un diritto di prelazione nell'eventuale cessione delle rimanenti azioni, senza però concedere alla General Motors un pari diritto a comprare (in termini tecnici tale diritto si chiama Call). Un punto dell'accordo che molto probabilmente nasconde il fatto che la Fiat nel giro di qualche anno sarà completamente nelle mani degli americani.

In un mercato mondiale dove la competizione è sempre più spietata, la Fiat, così come le altre case automobilistiche, per sopravvivere sono costrette a cercare alleanze con la concorrenza. Se esaminiamo la realtà del capitalismo su scala internazionale possiamo osservare come in questi ultimi anni i processi di concentrazione e centralizzazione della ricchezza abbiano assunto dimensioni mai visti in passato. Al contrario di quanto sostiene la propaganda borghese la tanto decantata mondializzazione dell'economia non allarga il benessere sull'intero pianeta, ma esaspera la polarizzazione della società ed accentua i fenomeni di concentrazione della ricchezza.

Il settore dell'automobile è particolarmente interessato a tale fenomeno, tanto che da qualche anno si ipotizza che sui mercati mondiali rimarranno al massimo quattro o cinque grandi case costruttrici. All'accordo tra la Fiat e la General Motors, che insieme producono attualmente quasi dodici milioni di autovetture, ha fatto seguito quello tra la Daimler-Chrysler e la giapponese Mitsubischi. Assistiamo in questa fase a profondi processi di concentrazione che tagliano trasversalmente i tre diversi poli imperialistici (Usa, Europa e Giappone) e che solo una sua lettura formale induce a considerarli in contraddizione con il processo d'unificazione economico-monetaria dell'Europa. Il neo riformismo italiano ha dato un giudizio negativo all'accordo in quanto questo ostacolerebbe il processo di unificazione europeo. Ma affermare ciò significa avere una visione meccanicista della realtà. Infatti, se gli interessi generali del capitalismo europeo spingono verso la concentrazione monetaria, intesa come unica risposta allo strapotere finanziario del dollaro, è possibile che l'interesse di singoli capitalisti europei coincidano con gli interessi di capitalisti appartenente al blocco imperialista rivale. La storia del capitalismo è piena di esempi, basta ricordare le innumerevoli imprese americane che concludevano affari nella Germania di Hitler, e per rimanere all'attualità, l'accordo tra la Daimler-Chrysler e la Mitsubischi coinvolge tre aziende appartenenti ai tre diversi poli imperialistici. D'altronde gli interessi generali di un blocco non discendono dal cielo ma sono solo la risultante degli interessi dei singoli capitalisti e come tali si definiscono dialetticamente nel corso del tempo. Nel momento stesso in cui si formano blocchi imperialistici, alcuni settori ad alto contenuto tecnologico come quello automobilistico, presentano imprese che per mantenere la propria competitività sui mercati sono costrette ad assumere dimensioni planetarie, che nei fatti travalicano i confini degli stessi blocchi imperialistici.

Gli effetti dell'accordo siglato dalla Fiat saranno destinati a produrre conseguenze nefaste sulle già precarie condizioni di lavoro della classe operaia. In seguito all'accordo, visto che nel gruppo Fiat la realtà aziendale è particolarmente eterogenea, con differenti tassi di produttività tra le diverse unità produttive, l'ipotesi di una nuova ondata di ristrutturazione è molto più realistica di quanto si possa immaginare. Se infine consideriamo che il gruppo Fiat fattura circa 400 milioni di lire per ogni dipendente, mentre la General Motors né fattura quasi un miliardo di lire, si può immaginare la celerità e la profondità della prossima ristrutturazione e gli effetti di questa sui lavoratori.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.