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Home ›Domande e risposte sul crollo del petrolio
Pubblichiamo le risposte alle domande che una compagna ci ha rivolto, in merito ad alcune questioni cruciali per il gioco-scontro interimperialistico odierno. Naturalmente, le risposte, relative a problematiche complesse, sono molto sintetiche, ma ci riserviamo di ritornarci eventualmente su con una trattazione più ampia; in ogni caso, pur nella sintesi, colgono le dinamiche di fondo che hanno sollecitato gli interrogativi della compagna.
[…]
- Ma il calo strepitoso del prezzo del barile sotto i 30 dollari dipende solo da una "politica" saudita volta a mettere in difficoltà l'autonomia degli States con la shale gas (i cui costi di estrazione sono di gran lunga più alti)? il tutto mantenendo alta la produzione, giusto? o quanto meno non riducendo l'offerta che farebbe innalzare il prezzo, giusto?
- Se è questo il motivo predominante, ma anche no, l'Arabia Saudita riesce comunque a ricavare profitti dalla vendita o sta vendendo sottocosto? ossia: i suoi costi di produzione si sono ulteriormente abbassati e ciò le consente di mantenere questa "politica" ancora a lungo? insomma, per quanto tempo è sostenibile per lei questa politica anti-shale gas?
- Ti chiedo perché sentivo ieri, purtroppo di sfuggita e dunque non son sicura di aver capito bene, che molti investitori sauditi hanno partecipazioni anche nelle imprese di estrazione dello shale. A te risulta? Questo - se fosse vero - potrebbe influire in qualche modo su un prossimo cambiamento di "politica" saudita sui prezzi e le soglie di produzione, considerato che - sentivo - la fine delle sanzioni-embargo all'Iran dovrebbe far riprendere la vendita di petrolio iraniano, così da ingigantire ancora di più l'offerta e dunque deprimere i prezzi? Poi c'è anche il petrolio di contrabbando dell'ISIS... il cui "peso" sui prezzi non capisco bene quanto sia rilevante
- Scusa, dimenticavo di inviarti il link a questo articolo, per sapere che ne pensi. Tira in ballo parecchi aspetti, fra cui anche i danni - provocati dal crollo del prezzo del barile - all'economia dei paesi emergenti (e fin qui ci arrivo anch’io...) e quelli alla Russia di Putin (che però non capisco molto: la Russia non esporta più gas che petrolio?!). Ma in tutto questo, gli USA avrebbero anche da guadagnare o no?
Vediamo di rispondere sinteticamente, per punti e chiaramente
- Il prezzo del greggio, come quello di qualunque materia prima, dipende dal rapporto tra la domanda e l’offerta. La determinazione del prezzo del greggio avviene essenzialmente su due borse internazionali, quella di Londra e quella di New York. Il che non esclude che i grandi produttori (Arabia Saudita, Iraq, Venezuela, ecc…) possano insieme o da soli (OPEC e/o Arabia Saudita) interferire sulla determinazione del prezzo agendo sui rubinetti di estrazione. Aumentando il volume dell’offerta per abbassare il prezzo, o diminuirla per alzarlo. In questa fase il prezzo è calato a causa della crisi. Otto anni di recessione hanno contratto la produzione internazionale sia negli USA che in Europa e, soprattutto, nei paesi emergenti quali la Cina, Russia, Brasile India ecc. Meno produzione meno richiesta energetica, meno domanda di petrolio il cui prezzo è letteralmente precipitato. All’interno di questo processo di mercato l’Arabia Saudita ha pensato bene di non diminuire l’estrazione di petrolio per, come dicono molti analisti, mettere in difficoltà lo shale gas e lo shale oil americano che è redditizio solo oltre i 70 dollari a barile. Anzi ha, anche se di poco, aumentato la produzione per rendere più intenso e veloce il corso al ribasso del prezzo. Queste le intenzioni e le relative prospettive a lungo periodo.
- Detto questo, la diminuzione del prezzo del greggio ha certamente messo in difficoltà gli USA. Secondo statistiche recenti il business sullo shale oil si sta sgonfiando. I costi sono troppo alti rispetto al prezzo di mercato. Molte imprese che hanno investito nel business sono fallite o si trovano in acque turbolenti. La bolla speculativa, che nel frattempo si è immediatamente creata, rischia di scoppiare come una bolla di sapone. Ma la diminuzione del prezzo del greggio ha messo in difficoltà anche altri paesi esportatori, soprattutto quelli che sul petrolio hanno costruito il loro “miracolo” economico come la Russia, il Venezuela, che è in pesantissima crisi, il Brasile che si trova nelle medesime condizioni. Anche l’Arabia Saudita sta soffrendo il basso corso del prezzo del greggio sino al punto di dover tagliare le spese interne, contenere il welfare, con una bilancia dei pagamenti con l’estero in pesante color rosso. Secondo le statistiche relative al 2015 rese note dello stesso re saudita Salman, con il prezzo del barile ancora a 37 dollari e non 29 come oggi, il deficit è di 367 miliardi di rial, ovvero 87 miliardi di dollari, pari ad un quindicesimo del prodotto interno lordo. Da qui una serie di misure restrittive e di diversificazione delle entrate nella prospettiva che il calo del prezzo del greggio possa continuare e durare nel tempo. L’unica voce del bilancio statale che aumenta sensibilmente è quella relativa alle spese per gli armamenti e per “la lotta al terrorismo”. Fa testo le recente spesa di oltre un miliardo e seicento milioni di dollari spesi in forniture militari di provenienza americana.
- Ma la sfida per il momento continua. Intanto Riad si sta avvicinando alla Russia e alla Cina nel tentativo di trovare nuovi partner commerciali e alleati politici. Sia per una questione di sopravvivenza economica sia per tentare di tamponare il “problema “di un Iran ultimamente riabilitato dall’uscente presidente Obama, in cerca di un successo in politica internazionale che gli consenta di chiudere in bellezza il suo secondo e ultimo mandato. Quanto durerà questo braccio di ferro è difficile dirlo, a occhio non molto, perché l’Arabia Saudita non ha grandi capacità di resistenza e a lungo termina ne soffrirà più degli avversari che vuol colpire. Chi le ha fatto i conti in tasca sostiene che un livello di 30 dollari al barile è troppo poco anche per lei, che ha dei costi di produzione attorno ai 40 dollari a barile. In più deve vedersela anche con gli altri membri dell’OPEC, che non è detto siano disposti a seguirla ancora per molto. Già nella riunione dell’OPEC del 4 dicembre scorso i principali paesi produttori hanno spinto contro l’Arabia Saudita per diminuire le vendite sul mercato internazionale nel palese tentativo di sostenere il prezzo del barile. Ma non è stato trovato nessun accordo e il tutto è stato rimandato al 2 giugno 2016. Tempi lunghi per una crisi che ancora spinge negativamente sui tempi di una ripresa che non accenna a ripartire, se non per piccoli accenni e senza toccare i grandi nodi economici che l’hanno prodotta.
- Che alcuni prìncipi sauditi partecipino speculativamente al business dello shale gas/oil non cambia assolutamente il quadro macroeconomico del problema. Mentre è molto più rilevante l’ingresso del petrolio iraniano che è destinato a mettere ulteriore fibrillazione nell’area petrolifera del Medio oriente con risvolti bellici che, al momento, non sono calcolabili facilmente. Il petrolio di contrabbando dell’IS è soltanto un disturbo che le vicende belliche locali toglieranno nel momento in cui dovessero ritenere esaurito il ruolo detonatore dello stesso Stato Islamico in chiave anti Assad. Sta di fatto che, con il permanere della crisi economica e il basso costo del greggio, le tensioni belliche sono destinate ad aumentare in funzione della redistribuzione dei rapporti di forza da definire nelle aree strategiche di maggiore interesse. La guerra di Siria ne è un esempio, un esempio di barbarie imperialista che è destinata ad aumentare
- Come si diceva precedentemente, la diminuzione del prezzo del greggio ha pesantemente colpito i produttori tra cui la Russia. E’ pur vero che l’imperialismo di Putin si basa prevalentemente sulla esportazione di gas siberiano, ma è anche vero che l’esportazione di petrolio vale un buon 30% delle sue risorse energetiche e delle relative entrate. Per chiudere, il vantaggio che gli USA hanno nei confronti delle altre economie è che loro non hanno solo il gas e il petrolio ma una economia più diversificata anche se sull’orlo di un’altra recessione e, cosa importantissima, il dollaro che funge ancora da coefficiente universale degli scambi e il più forte esercito del mondo che, nel bel mezzo dell’aumento della conflittualità imperialistica, è in grado di giocare “al meglio” il suo ruolo di strumento di morte e distruzione.
Martedì, January 19, 2016
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03-04
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