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Home ›Il clima, il capitalismo e il partito
Il 2015 è stato l'anno più caldo della storia, da quando cioè sono cominciate le rilevazioni scientifiche della meteorologia, e quello che viene promette di non essere da meno, a detta di alcuni istituti di ricerca.
Il vertice di Parigi, tenutosi nella prima metà di dicembre, è stato presentato come il primo significativo passo in avanti compiuto dalla “comunità internazionale” per cercare di limitare l'aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi, dunque ancora meno di quella che viene considerata la soglia – due gradi – oltre la quale il cambiamento climatico produrrà effetti irreversibili e catastrofici. Noi comunisti, che la conosciamo bene, da incalliti “malpensanti” nei confronti di questa società, nonostante tutto vorremmo crederlo, ma siamo molto meno fiduciosi, per usare un eufemismo, sulla reale volontà dei “potenti della Terra”, grandi e piccoli, di rallentare la corsa del Pianeta verso il baratro. D'altra parte, nella capitale francese, al di là dei grandi proclami di facciata – per altro poco impegnativi – era chiaro il senso sottinteso delle dichiarazioni di alcune nazioni “emergenti” (per limitarci a quelle), che “emergono”, capitalisticamente parlando, anche e non da ultimo perché fanno un uso massiccio di combustibili fossili, a cominciare dal carbone: «Me ne fotto dell'inquinamento, dei gas serra e degli orsi bianchi che annegano nell'Artico surriscaldato. Non saranno quattro bestie pelose a fermare il nostro sviluppo, il nostro diritto a conquistare il benessere all'occidentale». E' una “filosofia” che fa il paio con quella di Bush padre, quando grosso modo disse, per giustificare l'imperialismo armato degli USA, che lo stile di vita americano non poteva essere messo in discussione da nessuno, non era negoziabile e che sarebbe stato difeso a qualunque costo, in qualunque modo. E' facile vedere dietro il velo delle parole con cui la borghesia, come ogni classe dominante che l'ha preceduta, maschera il proprio “stile di vita”, le sue “propensioni” assassine: la ricerca e la difesa del nudo interesse economico, del massimo profitto, senza curarsi di quanta fatica, quanto dolore, quanta devastazione lasciano dietro di sé.
La nazione più sviluppata indica la strada alle altre, diceva il “vecchio” Marx: in effetti, che cosa sono i quartieri proletari miserabili, sommersi dalla spazzatura, avvelenati dall'inquinamento delle città industriali inglesi dell'Ottocento di engelsiana memoria (1), se non un “assaggio” delle megalopoli dei suddetti “emergenti”, dove supersfruttamento brutale, degrado, avvelenamento spinto di acqua, aria e terra si sono moltiplicati per mille? Ma chi ha trasformato vaste aree del pianeta in una specie di camera a gas, in enormi discariche a cielo aperto senza soluzione di continuità, in “riserva protetta” dei più micidiali – per l'ambiente – metodi di estrazione degli idrocarburi, come il fracking, se non l'unico vero dio della nostra epoca, il profitto? Profitto, rendita, interesse compongono la santissima trinità di fronte alla quale ogni essere vivente è costretto a piegarsi. Se è, come è, il plusvalore estorto nel processo produttivo – cioè lo sfruttamento della forza lavoro – a tenere in vita questo sistema economico-sociale, non appena comincia a calare o addirittura a diventare insufficiente, ecco che gli agenti del capitale – i capitalisti, i politicanti e i burocrati al loro servizio ecc. - si fanno in quattro per tentare di ristabilire le condizioni per la creazione di un plusvalore adeguato a una determinata composizione organica del capitale. A dire il vero, “fanno in quattro” un altro soggetto, cioè la classe operaia, il proletariato di vecchia e nuova formazione, come contadini brutalmente espropriati del fazzoletto di terra, artigiani dei mestieri tradizionali, piccolissimi negozianti, per sottoporre questa umanità a forme di sfruttamento degne, per così dire, della Manchester ottocentesca. La crisi del lungo ciclo capitalistico postbellico ossia il manifestarsi della caduta del saggio medio di profitto, ha spinto i capitali “occidentali” a emigrare là dove c'era la prospettiva di raggiungere saggi di profitto molto più interessanti che nei paesi di antica industrializzazione. La storia è nota: orari di lavoro lunghissimi, salari irrisori, proteste e scioperi immediatamente stroncati con durezza e, non da ultimo, niente leggi a prevenzione degli “incidenti” sul lavoro, niente leggi a limitazione delle emissioni inquinanti. Capitali “stranieri” e capitali “indigeni” hanno celebrato e celebrano orge di plusvalore, orge di profitti a spese del proletariato, a spese dell'ambiente, dunque, anche a spese della stessa borghesia: ma che importa? Business is business, il denaro è denaro! Il più basso prezzo delle merci là ottenuto ha facilitato, per così dire, l'attacco contemporaneo al lavoro salariato dei paesi “avanzati”, costretto a vivere con salari-stipendi decrescenti, ma bene o male (spesso più male che bene) in grado di comperare le merci di largo consumo prodotte dai suoi compagni, e forse più spesso compagne, di classe delle nazioni “emergenti”. I processi produttivi legati a forme più tradizioni, diciamo così, di inquinamento sono stati dunque spostati massicciamente in quei paesi, ma non per ciò l'intossicazione dell'ambiente è scomparsa dall'Occidente più “civile” (vedi, tra gli altri, il fracking, appunto) e, in ogni caso, lo smog di Pechino o di Milano può solo disperdersi, inquinandolo, in un territorio più vasto, di sicuro non può farlo nello spazio, l'unico luogo dove non farebbe danni.
Il 2015 è finito, ma, va da sé, non sono affatto scomparse le questioni poste dalle convulsioni di un capitalismo che, nonostante gli ottimisti per mestiere, è ben lontano dall'aver superato quella crisi all'origine dei problemi drammatici che come proletariato (e come esseri viventi) siamo costretti ad affrontare. Una di quelle questioni, centrale, è dare una prospettiva, un punto di riferimento e di aggregazione organizzato a quanti, e forse non sono pochi, vorrebbero agire concretamente per superare un sistema economico-sociale la cui sopravvivenza è divenuta davvero una questione di vita e di morte per la stragrande maggioranza dell'umanità e persino, come si diceva, per gli esseri viventi in generale. A quanti sono ancora oppressi dal senso di frustrazione, disillusione e rassegnazione prodotto, non da ultimo, dalla caduta delle illusioni in quella tragica parodia del comunismo che fu lo stalinismo ed eredi più o meno diretti. Per noi, quel riferimento organizzato si chiama partito di classe, rivoluzionario, comunista, internazionale e internazionalista. Non rintaniamoci, allora, solamente nei blog, a volte interessanti, ma troppo spesso fine a sé stessi, nei forum della “rete”: il mondo nuovo che vogliamo ha bisogno di fiato e gambe reali, non solo o non tanto virtuali.
CB(1) Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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Comments
Un'ottimo (ennesimo) articolo di rappresentazione della imminente dissoluzione dell'ambiente, o in senso lato, della natura, per opera del capitale..
FI :)
ciao compagno, la situazione è purtroppo questa, a noi organizzarci e lottare per una alternativa di sistema, se non lo hai già fatto, organizzati con battaglia comunista e sostienila, a livello sociale è la cosa più utile che puoi fare