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Home ›Le illusioni dell’interventismo statale nell’economia: eterna arma antiproletaria del riformismo
Con ogni nuovo sussulto della crisi strutturale del capitalismo, aggravatasi ancora di più a causa dei danni inflitti al traballante edificio del modo di produzione capitalista dalle ripercussioni del coronavirus con conseguenti interruzioni nella produzioni e nella distribuzione, vengono alimentate nel proletariato, da parte della sinistra più o meno radicale, illusioni sul benefico effetto che l’intervento dello Stato apporterebbe alle loro condizioni e alla “collettività” in generale, senza distinzione di classe. Secondo le posizioni del variegato mondo dell’antagonismo sociale e della sinistra del capitale, le massicce iniezioni di liquidità che gli Stati di tutto il mondo e l’Unione europea stanno introducendo nel tessuto produttivo per cercare di frenare il collasso economico, sarebbero la prova che, al contrario di quanto noi comunisti internazionalisti sosteniamo ormai da decenni, ci sarebbero ancora degli spazi di mediazione all’interno del sistema politico-economico e sociale capitalistico per strappare dallo Stato capitalista e dalla borghesia, nell’attuale periodo storico, il soddisfacimento delle esigenze basilari della classe lavoratrice. C’è poi chi si spinge oltre ed afferma, pur avvicinandosi sul piano dell’analisi delle cause della crisi alla nostra interpretazione, che lo Stato potrebbe essere sfruttato addirittura per poter risolvere i problemi strutturali del capitalismo, mediante le nazionalizzazioni della produzione da parte dello stesso Stato capitalista. Stiamo parlando dell’economista marxista Michael Roberts, il quale propone, dalle colonne del suo blog sulla crisi capitalistica mondiale, ricette economiche che rispolverano niente altro che un vecchio capitalismo di Stato di stampo cinese da applicare alla situazione dell’Unione Europea e dell’Eurozona. Si può indicare come particolarmente esemplificativo della visione di Roberts un post apparso sul suo blog thenextrecession lo scorso aprile in piena emergenza Covid-19. Nel post in questione, Roberts descriveva le gravi difficoltà di Stati membri dell’Unione Europea come l’Italia e finisce per constatare che nel caso dell’Italia, come di altri Stati, le misure di sostegno economico adottate dal summit dei ministri delle finanze dell’Eurozona non sarebbero state sufficienti a risollevare le sorti del disastrato capitalismo italiano. Per questo, avrebbero soltanto rimandato la resa dei conti per il capitalismo italiano, limitandosi a consentire allo Stato italiano di appoggiare iniziative per offrire temporaneamente lavoro ai disoccupati e di finanziarsi a basso costo sul mercato obbligazionario, mediante acquisti di debito pubblico da parte della Banca Centrale Europea. Tuttavia la risposta di Roberts a quest’ impasse è contradditoria, dato che, avendo precedentemente scartato l’intervento statale come fattore risolutivo nello stesso articolo, propone alla fine dell’articolo l’attuazione di un Piano Marshall, con tanto di aumento del bilancio dell’Unione Europea per pianificare gli investimenti, e un’opera di armonizzazione della tassazione delle grandi imprese, al fine di prevenire, per parafrasare le parole di Roberts, una corsa al minimo comun denominatore che avvantaggi gli Stati dell’Unione Europea e dell’Eurozona con le aliquote fiscali più basse in materia di flussi di capitale. Insomma, la prospettiva di Roberts e di altri suoi compari, che invece non condividono le sue analisi sulla crisi del capitalismo, è chiaramente diretta ad una “riforma” delle politiche economiche dell’Unione europea per mantenere viva l’Unione europea e l’Eurozona, aggiustandone gli squilibri. Ovviamente questo interventismo statale auspicato da Roberts viene furbescamente e assurdamente spacciato come un avvicinamento dal capitalismo al socialismo, ad una società senza classi, come se maggiori investimenti di capitale da parte degli Stati dell’Ue e dell’Unione Europea mutassero la natura del modo di produzione capitalistico, portando al potere la classe lavoratrice, e avessero la capacità di invalidare la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. La legge della caduta tendenziale del saggio del profitto è stata individuata da Marx ed analizzata con tanta cura dallo stesso Roberts per dimostrarne la validità come causa fondamentale della crisi scoppiata nel 2007-2008, ma non per niente Marx era un comunista ed un critico dell’economia politica e non un economista di ispirazione marxista come Michael Roberts, che vede il socialismo come un risveglio del “popolo” ed un risanamento del capitalismo. Non bisogna dimenticare a questo proposito che l’economia politica è una disciplina - che può e deve essere studiata scientificamente - nata dal capitalismo e con il capitalismo: solamente così si spiega come Roberts e compari possano immaginare un “socialismo” con capitali, merci, Stati ed organizzazioni sovranazionali come l’Unione Europea. Il comunismo è, a dispetto di quanto possano dire i riformisti vari desiderosi di salvare il capitale, il movimento reale1 che abolisce lo stato di cose presente e non un capitalismo con una forte dose di intervento statale nell’economia e/o lo Stato che ricopre le vesti di imprenditore. Non per niente in un passaggio del primo libro del Capitale di Marx veniva prospettata come conseguenza estrema del processo di concentrazione e centralizzazione del capitale sociale la formazione di un monopolio di un solo capitalista o di un’associazione capitalista2: il che non esclude affatto che l’associazione capitalista monopolizzante il capitale sociale possa essere lo stesso Stato capitalista nelle vesti di capitalista o imprenditore collettivo. Sempre sul ruolo dello Stato come capitalista collettivo, Engels scriveva nell’Anti-Duhring che lo Stato capitalista moderno avrebbe finito per dover dirigere la società capitalistica in un modo o nell’altro, perché lo stesso livello di sviluppo del capitalismo avrebbe necessitato un simile livello di intervento statale al fine di garantire la sopravvivenza dello sfruttamento capitalista. Possiamo trovare conferma di questa argomentazione di Engels nell’Anti-Duhring in tutta la storia successiva del capitalismo, che è stato ovunque caratterizzato da nazionalizzazioni e/o da un comunque sempre più ingente interventismo statale nell’economia in generale, specialmente nell’epoca dell’imperialismo. Infatti nell’ultimo cinquantennio lo Stato capitalista, di fronte ad un periodo di gravissima crisi strutturale da caduta tendenziale del saggio del profitto, è ricorso anche in pieno neoliberismo a misure di sostegno all’economia, mentre pure procedeva con privatizzazioni e con dismissioni di alcune imprese o gruppi di imprese da esso in precedenza controllate direttamente. Anche se le forme di questo intervento statale si sono in parte differenziate rispetto al trentennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale, si sono comunque visti interventi importanti. In particolare, l’azione dello Stato è spaziata dal “bailout” di imprese e banche decotte o dalla bassa profittabilità, mediante l’indebitamento pubblico, alle cosiddette riforme strutturali del mercato del lavoro, per rendere le modalità di sfruttamento della classe lavoratrice più funzionali alle esigenze del capitale, abbassando il prezzo della forza lavoro al di sotto del suo valore, fino agli investimenti effettuati nell’ambito della ricerca e sviluppo. Senza dimenticare poi le piogge di denaro elargite dallo Stato per sostenere la “domanda” di merci e provare ad assicurarsi la fedeltà delle clientele elettorali piccolo-borghesi e la “pace sociale”3. In nessun modo lo Stato capitalista ha mai apportato con questi interventi “miglioramenti” alle condizioni sociali del proletariato in contrasto con il generale andamento del capitalismo. Anzi: oltre a promuovere con le cosiddette riforme del mercato del lavoro una riduzione dei salari al di sotto del valore della forza lavoro, lo Stato capitalista ha anche inflitto notevoli tagli ai servizi sociali, alla sanità e alle pensioni ovvero al salario indiretto e differito, creando così le condizioni più idonee al divampare della pandemia legata al virus Covid 19. E’ semplicemente assurdo pensare che lo stesso Stato capitalista, che ha posto in atto brutali tagli al welfare state per fronteggiare la crisi strutturale da caduta tendenziale del saggio del profitto, possa assumere provvedimenti benefici per l’intera “collettività”, malgrado l’aggravamento della crisi successivo alle interruzioni e alle limitazioni della produzione a cui i governi sono stati costretti per frenare la diffusione della pandemia. Del resto, è sempre stato il proletariato a pagare l’assistenza destinata dallo Stato capitalista all’economia boccheggiante di profitti e anche in questo caso sarà il proletariato, il cui lavoro è la fonte del plusvalore che alimenta il capitalismo, a veder peggiorare le sue condizioni di vita e di lavoro. Si vedrà dunque presentare il conto di questa “beneficienza” da cui il riformismo si aspetta l’edificazione del “socialismo” o di una società genericamente più giusta. Infatti, l’indebitamento pubblico e privato altro non è che una scommessa sulla produzione di ricchezza futura che non può che essere persa, nel caso in cui il capitalismo con i suoi meccanismi di funzionamento si inceppi ed anche il precedentemente citato Michael Roberts aveva ammesso che le misure adottate in occasione dell’Eurosummit dei ministri delle finanze dell’Eurozona lo scorso giugno non avrebbero per nulla potuto porre fine alla crisi, finendo così per aumentare l’indebitamento4.
Dal punto di vista della rivoluzione proletaria e dell’emancipazione del proletariato, invece, la nocività delle illusioni nutrite nei confronti del riformismo non si limita ad una scarsa combattività nell’ambito delle lotte rivendicative: al contrario, questa fiducia nello Stato capitalista mina qualsiasi tentativo di organizzazione politica autonoma da parte della classe lavoratrice e di conseguenza ogni prospettiva di emancipazione del proletariato attraverso una rivoluzione internazionale, che può essere realizzata soltanto mediante l’abbattimento senza compromessi dello Stato capitalista e la formazione di soviet. L’interventismo statale sotto le vesti di presunto contributo alla “collettività invece si è dimostrato assai proficuo ai fini della stabilità del capitalismo in fasi di crisi sistemica acuta o di ricostruzione economica sulla spalle del proletariato, prestandosi bene ad offensive mediatiche e propagandistiche dello Stato capitalista per mantenere la pace sociale e preparare il terreno per scontri inter-imperialistici, che giocoforza richiedono e necessitano la compattezza del “fronte interno”. In definitiva, se ai tempi di Marx e Engels5 erano comprensibili certe illusioni, queste ultime sono oramai fuori tempo massimo, dopo oltre un secolo in cui si è visto come nell’epoca imperialista del capitalismo l’interventismo dello Stato capitalista costituisca una potentissima arma controrivoluzionaria. Tuttavia già allora Marx ed Engels6 denunciarono aspramente, esponenti del movimento socialista che, come Ferdinand Lassalle ed i suoi epigoni nella nascente socialdemocrazia tedesca, ritenevano praticabile un socialismo da realizzare mediante l’aiuto di uno Stato capitalista improvvisamente ed inspiegabilmente passato sotto il controllo del “popolo” di lavoratori. Proprio come scrisse Marx nella Critica al programma di Gotha, un proletariato che crede ad uno Stato democratico super partes si dimostra non all’altezza dei suoi compiti rivoluzionari e la diffusione di queste convinzioni nel proletariato, mutatis mutandis, conferma la profondità della fase controrivoluzionaria che stiamo vivendo così come la necessità della costruzione di un partito rivoluzionario che si radichi nella classe.
1Vedi l’Ideologia tedesca.
2Ovviamente, si trattava di un'ipotesi puramente didattica, niente a che vedere, va da sé, con l'ultraimperialismo di kautskyana memoria, anzi.
3Con tanto di passività del proletariato.
4E non spiegando affatto come il nuovo Piano Marshall da lui auspicato potesse guarire il capitalismo dalla crisi da caduta tendenziale da saggio del profitto.
5I quali tra l’altro non mancarono mai di evidenziare nelle loro opere e nella loro militanza comunista come il capitalismo non si riassumesse affatto nella figura del padrone delle ferriere con il doppio petto.
6I quali erano familiari con questo tipo di polemiche all’interno del movimento operaio come visto con l’Anti-Duhring.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11-12
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