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I lavoratori dicano finalmente basta
L'unità e l’organizzazione sono la prima forza
Potremmo tutti i santi giorni – come spesso facciamo – elencare gli innumerevoli casi, in Italia e in tutto il mondo, di chiusure, licenziamenti, delocalizzazioni, peggioramento progressivo delle già barbare condizioni di lavoro che, per sempre più lavoratori in tutto il mondo, non hanno davvero nulla da invidiare a quelle del lontano Ottocento.
Compresi i veri e propri casi di schiavitù - nel senso letterale del termine -sul lavoro (infantile e non solo) le cui denunce recentemente riempiono le pagine dei giornali e del web tra l'indignazione generale (ma niente di più, ahinoi), rimbalzando poi nei bei, lacrimevoli discorsi, tanto altisonanti quanto perfettamente innocui, del Santo Padre 'socialista'.
Compresi ancora i casi sempre più numerosi - quanto occultati - di morti sul lavoro, la cui impennata prosegue davvero a ritmi drammatici (1).
Perché allora ci occupiamo proprio del caso dello stabilimento spagnolo TRW di Pamplona?
Perché lo riteniamo significativo, persino emblematico, del modus operandi dei “signori del capitale” (le imprese) per fronteggiare ovunque la “loro” crisi addossandola sulle spalle di milioni di lavoratori, sia in termini di peggioramento delle loro condizioni di salario e di lavoro, sia nei termini del costante e brutale ricatto nei loro confronti allo scopo di ottenerne in cambio immobilità, rassegnazione, obbedienza. Insomma per piegare la schiena dei lavoratori alle “loro” compatibilità e necessità, ancora una volta spacciate per “interesse generale nazionale”.
Promesse, ricatti, inganni!
Ma veniamo brevemente ai fatti...
La TRW (componentistica per automobili) ha da poco “minacciato” il licenziamento di ben 250 lavoratori della sede di Pamplona, in Spagna, agitando poi lo spauracchio di arrestare la produzione nel 2018 (con ulteriore licenziamento dei restanti operai). E avanzando ai lavoratori la medesima richiesta di sempre: pur di salvare lo stabilimento, dovete accettare sia gli esuberi (e dunque i licenziamenti dei vostri colleghi) sia il peggiorare delle vostre condizioni di lavoro sulle linee di produzione (aumento dei carichi di lavoro, turnazioni, riduzione degli straordinari, ecc.).«Altrimenti noi… si va via, eh!». Mors tua, vita mea, insomma, sempre il medesimo ricatto: salva la tua pellaccia! Ciascuno per sé!
Lo stesso giochetto l’azienda fece nel 2010 nello stabilimento inglese di Resolven (poi chiuso) e, nell’ottobre 2014 nello stabilimento italiano di Livorno, poi chiuso anch’esso – con 450 persone mandate a casa –poco tempo dopo le assunzioni a tempo determinato di 64 operai a Pamplona proprio in vista della già decisa chiusura dello stabilimento livornese che, in quel momento, era già in sciopero (2).
Nel primo caso, a Livorno parve opportuno tirare un sospiro di sollievo perché, dopo la chiusura inglese, la città avrebbe beneficiato degli “investimenti” TRW dirottati in Italia. Nel secondo caso fu invece Pamplona a tirarlo, per i medesimi motivi. Oggi è molto probabile che quel respiro lo tiri magari qualche città polacca, o serba, dove – visti i più bassi costi della manodopera - probabilmente avverrà la futura delocalizzazione dell’azienda qualora il ricatto di cui sopra venisse respinto dai lavoratori spagnoli. Il tutto, inutile dirlo, a fronte di ottimi risultati aziendali (+12% di incremento vendite: un record!) - e dunque di profitti realizzati - e in termini di incoraggianti incrementi futuri. (3)
È solo di qualche giorno fa, la notizia dell’azienda tedesca operante in Italia, la KavoPromedi di Nervi (Genova) (4), che trasferisce altrove, nel corso di una sola notte, i suoi impianti, lasciando attoniti e sconcertati i suoi operai recatisi al lavoro il mattino seguente.
Questa, come tante altre vicende analoghe (5) dimostrano quanto, in Italia come altrove, i momentanei “respiri di sollievo” abbiano il fiato davvero corto! Sono promesse di Pinocchio cui non è più possibile abboccare!
Noi diciamo: la trappola è ormai chiara, il gioco ormai scoperto. La misura è colma! Oggi tocca ai lavoratori spagnoli, ieri a quelli italiani, l'altro ieri a quelli inglesi.
E domani?
Non ci stancheremo mai di ripetere (6): senza l’unità, la loro organizzazione e il loro coordinamento anche a livello internazionale, i lavoratori continueranno a rimanere vittime non solo di ricatti, di promesse, di illusioni a fronte dimagri quanto provvisori ed effimeri “sospiri di sollievo”, ma delle consapevoli e premeditate tattiche adottate dai padroni per convincerli a piegar la testa, a rassegnarsi e star buoni e obbedienti perché ... “solo così le fabbriche non chiuderanno e vi si darà lavoro”. Proprio come degli amorevoli papà che promettono la caramella al loro piccolo monello, ma solo se...
La realtà invece è un continuo gioco al ribasso (di salari, tutele e diritti) - favorito dalle condizioni critiche dell'economia che dettano la sempre più spietata concorrenza internazionale ad abbassare i costi di produzione e i prezzi delle merci - e alla divisione tra lavoratori e altri lavoratori, perpetrato con false promesse (ora di tavoli di contrattazione, ora di nuove assunzioni, e bla bla…) che non possono che essere poi disattese. Ma che, intanto, ottengono obbedienza e mitezza da parte dei lavoratori.
Anzi, il ricatto in cambio di rassegnazione e accettazione è proprio l'arma prediletta utilizzata, chiudendo ad ovest per riaprire ad est, a sud per il nord, in Occidente per l'Oriente (e viceversa). Ovunque cioè il costo della forza-lavoro sia più basso del più basso e laddove maggiori siano gli incentivi o sgravi fiscali offerti dai governi.
Il tutto confidando (a quanto pare con successo) proprio sulla distanza geografica, sull’isolamento delle lotte e sulla completa disorganizzazione dei lavoratori, nonché sulla loro paura, disunità e concorrenza reciproca sempre più sfrenata.
Non ci stanchiamo di denunciare a riguardo l'evidente complicità “gentilmente” e costantemente offerta dai sindacati in questa operazione di isolamento. Per loro incapacità o impossibilità a farlo, come sostiene o pensa qualcuno? Niente affatto. I sindacati dispongono eccome dei loro organismi di relazione e coordinamento internazionale, se solo volessero davvero coordinare le lotte dei lavoratori. Ma così non è affatto. Anzi.
Dunque siano i lavoratori a dotarsi dei loro organismi di lotta, ma anche di contatto, di relazione e di coordinamento territoriale, locale ed internazionale. Non è certo un compito facile e immediatamente realizzabile, ma è e resta il primo, indispensabile, passo che essi devono iniziare a compiere per contrastare il feroce e planetario attacco padronale.
Uniti oltre e contro i sindacati che, in Italia come ovunque altrove, operano per mantenerli divisi e chiusi ciascuno dentro il proprio stabilimento.
Come abbiamo già scritto: perché i lavoratori non si uniscano, occorre che essi restino divisi e ignari gli uni delle disgrazie degli altri, che si combattano l’un l’altro facendosi concorrenza al ribasso accontentandosi di ottenere ognuno per sé qualche briciola presto finita: «Immigrati e stranieri contro italiani, giovani contro vecchi, pubblici contro privati, garantiti contro precari».
I lavoratori solidarizzino nei fatti, contattandosi reciprocamente e organizzandosi uniti, unificando e coordinando le loro lotte sul territorio e anche oltre i confini nazionali.
Perché l'unità e l’organizzazione è la loro sola forza
Perché il loro destino e i loro problemi sono comuni a quelli di tutti gli altri lavoratori del pianeta: drastico abbassamento dei salari, licenziamenti, precarietà, ricatti e cancellazione di diritti e tutele, sfruttamento sempre più selvaggio per il profitto dei capitalisti!
Perché è il loro lavoro l’unico a creare ricchezza sociale, ed esso non può aumentare d’intensità, di sfruttamento, di tempo, quando le tecnologie produttive possono, e ormai da gran lungo tempo, diminuirne la fatica e la durata. E se questo paradosso avviene è solo perché le tecnologie, gli impianti, gli strumenti di produzione, i prodotti del lavoro non sono dei lavoratori ma dei loro “datori di lavoro” e la loro produzione non è finalizzata a soddisfare i reali bisogni della società ma ad ingrassare di guadagni le tasche di pochi sciacalli del profitto: gli imprenditori.
L'alternativa sociale è possibile, ma solo lottando uniti le si può dare concretezza: nessuno cede i propri privilegi democraticamente. Questa organizzazione economica della società, fondata sullo sfruttamento del lavoro e sulla divisione in classi sociali, non è l'unico mondo possibile o... “naturale” – come ci ripetono da secoli – e l'alternativa non può che essere il superamento del capitalismo, del profitto e della proprietà non sociale dei mezzi di produzione e distribuzione.
I respiri di sollievo hanno il fiato davvero corto. Almeno tanto quanto hanno le gambe corte le promesse dei padroni… e a furia di sospirare si resta senza più fiato, aggiungiamo noi…
PF(1) Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio indipendente di Bologna (cadutisullavoro.blogspot.it) nel 2015 sono stati 678 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro(solo quelli accertati e denunciati), contro i 661 del 2014 (+2,6%)e i 637 nel 2008 (+6,1%). E sono già 62 nei soli primi due mesi del 2016.
(2) Insomma, una sorta di assunzione – da parte dell’azienda - di “crumiri” a distanza a loro insaputa. Allora infatti gli operai dello stabilimento spagnolo non furono informati – tanto più dal loro sindacato – dell’imminente chiusura di Livorno: fu detto loro soltanto che a Livorno si scioperava (ma senza informarli del perché) e che invece lì, per garantire le consegne a nuovi clienti europei, occorrevano nuove braccia. Alcuni lavoratori spagnoli hanno poi sostenuto che, proprio nel periodo delle nuove assunzioni, l’azienda faceva circolare voce di un “nuovo” grosso cliente che l’azienda aveva acquisito e che avrebbe garantito un impegno produttivo ulteriore per almeno due mesi. Dal canto loro i lavoratori livornesi interpretarono le allora nuove assunzioni in Spagna come un segnale dell’ottimo stato di salute generale dell’azienda e di un incremento degli ordinativi.
(3) Dati tutti verificabili nel sito della stessa multinazionale ed esaltati da John C. Plant, presidente e amministratore delegato di TRW.
(4) L’azienda tedesca, controllata dalla multinazionale statunitense Dahaner, non era né dichiarava alcuno stato di crisi, anzi aveva assunto nuovo personale per poter affrontare le commesse.
(5) È dell’ottobre 2013 la “fuga” della Megadyne di Caponago (in Brianza) - ditta produttrice di pulegge – per espatriare i suoi macchinari in Polonia dove costi di produzione, agevolazioni e salari sono molto più convenienti. Anche questa fuga notturna, a bordo di due grossi tir, ha lasciato attoniti, davanti al fatto compiuto, i lavoratori, per i quali già da un anno era partita la cassa integrazione e il ricatto del trasferimento forzato a Torino.
È invece dell’agosto 2013 la “fuga” della Firem di Formigine (nel modenese), grossa e storica azienda italiana produttrice di resistenze elettriche, della famiglia Pedroni da ben tre generazioni. Il 3 agosto si iniziano a smantellare gli impianti, all’insaputa di tutti. Il 13 agosto, avvertiti da una telefonata e accorsi subito sul posto, i lavoratori in ferie si sono recati in stabilimento ma sono riusciti a bloccare la partenza soltanto dell’ultimo tir: il resto dello stabilimento era ormai già stato completamente svuotato e i macchinari ormai trasferiti nello stabilimento polacco. Il tutto, stavolta, non è avvenuto di notte, ma più “comodamente”, durante la pausa estiva delle ferie, verso la fine delle quali ai 42 dipendenti è stata recapitata dall’azienda una lettera con la quale si posticipava di qualche giorno il rientro al lavoro, invitandoli a presentarsi a lavoro presso lo stabilimento di… Olawa, in Polonia. Questa la dichiarazione di Fabrizio Pedroni al “Resto del Carlino”: «Quando voglio fare un trasloco in casa mia non è che devo chiedere ad altri».
Qualcosa di simile è avvenuto, nello stesso periodo, anche alla Domenic di Forlì, multinazionale svedese produttrice di condizionatori e frigo per camper. Dopo aver preannunciato il trasferimento della sua produzione in Cina e avviato la mobilità per 45 dei 60 lavoratori, durante la notte i suoi dirigenti avevano tentato di far partire i camion fermi nello stabilimento - e carichi dei prodotti destinati ai rivenditori - che i lavoratori in sciopero si erano rifiutati di far uscire dallo stabilimento.
Anche ai 30 dipendenti della Hydronic Lift, azienda milanese di componenti idraulici per ascensori, l’azienda ha riservato un’amara sorpresa: durante le ferie ricevono una lettera con cui l’azienda li avvertiva dell’avvio della cassa integrazione straordinaria in vista della cessazione dell’attività.
(6) “Le vergognose imprese del sindacalismo confederale: schierare lavoratori contro altri lavoratori”, leftcom.org
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03-04
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